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Arte d'azione, germogli di vita
Anna Marini

 Nicola Frangione, Giovanni Fontana, Roberto Rossini

Dal 29 maggio all'Urban center di Monza il XII Festival Internazionale di “performance art”. L'evento, patrocinato da: Provincia di Monza e Brianza, Fondazione Monza e Brianza onlus e Commissione europea, dedica due serate all'atto trasformatore e all'espressione artistica multidisciplinare. Il momento creativo di ampio respiro ospita artisti di diversi paesi, uniti sotto il segno di una costante ricerca che diventa scelta politica. L'iniziativa, una tradizione ed un riferimento nel panorama culturale brianzolo, ha visto la partecipazione sia dell'affezionato pubblico, sia di chi si affaccia per la prima volta all'arte d'azione.

Dal 2002 la direzione artistica è affidata a Nicola Frangione. Intellettuale poliedrico e drammaturgo delle arti, sa fondere in unione sinergica la sonorità della voce con la presenza del corpo, che acquistano rilevanza da protagoniste. La “performance art” è una forma d'arte, ma, più esattamente, è il ritorno alle origini antropologiche nell'immediatezza e nell' assoluta predominanza del gesto. Gli artisti, pur provenendo dalle forme d'arte tradizionali, danno vita ad un'opera non classificabile all'interno di categorie prestabilite e non mercificabile. L'action art si rivolge direttamente all'uomo, rifiutando qualsiasi intermediazione critica. Sfugge alle logiche economiche e dell'investimento, le sole che sembrano governare oggi l'arte, nel soddisfare le richieste degli spettatori e nell'onorare le aspettative degli investitori. Sottraendosi ad ogni tentativo di dominio, si presenta come forma di contestazione in continua protesta. E' una sorta di “rizoma deleuziano”, un modello semantico non gerarchico e non significante, ma aperto, liberamente percorribile, che connette sistemi semiotici diversi in reciproca interazione. In opposizione ad ogni tentativo di controllo, a qualsiasi volontà di assoggettamento l'action art si impone come intervento libero e diretto, politico e poetico nel senso originario dei termini. L'opera non viene inscenata da attori davanti ad un pubblico di spettatori, ma vissuta nell'autenticità di uomini che agiscono e non recitano: non è quindi rappresentabile né ripetibile. Nell'arte d'azione si consuma la consacrazione dell'“hic et nunc”, la vittoria dell'azione sugli oggetti, che troppo spesso l'arte genera e poi dimentica nei musei. Irrompe sulla scena artistica come trionfo dell'immediatezza, nel riappropriarsi dell'essere e rinunciando all'apparire. Respinge la simulazione, in armonia con il teatro della crudeltà di Antonin Artaud, in cui non è il testo il vero protagonista, ma l'happening, il momento vitale. Nella spontanea bellezza del Living theatre, quello che affiora “E' la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile. La vita è l'origine non rappresentabile della rappresentazione. Ho detto crudeltà come avrei detto vita”. Alla violenza del Lüãïò (Logos), all'oppressione delle categorie strutturate e delle costrizioni di un Potere onnipresente, l'arte risponde con la crudeltà, l'essenza stessa della vita. Quando la  öùíÞ (phônç, suono, voce) sottrae la parola al Discorso, si crea il linguaggio del gesto genuino, nella riformulazione di nuovi codici. Suoni, luci, rumori, colori e sapori dialogano nell'esplosione dell'atto rivoluzionario e creativo. Nel corpo, nell'essere umano che diviene opera, si annulla la distanza contemplativa e la funzione catartica insita nell'evento teatrale. Spesso minimalista, l'action art rifiuta l'ausilio della tecnica se sorvegliata dalla manipolazione mediatica; quando invece diviene prolungamento del corpo, rivendicando l'appartenenza ad esso e non agli strumenti di dominio, viene accettata come prezioso strumento d'indagine. L'atto performativo si rinnova ogni volta nella contaminazione con il luogo in cui prende forma, con il pubblico che svolge specifiche funzioni, prendendo parte attivamente all'evento. Traspare così la natura nomade del poeta, il tratto itinerante in senso non solo geografico, ma anche socio culturale. Codici e linguaggi interagiscono nell'esaltazione del gesto “poietico” dissacratore, che si esprime nella presenza imprescindibile del corpo. Quest'ultimo, “Intelligenza attiva”, catalizza le energie che provengono dall'esterno, e, metabolizzandole, le convoglia nella materializzazione dell'evento. Ma è con la voce, attraverso le sue multiformi risorse, che si ritorna al linguaggio primordiale. Il sistema Corpo-Voce in movimento, in un'unione simbiotica, crea la dimensione espressiva dell'essere in luogo dell'avere. L'arte d'azione procede in senso opposto alle forme tradizionali: non conduce ad una forma attraverso una trasformazione, ma, dà luogo a trasformazioni, studiate e vissute in un'esperienza unica nel tempo e nel soggetto, che non può essere riproposta e nemmeno condivisa.

Liuba, Manuela Macco, Massimo Arrigoni

LE OPERE DELLA PRIMA SERATA

“Senza tempo”

Il parquet della sala E, sgombra da ogni arredo, si colora di tappeti, struggente metafora delle barche su cui i rifugiati incontrano la morte nella fuga da dimore divenute ostili. Il viaggio della speranza, che il mare tramuta in quello tragico della disperazione è il contesto per l'opera di Liuba, allieva di U.Eco e O.Calabrese all'Università di Bologna. Le sue opere, di fama internazionale, trattano tematiche di carattere sociale e nascono dalla interattività con i presenti. Nell'interrogare i contesti di vita reale con le sue contraddizioni o le lacerazioni nei drammi vissuti da chi non ha voce, il pubblico si rivela elemento fondamentale e protagonista, come lo è stato a Berlino in “Refuges welcome”. Il video, realizzato nella galleria Kreuzberg, trasforma lo spazio espositivo nel luogo della solidarietà e del rispetto reciproco. Nella dimensione partecipata dell'incontro con il prossimo e con se stesso, Liuba dà voce ai rifugiati, invitandoli a testimoniare il profondo e disperato disagio che li ammutolisce. Dignità e fratellanza palpitano nei dodici minuti di silenzio che l'artista e i rifugiati osservano in segno di rispetto, accoglienza e accettazione. Le pareti della sala E, che ospitano il video-opera, risuonano delle voci e riflettono i volti senza nome; respirano della presenza di chi chiede accoglienza, per divenire membro attivo di una comunità in cui vuole riconoscersi. Sui tappeti sparsi in un mare di legno i partecipanti si accostano al proprio vicino, in una composizione umana, osservando, come a Berlino, i dodici minuti di silenzio. Il tempo, intriso di pathos e segnato dalla commozione, trasforma la corporeità in comunione solidale e il silenzio nel linguaggio dell'accoglienza.

“Thread”

Nella semplicità di uno spago, Manuela Macco intesse relazioni tra i presenti, coinvolgendoli in un fitto intreccio di legami. L'artista, che incentra le sue opere sulle problematiche comportamentali e sulle tematiche relative all'identità, procede lentamente verso una pianta e ad ogni passo si avverte l'enorme gravità del suo incedere. Tutto il corpo si protende verso la meta ed ogni muscolo è coinvolto in un cinematismo infinitesimale. L'artista ingurgita una corda sottile che la lega e conduce alla pianta. Giuntavi, si materializzano tra il pubblico le relazioni intessute nella rete degli spaghi intrecciati. Le mani dei presenti reggono i fili che li uniscono e li rende complici di un evento “work in progress”. Improvvisamente l'Artista si allontana e tra i presenti, sospesi, emergono interrogativi. Il pubblico dialoga, mentre l'intreccio si scioglie spontaneamente.


“Cacofonie”

Drammaturgo musicale del poema, Massimo Arrigoni, si esibisce con una sinfonia cacofonica in due partiture. La prima è pretestuosa e pretestuale nel vero senso della parola, perché nasce prima del testo ed esprime l'elemento antropologico del suono. Suoni e rumori emessi da un palloncino che viene lentamente gonfiato, colorano l'atmosfera di variegate sfumature. La seconda esibizione declama l'“Italese”, la lingua parlata dai primi immigrati in Canada: con una mescolanza di inglese maccheronico e di italiano imperfetto, il figlio illustra alla madre la conduzione della vita all'estero. Arrigoni gioca con la voce in un monologo dove il suono crea lo spazio. Sillabe si rincorrono ad articolare una lingua a tratti onomatopeica. L'artista opera a livello infinitesimale sul testo, che, vivo, respira del carico emotivo conferitogli. Il ritmo metrico e la sonorità del verso creano un capolavoro di perfetta poesia sonora.


IL LIBRO

Italian performance art

Novità assoluta dell'edizione del festival è la presentazione della prima antologia storico-critica relativa alla “performance art” in Italia. Il testo reca la firma di Nicola Frangione e quella di altri due grandi maestri dell'arte d'azione. Giovanni Fontana, che vanta interventi in numerosi Festival in Europa ed oltre oceano, dedica ai “romanzi sonori” la sua creatività poliedrica. Roberto Rossini, artista visivo ed esperto di comunicazione multimediale, ha partecipato a numerose rassegne internazionali, portando un prezioso contributo che affonda le sue radici in una profonda conoscenza delle arti tradizionali. Il testo offre una panoramica completa della tematica, presentandola nei tratti fondamentali e nelle peculiarità della tradizione italiana. Con la sezione “Carte d'identità” si incontrano le anime pulsanti di questa forma artistica, le personalità che spiccano nel contesto culturale e il loro modo di interpretare la rivoluzione artistica. I performer, dalle provenienze diverse, si incontrano creando un turbinio di esperienze, dove confluiscono linguaggi di diversa estrazione. Libro bilingue, scritto in italiano e tradotto in inglese, sarà diffuso a livello internazionale. In perfetta armonia con lo spirito dell'arte d'azione, il testo si rivela come produzione avvenuta in autonomia dal sistema dell'arte e come punto di partenza per successivi studi futuri.

Anna Marini

copertina
Italian performance art
Percorsi e protagonisti della action art italiana
Giovanni Fontana-Nicola Frangione-Roberto Rossini
SAGEP, 2015
Pagine 384, € 30,00
ISBN-13 9788863733372


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  5 giugno 2015