prima pagina pagina precedente indice




5 gennaio 1960
Quel dannato treno di morte e gli “affari edilizi” di oggi.



La stazione all'inizio del '900

La cartolina di oggi è una vista interna della Stazione Centrale di Monza quando ancora una bella e simpatica grande “tettoia” copriva interamente i passeggeri alle fermate sui marciapiedi di lato ai binari . Una vista inusuale perché la stazione è vuota, immobile, senza passeggeri e solo un lungo treno merci è fermo di lato. Un immagine troppo “ferma” per una stazione viva e formicolante. Quasi un presagio di ciò che tanti anni dopo accadde.
In altre cartoline ho in breve descritto la particolarità di Monza per le linee ferrate, sia per il primato dei tram che per essere tra le prime città collegate dalla ferrovia con Milano.
Siamo tra la fine dell'800 ed i primi del '900. La cartolina non è purtroppo “viaggiata”. In pochi anni furono costruite due stazioni: una prima perpendicolare alla linea ferrata, poi demolita per quella attuale, più facile per la riorganizzazione delle linee e la loro prosecuzione verso Como e Lecco e la realizzazione del cavalcavia di largo Mazzini. Infatti lì si trovava la prima stazione, al centro della biforcazione ferroviaria con dietro “la via della Stazione” che portava in piazza Castello.
La cartolina questa volta è strumento per parlare di un disastro ferroviario nella nostra città che causò molti lutti e che è stato rimosso: non un cippo, una lapide a memoria della tragedia. Allora la stampa scrisse che si trattava del più grande disastro ferroviario del Paese. L'impressione fu enorme. Giovanni XXIII diede un milione ed il Presidente Gronchi 5 milioni per le famiglie delle vittime.

il disastro sul Corriere

Quella tragica mattina del 5 gennaio 1960 stavo preparandomi per andare in università. Quel giorno avevo lezione un po' più tardi del solito se no sarei stato sul marciapiede della stazione in attesa di quel treno dannato. Dalla finestra facevo fatica a vedere tutta la strada, tanta era fitta la nebbia. Ero ancora in pigiama. Bevevo il caffè-latte, un po' di pane e qualche biscotto della Saiwa.
Sentii forti rumori, stridori e grandi botti. Tutto ovattato dalla nebbia . Non capivo perché e dove. Poi sirene, qualcuno che correva in strada gridando.
Non abitavo lontano. Avevo capito che qualcosa di drammatico era accaduto. Mi vestii in fretta senza neppure lavarmi e scesi in strada. Qualcuno in un capannello stava dicendo del disastro ferroviario sul ponte e sottopasso in costruzione in viale Libertà, di fianco alla Strebel. e alla Borghi. Alcuni camminavano in fretta per via Torti. In pochi minuti, anche se ingrigita dalla nebbia, fui di fronte alla scena che non dimentico: vagoni ribaltati ed in bilico sul ponte, pali elettrici e rotaie divelti, fiamme e scintille, urla, corpi esanimi e insanguinati, gente inebetita e ferita, ragazze che piangevano, altri ancora rinchiusi tra le lamiere accartocciate chiedevano aiuto, ambulanze, polizia, pompieri. Gente che cercava di dare una mano nella gran confusione
Una mia sorella in quel periodo era ospite di un'altra sorella a Merate e con una amica prendeva quel treno per arrivare al lavoro a Monza. Era impossibile entrare nell'area del disastro. Chi c'era stato raccontava scene terribili di morti schiacciati e anche trafitti dalle rotaie. Corsi a casa e telefonai. Quella mattina mia sorella non doveva venire a Monza, la sua amica aveva perso il treno e preso quello dopo alla stazione di Cernusco Lombardone. Poi la radio, tutta la gente in strada che si raccontava. Una tragedia , il Corriere del giorno dopo parla di 15 morti e 124 feriti di cui alcuni molto gravi.
Si discusse poi molto sulle cause, sui ritardi nell'esecuzione delle opere, sui segnali e sull'errore umano dei macchinisti che affrontarono a 90 all'ora il cantiere dove dovevano andare molto adagio.
Ho trovato tempo fa, su una bancarella, il Corriere della Sera del 6 gennaio 1960 che riporta ampiamente articoli, fotografie e un disegno del disastro. Si racconta dei morti e feriti e delle cause e i titoli dicono anche::…” due vetture si schiantano contro la cinta di uno stabilimento e due precipitano nella strada sottostante”; “…un frammento di rotaia divelto,conficcandosi come un ago nel tetto di una carrozza, uccise il parroco di Dervio”.

il disastro su Oggi

Ho trovato anche l'OGGI del 14 gennaio che in prima porta la morte di Coppi ed all'interno 4 pagine del disastro. “Il più grave disastro ferroviario accaduto in Italia nel dopoguerra” titola l'articolo.
Oggi quello stabilimento, che in realtà fu sfondato da più vagoni, è ancora sotto tiro, non per la memoria di una tragedia, ma perché è tra le aree che nel PGT possono essere impropriamente “trasformate” con semplice permesso di costruire ad alta densità volumetrica. Questa possibilità, che significa un danno per il Comune e per noi, è stata data in fretta e furia, poco prima di approvare il PGT a seguito delle osservazioni. Pure lì si svolgono ancora attività e la dimensione, la posizione a ridosso della ferrovia, richiederebbe un Piano attuativo ed una convenzione per dotare la zona di verde, servizi, parcheggi, strada e protezione acustica oltre che di allontanamento dai binari. Dopo la tragedia anche un “mistero” per questa anomala facilitazione urbanistica di qualche milione di euro, come un posto che continua tristi memorie e fatti, di natura diversa.

Alfredo Viganò


cartolina successiva cartolina precedente

  28 gennaio 2009