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Carolina, Francesco, Giorgia
Tre nomi non scritti sull'acqua
di Primo Casalini


Carolina
La mia professoressa di italiano in terza media si chiamava Carolina Grandinetti. Non era sposata, cosa allora abbastanza frequente fra le insegnanti, anche perché alla Facoltà di Lettere c'era una quasi totalitaria presenza femminile e non esistevano le occasioni di frequentazione che ci sono oggi. Allora aveva circa quaranta anni. Mi prese in simpatia, le piaceva come scrivevo e come rispondevo quando mi interrogava. Non sono mai stato il primo della classe, andavo bene, ma non c'era in me quella regolare pulsione, quella assiduità e anche, perché negarlo, quella piccola ruffianeria che un primo della classe deve avere. Allora vivevo in un casello ferroviario, che esiste ancora, e credevo che la nostra fosse una famiglia borghese! Non sapevo nulla di come andavano le cose nel mondo, mio padre ferroviere una volta che dissi che noi eravamo borghesi mi guardò sbalordito e rimase a bocca aperta per tutta la settimana. Bene, Carolina, oltre a darmi ottimi voti, volle che nella pagella ci fosse scritto "si consiglia il liceo classico". E mio padre mi mandò al liceo classico... cosa rara allora, per un borghese (!) come me. Non solo, Carolina mi disse di andare a casa sua accompagnato da mio padre e saccheggiò, sì saccheggiò la sua biblioteca per darmi tanti libri scolastici e non che avrebbero potuto servirmi al Liceo. Dopo un'ora ce ne andammo carichi come muli: mio padre me lo ricordo, era metà contento metà imbarazzato da quel dono del tutto inatteso.
Finì lì, quello che fece Carolina per me (o meglio, cominciò di lì). Molti anni dopo, già laureato e sposato, un giorno la riconobbi sullo scalone di accesso alla Galleria Palatina di Parma: si era fermata a prendere fiato perché con l'età non riusciva a procedere. Lei non mi riconobbe, ed io non mi fermai a salutarla. Perché? L'avrei fatta felice, a raccontarle come avevo proseguito gli studi e tante altre cose... ma non l'ho fatto. Da tanti anni, quando ci ripenso, il suo ricordo è offuscato dalla mia mancanza di sensibilità, che forse era il corollario del rampantismo di quel periodo in cui sembrava che tutto ci fosse dovuto.


Francesco
Al Liceo Classico fra le materie c'era anche Storia dell'Arte, un'ora alla settimana, del tutto ridicolo, perché capire e studiare bene la storia dell'arte è più difficile che capire e studiare il latino, che già non è uno scherzo. Ogni anno cambiava il professore, chissà perché, in seconda liceo ci toccò uno che veniva su da Bologna. Si chiamava Francesco Arcangeli, aveva poco meno di quarant'anni e già allora era un critico d'arte piuttosto noto, ma noi non lo sapevamo. Ci accorgemmo subito che tirava un'altra aria, che Francesco sapeva le cose, capiva e amava. Una ragazza si comprò un temperino ed incise il suo nome - anche il cognome - sul banco di legno, che da qualche parte sarà finito, in un falò magari col nome e tutto - non è una brutta fine. Alla terza ora di lezione, Francesco arrivò in classe con un quadro sottobraccio, e lo appoggiò sulla cattedra in modo che tutti lo vedessimo bene. Era una natura morta di Giorgio Morandi, sconosciuto a tutti noi, e Francesco pazientemente per tutta l'ora di lezione ci raccontò perché era importante quel quadro e perché era bello. Lo fece un'altra volta con una piccola tavola a fondo oro del '300.
Poco mi ricordo delle sue parole e dei suoi argomenti di allora, ma Francesco in quel modo ha cambiato la mia vita, e in una parte non secondaria. Cominciò così la mia passione per l'arte, con tutta la fatica e la gratificazione conseguenti, e che ancor oggi permangono: per me Amico Aspertini o Francesco del Cossa, Donato Creti o Bartolomeo Schedoni non sono nomi di strade secondarie, ma emozioni che soccorrono anche nei momenti più difficili. Oggi Francesco Arcangeli è un nome finalmente di moda. Si è riconosciuta la sua grandezza, il valore dei suoi libri, si tengono mostre, congressi e celebrazioni a lui dedicate. Ma quasi nessuno racconta le difficoltà che ebbe durante la sua vita, in primis il difficile rapporto col suo maestro, Roberto Longhi, grande critico e grande scrittore, ma uomo terribile, che trattava gli allievi come fossero camerieri o sguatteri, e che rallentava la loro carriera accademica per farsi servire più a lungo. E Giorgio Morandi che fece, quando Francesco gli dedicò un corposo libro monografico pieno di competenza e di amore? Lo stroncò, con una dichiarazione di tre righe, simile in questo alla cattiveria, sì cattiveria, di tanti grandi artisti, Picasso e Stravinskij per fare solo due esempi. Gli ultimi anni della vita di Francesco furono segnati dolorosamente da tutto questo, aveva la pelle troppo sottile. Che oggi lo si esalti va bene, ma si abbia il coraggio di dire la verità, la cruda verità.

Morandi

Giorgia
Prima liceo: 26 ragazze 9 ragazzi. Entrò in classe la professoressa di italiano, Giorgia Melchiorri, in fama di terribilità. Tutti in piedi, le ragazze col grembiule nero, i ragazzi variamente vestiti, dal Capannelle ante litteram ai pantaloni lunghi del figlio del farmacista - che li portava lunghi dal giorno della nascita. Giorgia arriva alla cattedra, sta in piedi pure lei, ci scruta tutti e si fa un segno di croce. Con una imbarazzata sfasatura, tutti replichiamo, le ragazze prima, poi i ragazzi - si sa che sono più lenti. "Se io faccio il segno di croce, non vuol dire che voi siete tenuti a farlo", fa Giorgia, prima di sedersi. Era una donna piccola di statura, col grembiule nero pure lei, i capelli bianchi e gli occhi azzurrissimi, non dolci però. Occhi decisi, era difficile sostenere il suo sguardo. Io credevo di non avere problemi, sull'onda del successo dei miei temi alle medie ed al ginnasio. Da sempre, non facevo la brutta, scrivevo direttamente in bella copia. Al primo tema dato dalla Giorgia, così, tanto per gradire, scrissi otto rapide colonne di foglio protocollo. Giorgia mi diede 6= (sei meno meno). Intorno a me fioccavano i 6+, anche qualche 7. Desolato, nel pomeriggio pensai e ripensai - perché 'sta zitella ce l'aveva su con me? Le mie otto colonne erano divenute un profluvio di correzioni, tutte in rosso: cambiati gli aggettivi, i verbi, gli avverbi, la punteggiatura, frasi intere cancellate. Ci aveva messo quasi un'ora a correggermi, a rifarmi il tema, in pratica: sadismo allo stato puro, pensai. O no? Rilessi il tema, quello fatto da Giorgia, che era lungo sei colonne scarse... e mi piacque più del mio. Da lì in poi tutto fu facile, capii il motivo di ogni singolo cambiamento... e capii (ma ce ne volle) che il suo voto sarebbe stato 5, non 6=, e che aveva deciso di gettarmi la lenza con l'amo. Il pesciolone abboccò volentieri. Dal secondo tema in poi, per tre anni, il voto di Giorgia fu 8, che per lei era il massimo, fra l'indignazione della lobby delle tre prime della classe, abbonate al 7+. Chi veniva rimandato da Giorgia, sapeva che non c'era remissione: rimandava con 5 per poi bocciare con 4, non credeva all'esame di riparazione. Le scuole private erano piene di allievi che cercavano di recuperare l'anno perso per poi tornare al nostro liceo, ma non nelle classi della Giorgia, per carità! Di lei si diceva che non si fosse sposata perché il fidanzato era morto in guerra: possibile, mai l'ho vista sorridere. A parità, va detto, preferiva i temi dei maschi rispetto a quelli delle femmine, con lei noi nove non ci sentivamo emarginati, come invece succedeva con quasi tutti gli altri professori.
Per Giorgia the heart of the matter, il nocciolo della questione era Dante. Dopo il consueto segno di croce - lo facevamo tutti, infine, per rispetto a lei - si sedeva, apriva il testo del Grabher e diceva il numero del canto, mancava solo il pronti via. Poi leggeva il canto - leggeva, non recitava - e si sentiva in aula solo il fruscìo delle pagine quando tutti insieme le voltavamo. Dopo dieci minuti o poco più, a lettura finita, cominciava la spiega verso per verso. Tutto ciò, decenni prima del Sermonti et similia. A fine ora, "A memoria per lunedì prossimo", diceva Giorgia con un ghignetto tutto suo, come a dire mo' son cavoli vostri. Sì', toccò studiare Dante a memoria! Inventai un mio metodo: leggere, rileggere, trileggere il canto a voce alta, e poi brancarlo nella memoria a colpi di quindici versi alla volta. Lì giunto, Dante rimaneva per la vita, ascondendosi fra gangli di neuroni, pronto ad uscire quarant'anni dopo, fresco qual verdolina lattuga. La sezione sopra la nostra, la seconda liceo, tutta maschile, fece un suo sciopero all'ennesimo canto da imparare. Giorgia fronteggiò con fermezza irata, rossa - anzi scarlatta - sulle guance, sempre pallide in lei. Il suo privato e castissimo harem di trenta maschi diciassettenni, come osava ribellarsi! Transarono, infine, perché non potevano fare a meno l'una dell'altra, Giorgia e la sua classe, a cui insegnava, beati loro! anche latino. Per le versioni dal latino, Giorgia vietava l'uso del vocabolario. Anche qui aveva ragione: fino a due anni fa mi sono fatto la versione della maturità secondo il "Giorgia style": leggere, rileggere, trileggere il brano e sentire che il significato totale appare quasi esplosivamente. Che vuoi che sia una paroletta misteriosa qui e là? Gli dai tu il senso e in genere non sbagli. Cristiana eppur laicissima, era. Mi interrogò sul Machiavelli, ed io impastocchiai eloquenti frasette sul fatto che Niccolò ce l'aveva con la gerarchia della Chiesa. Mi guardò, un po' delusa: "Eh no! E' proprio con la religione che ce l'ha, i preti sono un dettaglio". Si farà secoli di Purgatorio, Giorgia: superba, iraconda, persino intellettualmente lussuriosa ed eretica, da stilnovista. Ma quando ascenderà al Paradiso, finiran le canzoncine di Angeli ed Arcangeli, di Cherubini e Serafini, di Troni e Dominazioni: 7+ per tutti, e che non si lagnassero! Dante, per i fatti suoi, riderà con lietezza feroce, a veder cosa combina la sua amica Giorgia.

Botticelli - Inferno canto XXXI


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  18 novembre 2006