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ARTE


Pace e Amen
Tania Marinoni


Celebra, l'Arte, l'amore antico e viscerale che lega l'uomo alla sua terra, nella poesia del loro incontro. Sono la vocazione e la riconoscenza verso il territorio ad ispirare l'opera di Micaela Tornaghi nella magia che contempla la natura. Nata a Milano, monzese da sempre, è alle origini dove ritrova la dimensione interiore: ai luoghi conosciuti e amati fa ritorno, ai custodi della memoria personale e collettiva. Un sentimento di profondo affetto muove la mano dell'artista, un attaccamento passionale che non affiora a livello razionale, ma si percepisce là, dove le emozioni hanno la sede. “Modicia”, il nome del centro brianzolo in epoca comunale, modestia che poco si addice alle figure femminili che un tempo reggevano i nuclei familiari locali. Il governo della dimensione domestica, come ricorda la Tornaghi, era affidato alle donne, a quei residui di un matriarcato che le eleggeva elementi fondanti della comunità. “Munschasc”, così amavano chiamarsi i monzesi di un tempo nel dialetto locale, ricorda forse con un po' di nostalgia l'artista.

L'antica lingua germanica insegna che, nell'incontro tra una dentale e una sibilante, nasce per ragioni fonetiche una zeta. “Monza” deve il suo nome all'unione di due termini quasi onirici, “Mond”, che significa “Luna” e “Schatz, “favorito”, riferito al luogo, che si scopre amato e si vuole prediletto. Nello stemma comunale è conservata l'origine etimologica del nome, la luna rossa crescente su sfondo azzurro. E' il luogo, anelato e intatto nel mistero della magia, che permette l'aggregazione. Nella relazione di intima collaborazione tra lo spazio antropizzato e l'opera umana, in comunione con le leggi della natura, si riconosce la sinergia per il rapporto forse più antico e paradossalmente più fragile. Solo un'operazione artistica collettiva e propiziatoria può tradurre e testimoniare il forte attaccamento al territorio.

mUnschasc”, il tradizionale happening artistico a Villa Tornaghi, quest'anno è il quarto episodio di una narrazione che assume i tratti della tradizione. L'evento coinvolge artisti, ma anche amici, compagni nel tempo, uniti dalla memoria storica del luogo. L'Arte esprime l'immensa gratitudine per la terra e celebra il connubio tra il territorio e il suo popolo: l'unione simbiotica da cui trae origine e valore la vita. All'insegna dell'etimologia e della comune origine indeuropea dei termini, si sviluppa l'opera, attraverso i capisaldi concettuali: l' appuntamento con l'Arte è un invito ad intendere una formula universale, invocata da ognuno e tutta da interpretare: “Pace & Amen”. Chiosa religiosa, oppure esclamazione di un tempo lontano, comunque la si intenda, ogni artista si esprime per darle voce. E il luogo dell'evento è spazio vissuto, conservato nei ricordi; diviene parte della manifestazione, è anch'esso opera artistica: l'incanto di un tempo rivive nel giardino di Micaela Tornaghi in ciò che fu, durante l'infanzia, la sua dimensione ludica. Amici di una vita e testimonianze creano, in un'opera corale, l'ode al “Pace & Amen”. Ogni artista e ciascun uomo, ammonisce Micaela, deve trovare la propria memoria, che affiora attraverso svariate modalità. Qualcuno può aprirsi alla forma espressiva fin da fanciullo, se non ostacolato dal sistema educativo. Tra tutte le forme di memoria, la corporea è quella che concede maggior possibilità espressive, ma al contempo, risulta la più complessa da apprendere.

Lunedì 5 ottobre il luogo dell'arte e della memoria di Micaela Tornaghi ha palpitato anche di questa meraviglia espressiva. E' la materia ad affascinare l'artista monzese, che ascolta la voce in essa racchiusa per farla cantare in molteplici suoni. Micaela Tornaghi trova le rime nell'incontro tra l'incudine e il martello, in quel tratto “forgiante” da viversi nel profondo. Michele Sangineto, studioso di organologia e ricostruttore di antichi strumenti musicali, nelle sonorità che il legno regala, apprezza invece l'amore per la musica.

Protagonista dell'evento è la luce. Micaela la conduce in superficie, fuori dal nero abisso di una tela senza fondo, finché apparirà alla vista nella magnificenza di un cerchio blu. Ma su una scatola, attraversata da propaggini di contrasti cromatici, la luce accende il colore, quando la stimola, interrogandone il bianco.
La luce diviene preghiera e veglia la dimensione sacrale che riposa nella memoria: è il pianto del mare, il silenzio di ventidue naufragi. Queste, in numero, furono le disgrazie che l'anno corrente affida alla storia. Composte ed irrigidite nel dolore, figure umane appena delineate nel bianco del legno. I loro corpi, inghiottiti dagli abissi e ricongiunti nella memoria, recano nell'istallazione una data, in nero, che rivela la tragedia delle onde. Ai loro piedi brilla il lume del ricordo, della solitudine, della partecipazione. “Naufraghi” di Carlo Guzzi rende omaggio ai milioni di senza nome, divenuti una cifra sui registri delle cronache. Pace e Amen”.

La luce riflette la vita nell'opera della Tornaghi. Tre formelle in plexiglas, sospese a fili sottili, proiettano l'immagine incisa, se stimolate da una fonte luminosa: corpi femminili si incontrano e quasi si animano, sfiorandosi ad ogni tocco di movimento. Ma la luce si scopre regista nel fiabesco spettacolo di Giulia Meregalli, dove colombe dipinte su un sottile pannello di vetro prendono il volo nelle ombre create sul muro. Luce è anche voce interiore che sussurra al passante il proprio segreto, l'unicità nascosta dalla recitazione che i ruoli sociali spesso impongono. “…tolta ogni maschera, esplorato ogni anfratto e discesa negli abissi più profondi e dolorosi, ecco la tua luce risplendere”, suggeriscono le parole ad una tappa del cammino artistico.

Solo fuggendo dal tempo che incalza, si incontra la pace. “TEMPOxTÈ” è il fantasma di un rito, un tiepido ondeggiare di bianche figure sospese sui rami dell'albero. Semplici buste di plastica, sospinte dal vento e affidate alla pioggia, introducono il valore del tempo. E' un'antica tradizione nel mondo quella del tè, un momento che esige tempo sottratto alla furia quotidiana. “È un memento”, ammonisce Micaela Tornaghi, autrice dell'istallazione, è un invito a ricordare rivolto a tutti, che siamo “in sospensione come il tè”.

Ma nello scorrere irrequieto dei contrasti, si ode la più bella delle sinfonie e dalla resistenza all'odio può nascere il seme della pacifica convivenza. E' ciò che suggeriscono gli scatti fotografici sulla Palestina di Franco Isman: la morte a cui si oppone la vita nell'ulivo millenario bruciato e in quello rigoglioso dell'Orto dei Getsemani; l'esclusione ostentata in un posto di blocco accostata all'accoglienza nella chiave di Àida. La pace risiede nel rispetto dell'altro, del diverso e nel riconoscere se stesso nello straniero: sinagoga, chiesa cristiana e moschea possono convivere in pace nella libertà di espressione.

A Villa Tornaghi tutto è Arte per un intero giorno: nella dimensione interiore che diviene partecipazione collettiva e nel ritorno del tempo che non fugge. Il luogo dei giochi mostra ancora l'incanto del passato, in un cammino che è amore per la terra e la vita.

Tania Marinoni


   © Franco Isman - cliccare su ciascuna foto per ingrandirla.

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  12 ottobre 2015