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A Luigi Ghirri
Umberto Isman su FB


Sono stato alla mostra di Luigi Ghirri “Il paesaggio dell'architettura” alla Triennale di Milano. Finalmente ho “messo a fuoco” i motivi per cui Ghirri è di gran lunga il mio fotografo preferito.

Ce n'è uno, di motivo, che viene prima e sta sopra a tutti agli altri: le foto sue che mi piacciono di più, se fossi stato lì in quel preciso istante, da fotografo, non mi sarebbe neanche venuto in mente di scattarle, nemmeno di prendere in mano la macchina fotografica.

Poi di motivi ce ne sono tanti altri, che stanno su diversi livelli:

Le sue foto me le ricordo, se non tutte quasi. E se una sua foto non l'ho mai vista riesco d'istinto ad attribuirgliela, come a negare che possa essere sua, stupendomi ogni volta.

Ghirri è uno dei più grandi esploratori della prossimità che io conosca: ai cacciatori di miele delle strapiombanti pareti dell'Himalaya nepalese preferisce la pianta di fichi nel giardino di casa sua. E quel fico, o la spiaggia della riviera romagnola, o la chiesa di campagna li esplora da quel metalivello di cui tutti avvertiamo l'esistenza, ma sul quale quasi nessuno è in grado di risiedere stabilmente. E' un fotografo verticale, profondo, che penso vedesse l'orizzontalità dell'esotismo come un handicap più che un'opportunità. Il contrario di Steve McCurry, per intenderci.


Le foto di Ghirri sono belle anche piccole, sono quasi più belle. Forse anche qui conta più la profondità dell'estensione. L'iniezione dopante della gigantografia con lui, e con pochi altri, è operazione perfettamente inutile e quasi controproducente. La mostra alla Triennale l'ha capito perfettamente.

Ghirri è il maestro del dietro le quinte, del dietro. Di quella dimensione nascosta che in realtà sta alla base di tutto. Anche in questo l'allestimento della Triennale si dimostra geniale. Uno dei rarissimi casi in cui è esposto anche il retro delle foto, quasi con pari dignità. I suoi appunti, le misure a matita del formato, la scoperta della parte più artigianale e meno intellettuale del suo lavoro. Soprattutto un gioco ricorsivo in cui la foto è anche rappresentazione di sé stessa.

Le sue foto sono a volte sottoesposte o sovraesposte. Sbagliate, direbbe un canonico manuale di fotografia. Si intuisce però il combattimento di Ghirri contro gli automatismi della fotocamera. Oggi sarebbe probabilmente l'anti-firmware per eccellenza, il nemico degli smartphone che non sbagliano un colpo dei loro ma non ti concedono di provare a spararne uno tu. Sta di fatto che nella sovraesposizione dei templi della Magna Grecia tu senti la canicola del mezzogiorno d'agosto e il frinire delle cicale. E nella sottoesposizione della cappella votiva nei campi della Bassa in una sera d'inverno, la nebbia ti entra nelle ossa.

Umberto Isman

Orari - ingresso
Martedì - Domenica 10.30 - 20.30
Intero 7 Euro - Ridotto 6 / 5 Euro


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  22 giugno 2018