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Pasquale Barbella a Monza per Novaluna
Il mondo in uno slogan
Giuseppe Pizzi


Pasquale Barbella
Pasquale Barbella

Si fa presto a pensare male della pubblicità, a tacciarla di falsità e artificiosità, a sostenere che se non ci fosse vivremmo in un mondo migliore, ma Pasquale Barbella esordisce rifacendosi al mondo naturale, agli uccelli che nella stagione degli amori esibiscono il loro piumaggio più cromatico e appariscente per evidenziare virtù normalmente recondite, e proporsi, e farsi preferire. E' la natura stessa che ha ideato per loro suadenti messaggi pubblicitari mirati ad un obiettivo utilitaristico. Ciò che si potrebbe dire anche dei giovanotti palestrati o delle ragazze imbellettate e siliconate, tutta pubblicità.

Lo confesso, ieri sera alla prima delle conferenze primaverili di Novaluna, per questo ciclo centrate sulle tematiche dell'informazione, mi aspettavo di incontrare lo stereotipo del pubblicitario, estroverso, supponente, stravagante nell'abbigliamento e nel comportamento (pubblicità erronea?), e mi sono trovato ad ascoltare un professore in elegante completo grigio, barba ben curata, occhiali a stanghetta, dall'eloquio pacato e meditato, attento ad evitare inglesismi e gergo specialistico, mai, se non ironicamente, autoreferenziale.

La Balilla
La Balilla, l'eleganza per tutti (Marcello Dudovich)

Pasquale Barbella ha fatto la storia della pubblicità italiana, nessuno come lui ne conosce miti e riti, nessuno come lui ne sa illustrare i meriti e smascherare i difetti. Al punto da elencarli e metterli a confronto, la lavagna delle vergogne opposta alla lavagna dei pregi.

E' solo persuasione occulta, sì, ma finanzia la stampa e le consente di mantenersi libera. Fomenta il consumismo, certo, ma così facendo sostiene l'economia. Racconta un sacco di balle, forse, è il rischio che corrono i creativi. Deforma la realtà, come no, mette perfino Bonolis in paradiso, ma è divertente, senza sarebbe un mondo triste. E' diseducativa, non se ne può più, beh, in televisione è sempre meglio dei programmi che interrompe.

La pubblicità, prosegue Barbella, si fonda su una componente di emozionalità e una di razionalità, entrambe essenziali, e il suo successo dipende dal loro giusto dosaggio. La tradizionale pubblicità italiana, quella che ha reso celebri i manifesti italiani (basti ricordare Marcello Dudovich), faceva leva sull'eleganza formale, mentre quella di scuola americana, che ha preso il sopravvento dopo la guerra mondiale, privilegiava i contenuti logici e razionali, pretendendo di elevarla al rango di scienza.

Il pane azzimo Levi's
Il pane azzimo Levi's, buono non solo per gli ebrei (studio DDB di Bill Bernbach)

E' a questo punto che Barbella ci introduce a Bill Bernbach, l'uomo che ha rivoluzionato la pubblicità moderna, il genio che l'ha resa un'arte ispirata all'etica della verità, al principio del rispetto del pubblico, nella convinzione che il mercato reagisce favorevolmente a un messaggio intelligente, propositivo, onesto. L'idea base che gli ha assicurato il successo è racchiusa in una massima per la quale va giustamente famoso: «La pubblicità non può creare il vantaggio di un prodotto, lo può solo illustrare».

E la politica? Certamente, c'è molto di tecnica pubblicitaria nella politica italiana, non solo per il ricorso ai sondaggi di gradimento, l'adozione di slogan, l'uso sempre più diffuso dell'immagine (la faccia del leader 3x6), l'identificazione selettiva dei target group (bacini elettorali), ma più ancora per i metodi che sembrano guidare l'attuale azione di governo. A titolo di esempio, Pasquale Barbella osserva che la ricorrente, martellante argomentazione politica del nostro tempo «Lo faccio perché l'elettorato mi ha scelto» è pubblicità (e per come lo osserva, non delle migliori).

Giuseppe Pizzi


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  9 aprile 2010