prima pagina pagina precedente indice




La Signora di Monza...
e un Monastero perduto


La Signora di Monza

La Signora di Monza, titola la cartolina firmata CT, riferendosi ai Promessi Sposi del Manzoni.
Una cartolina particolare, data la storia ed il personaggio. Spedirla ad una signora o signorina poteva anche essere imbarazzante così come più che imbarazzanti sono parte dei verbali del processo che entrano “nel vivo” della questione, degli atti, descrivendo modi, tempi, approcci, amplessi sessuali, sino a quelli terribili degli omicidi dentro il Monastero e lungo il Lambro.
Una signora particolare, la seconda, dopo la Regina Teodolinda, che ha segnato la storia e memoria di Monza nell'immaginario collettivo.
Non poca letteratura si è interessata di questa tragica storia, il Manzoni, tra i più eccellenti, anche se sbagliò data in riferimento al periodo della presenza della “Mariannina”, o meglio  “Suor Virginia Maria de Leyva”, nei Promessi Sposi.

Lucia e Suor Virginia
 
Molte le raffigurazioni di artisti, pittori, cineasti, soprattutto del romanzesco incontro tra Lucia e Suor Virginia (qui a fianco un disegno del Cremona).
Le immagini tutte, anche quelle di un tempo, ritraggono una bella signora che porta il tradizionale velo, come nelle effigi della madonna e delle donne musulmane di oggi.

La “Signora di Monza” nacque a Milano, a Palazzo Marino, oggi sede del Comune.
Una infanzia sicuramente infelice.
La madre, quando Mariannina ha solo un anno, viene colpita dalla terribile peste del 1576 e muore in assenza del marito, quel Don Martino de Leyva che, pieno di sé e della sua carriera sociale, si dimostrerà un fallimento come padre, brillerà per la sua assenza e forse anche per aver defraudato la figlia dei suoi beni trasmessi dalla nobile madre. Padre  che assieme alla zia, che aveva un comportamento religioso quasi maniacale, porta forse la maggior colpa del comportamento di suor Virginia, rinchiusa in convento, quasi fosse la liberazione da una triste famiglia. Famiglia che, come viene riportato  (Ripamonti), si adattava alla “consuetudine di certe grandi famiglie le quali, per soddisfare una sordida avarizia, consideravano la cosa più naturale del mondo sbarazzarsi in tal modo delle loro femmine”.

Il Convento delle S.S. Margherita e Caterina, a Monza, in cui fu posta Mariannina (si veda: La chiesa e il Monastero di Santa Margherita in Monza –Università Popolare, Marsili Rietti e Colombo Fantini, 2004), era già centro di strani fatti “soprannaturali” che richiesero l'intervento di benedizione di San Carlo Borromeo. Diavolerie, si diceva, causate da folletti e simili.
Dopo il noviziato, la Signora di Monza diventa monaca col nome di sua madre, Virginia Maria.

La Signora di Monza La Signora di Monza
planimetria e pianta del monastero

Gian Paolo Osio ebbe una infanzia forse ancor peggiore, anche se facilitato essendo maschio, in una famiglia dedita alla violenza dei potenti. Tuttavia dimostrerà, al contrario della nobile famiglia spagnola, il proprio amore cercando di difendere la infelice Signora scrivendo allo stesso Cardinal Borromeo. Anche come padre cercherà di assumere le proprie responsabilità verso la figlia avuta da Suor Virginia (il suo nome era Alma Francesca Margherita) e che riconoscerà con atto giuridico formale, tutto sommato meglio del Conte che aveva chiuso la figlia legittima in Convento abusando dei beni derivanti dalla eredità della madre.

 
la facciata della chiesa
la facciata della chiesa oggi
 
Non voglio qui ricordare tutti i personaggi e gli avvenimenti che compongono il quadro di questa triste e affascinante vicenda: il parroco don Paolo Arrigone della vicina e confinante Chiesa di San Maurizio, amico e complice di malefatte, comprese quelle sessuali, dell'Osio, le varie suore complici, come Candida Colomba Trotti,  Benedetta, Silvia Corona, amanti a vario titolo, testimoni e vittime, il farmacista Roncino ucciso dal servo o sicario, detto “il Rosso”, mandato dall'Osio, i giudici e inquisitori, lo stesso San Carlo Borromeo, il sistema carcerario e delle torture, il funzionamento dei tribunali e delle leggi. La terribile carcerazione “murata” e, dopo molti anni, il parziale perdono  per interessamento dello stesso Borromeo.

Seguire questa storia particolare di Monza  è come fare una “sezione” della società del tempo. Leggere gli atti del processo (Vita e processo di suor Virginia Maria de Leyva, Monica di Monza, coordinatore Colombo e altri autori, Garzanti 1985), le stesse lettere degli attori della vicenda, diventa un momento di precisa conoscenza storica, sociale e culturale di Monza e della Lombardia della fine del '500 e dei primi anni del '600 (si veda anche La Monaca di Monza, Mazzucotelli, Dell'Oglio editore 1961) .
In Monza, per ordine delle autorità, nel 1608 fu eretta una “Colonna Infame”, posta nel luogo dove esisteva la demolita casa del Gian Paolo Osio.

“Christi nomine reperito ……sentenziamus. Dominam sororem Virginiam Mariam de Leva, monialem professam in monasterio dyocesis …. Vele et realiter non solum per multos testes, sed etiam per ipsius met propriam confessionem convictam …..et enormia , et atrocissima delicata….condemnamus….sorore Virginia Maria….in poenam, et respective poenitentiam perpetui carceris ….in parvo carcere, et intus illum ponatur.. ed etiam muro lapidibus, et calce structo., ostium, sive porta dicti carceris obturetur….et ex inde numquam donec vixerit exire possit, nec valeat, neque minus ipsi facultas exuendi per aliquem concedi possit, …. Sia lasciato solo un piccolo foro nella parete del predetto carcere, attraverso il quale possano essere passate….gli alimenti e le cose necessarie al suo sostentamento perché non muoia di fame … sia lasciato anche un piccolo foro …attraverso cui possa ricevere luce ed aria….Ita sentenziavi ego mamurius Lancilottus vicarius criminalis archiepiscopalis. “ (Sentenza pubblicata la sera di sabato 18 ottobre dell'anno 1608. “die Sabbati decimo octavo mensis octobris in vesperis).

il monastero
il monastero

Il Monastero era grande e bello e purtroppo come altre, troppe architetture a Monza, in questo caso, quasi fosse un luogo maledetto di cui liberarsi, è andato perduto.
Resta la chiesa che necessita di restauri non indifferenti.

Alfredo Viganò


cartolina successiva cartolina precedente

  4 novembre 2006