prima pagina pagina precedente




GIROVAGANDO PER MOSTRE
Carlo e Federico Borromeo, i “grandi” di Milano
Una grande mostra al Museo Diocesano
di Mauro Reali


San Carlo Borromeo
Giovanni Ambrogio Figino
San Carlo Borromeo (particolare)
il cardinale Federico Borromeo
anonimo
il cardinale Federico Borromeo (particolare)

Ancora una volta il Museo Diocesano di Milano si conferma come una delle istituzioni culturali più vivaci della città proponendo, fino al prossimo 7 maggio 2006 una mostra dal titolo Carlo e Federico. La luce dei Borromeo nella Milano spagnola (info al sito: www.museodiocesano.it; il bel catalogo, edito dal museo, è a cura di Paolo Biscottini, direttore del “Diocesano”). Questa esposizione, a mio avviso, presenta un triplice livello di interesse, che cercherò brevemente di sintetizzare.

Un primo livello è - per così dire – legato alla sua forte, esibita “milanesità”. Va infatti ricordato che per i milanesi (come chi scrive…) San Carlo Borromeo (1564-1584) e il cardinale Federico (1594-1631), entrambi successori di Sant'Ambrogio alla guida della diocesi milanese, sono figure che vanno al di là della sia della loro dimensione storica che di quella strettamente devozionale: fanno parte del DNA della città, e molte chiese ancora oggi esistenti sono sorte per il loro impulso. Il primo è di fatto un co-patrono di Milano tanto che il giorno di San Carlo (4 novembre) è quasi un bis della festa patronale di Sant'Ambrogio: complice la ormai soppressa festa nazionale ricordo infatti – nei miei anni d'infanzia – una visita quasi obbligatoria alla Chiesa di San Carlo al Corso… Il secondo – coltissimo mecenate – ha donato alla città la Biblioteca e la Pinacoteca Ambrosiana, ancora oggi vanto della cultura meneghina; inoltre, è come se non fosse vissuto soltanto nel Seicento, perché la sua “letterarizzazione” ad opera dei Promessi Sposi manzoniani l'ha proposto a modello di un cristianesimo attivo, efficiente, capace di spiritualità (ad es. convertire l'Innominato) ma anche di operosa carità verso il popolo colpito dalla peste: scusate l'ovvietà, ma è come se Manzoni avesse voluto incarnare in lui il “meglio della milanesità”.

il digiuno di San Carlo
Daniele Crespi - il digiuno di San Carlo

Un secondo livello è invece di carattere più propriamente storico. Infatti c'è una diffusa tendenza libresca e scolastica a considerare l'età della Controriforma e della dominazione spagnola in Lombardia come una fase contraddistinta solo da oppressione politico-religiosa, carestie e pestilenze, insomma di “dolore di vivere”, quasi di mera sopravvivenza. Intendiamoci: molte di queste cose sono vere, ma la mostra ci invita a riconsiderare la complessità di tale periodo, con un'attenzione nuova alla architettura, alla cultura letteraria e teatrale, alla produzione di oggetti di “ornato” che attestano una in qualche caso un'insolita vivacità. Indicano dunque la presenza di gruppi sociali dal tenore di vita raffinato ed elegante, anche se di certo – per tornare al “nostro” Manzoni, i vari Renzo e Lucia non vi appartenevano…

San Carlo comunica gli appestati
Tanzio da Varallo - San Carlo comunica gli appestati
San Carlo porta in processione il sacro chiodo
G.C. Procaccini - San Carlo porta in processione il sacro chiodo

Il terzo, e più importante, livello è quello storico-artistico. Molte sono le “belle cose” in mostra e – per ragioni di brevità – null'altro faccio che citare alla lettera parte del depliant di presentazione ufficiale dell'esposizione:
Il percorso della mostra evidenzia l'evoluzione del dipinto religioso e devozionale, considerato nel contesto artistico e storico milanese, a partire dalle opere precedenti il Concilio di Trento, fino agli esiti più intensi e spettacolari del primo Seicento, quando viene definita la sintassi del Barocco lombardo.Pale d'altare, dipinti di devozione privata, oggetti di arredo liturgico, ori e argenti preziosi tessono la trama di una narrazione vivace, nella quale i temi controriformistici si debbono leggere nel contesto spagnoleggiante, dove aristocrazia e popolo vivono, pur nelle visibili differenze, la vicenda della peste e comunque la fatica di grandi trasformazioni che, fra l'altro, incidono sul gusto e sul modo di vivere. Le pale d'altare degli anni quaranta e cinquanta del Cinquecento (opere di Gaudenzio Ferrari, Moretto da Brescia e Callisto Piazza) si caratterizzano per un patetismo intenso di carattere meditativo e diretto a sollecitare, a volte mediante uno scambio di sguardi e di gesti, un contatto con il riguardante, allo scopo di suscitarne la devozione, secondo i dettami più diffusi nei primi anni della Controriforma. E' solo il punto di partenza di un percorso complesso che passa attraverso l'età di san Carlo (opere di Antonio Campi, Figino, Peterzano, Camillo Procaccini) fino a culminare con straordinarie opere dei più importanti protagonisti dell'età di Federico( opere di Cerano, Procaccini, Morazzone, Daniele Crespi). Una parentesi nel percorso della mostra è costituita dalla fase del naturalismo lombardo, rappresentata da Vincenzo Campi, Tanzio da Varallo, Vermiglio e Serodine. In parallelo ,straordinarie opere di oreficeria e di arredo liturgico illustrano lo splendore delle arti prodotte dalle botteghe lombarde dell'epoca.
L'invito alla visita è pressoché scontato. Come pure quello ad una lettura del suo catalogo, con tante pagine “scritte” oltre alle belle immagini; lettura da fare con calma, alla riscoperta di periodo che aveva davvero bisogno di una “ri-lettura” di tale livello.

Mauro Reali


in su pagina precedente

  5 marzo 2006