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Ricordo di Enrico Baj,
artista anticonformista
Scompare uno dei protagonisti dell'arte italiana del Novecento
di Mauro Reali


I funerali dell'anarchico Pinelli
I funerali dell'anarchico Pinelli

Domenica 15 giugno è morto a Vergiate (Varese) dove abitava, Enrico Baj, milanese purosangue classe 1924. Figura di spicco delle avanguardie europee degli anni Cinquanta, accanto a Lucio Fontana, Piero Manzoni, Jorn e il gruppo Cobra, Yves Kelin, nel 1951 fondò a Milano il “Movimento nucleare”, gruppo spesso in polemica con lo “Spazialismo” di Lucio Fontana. Senz'altro Baj fu profondamente influenzato da correnti dadaiste e surrealista (fu anche amico di Breton) ma - al di là degli “ismi” – la sua arte si è caratterizzata per un grande eclettismo formale, poiché praticò parimenti la pittura, la scultura, la grafica, il collage, anche mediante l'uso dei più disparati materiali, come cotone, legno, gesso, iuta, vetro. Ma, nello stesso tempo, fu artista impegnato nella condanna – sempre venata da uno humor grottesco, talora nero – delle violenze dell'uomo, non senza implicazioni politiche: celebri i suoi irriverenti Generali, icone grottesche degli autoritarismi del Novecento. Alcuni suoi quadri hanno addirittura fatto epoca, gettato scalpore nell'opinione pubblica italiana. È il caso del Grande quadro antifascista collettivo (realizzato con Crippa, Dova, Errò, Lebel e Recalcati), addirittura sequestrato perché ritenuto blasfemo; oppure I funerali dell'anarchico Pinelli, del 1972, dagli echi picassiani, che attesta la vicinanza politica dell'artista alla sinistra estrema e ai movimenti anarchici; senza dimenticare più recenti simpatie leghiste che lo portarono – nel 1994 (ricordate la caduta del primo governo Berlusconi?) - a dipingere Berluskaiser, una sorta di allegoria del malgoverno.
Con lui se ne va uno dei grandi protagonisti della Milano degli anni Cinquanta-Sessanta, esponente di una città il cui slancio innovatore, la cui temperie culturale, il cui livello etico appaiono stratosfericamente lontani da quelli di oggi. Era una Milano dove emergevano Enrico Baj, Lucio Fontana e molti altri artisti nostrani, mentre sul Naviglio esponeva Jackson Pollock; era una Milano dove muoveva i primi passi Dario Fo (amico di Baj e suo compagno – con Emilio Tadini – all'Accademia di Brera) vivace pittore oltre che geniale teatrante e futuro Nobel per la letteratura; dove Eugenio Montale scriveva sul Corriere della Sera, giornale con cui in seguito collaborerà a lungo lo stesso Baj. E proprio sul Corrierone, qualche giorno dopo la sua morte, ho trovato la ripubblicazione di un articolo col quale Baj rievoca, con la consueta lapidaria ironia, alcune tappe della sua vita milanese. Ecco cosa dice:
Via Pietro Teulié: un altro generale che attraversò la mia vita. Vi abitai per un decennio. Andavo a scuola alle elementari di via Jacopo Barozzi, al ginnasio al Berchet, e infine feci il classico al Beccaria, in piazza Missori e poi in un una sezione staccata di via Campolodigiano. In questa via c'era anche un artigiano, tal Bresciani, che mi faceva tele e telai. Poi venne la guerra, la ricostruzione, il Joe Colombo e il Dangelo e i movimenti d'avanguardia. Nel 1951 al civico numero 1 di via Teulié, fondai il movimento Nucleare e di passaggio, nel '54, vi abitarono Corneille e Asger Jorn, il mitico pittore vichingo ispiratore del Situazionismo. Aspettavamo tutti il nuovo millennio, portatore di progresso filoferrotramviario. Con il troller.
Grazie ancora, Enrico Baj. La “tua” Milano non c'è più (a parte il tram, che resiste!), e chi scrive – nato agli inizi degli anni Sessanta – ha fatto appena in tempo a respirare la “coda” di quei suoi anni straordinari. Restano però le tue parole e – soprattutto – le tue opere come testimonianza di un periodo che ha (purtroppo) tutte le carte in regola per essere definito “irripetibile”.

Mauro Reali


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  25 giugno 2003