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La memoria, un progetto in divenire
Anna Marini


Piccola Orchestra Tascabile del Liceo Classico Zucchi

Mercoledì 21 gennaio il teatro Binario 7 di Monza ha ospitato la presentazione dell'iniziativa “Bosco della memoria” che si spera di inaugurare in occasione del settantesimo anniversario della Liberazione dal regime nazifascista, con il patrocinio del Comune e la presenza dell'assessore alla Cultura Francesca Dell'Aquila. Durante la serata Milena Bracesco, vicepresidente dell'ANED (associazione Nazionale Ex Deportati) di Sesto e Monza e gli architetti Sara Gangemi e Rosa Lazzaro hanno illustrato il progetto che prevede la realizzazione, all'interno del parco di Monza, di un sacrario naturale in memoria dei deportati monzesi nei lager nazisti.
La tragedia per eccellenza che ha interessato il secolo scorso, è stata ricordata attraverso le parole di ex deportati nei campi nazisti, la lettura e l'interpretazione ad opera degli attori Antonella Imperatori Gelosa e Renato Sarti di brani poetici tratti dal libro “Al di là del niente” di Raffaele Mantegazza e l'esecuzione di brani musicali della Piccola Orchestra Tascabile del Liceo Classico Zucchi di Monza coordinata dal professor Franco Bulega. Ad assistere alla manifestazione promossa da ANED Monza, in collaborazione con ANPI Monza sezione “G. Citterio” e F.O.A. Boccaccio003, un pubblico numeroso con una forte presenza di giovani.

Signorelli

A dare inizio alla serata la voce di Angelo Signorelli, deportato politico a Gusen, in una intervista del 2002. Sullo schermo si vede la sua immagine e Angelo appare così, come lo ricorda chiunque abbia avuto la fortuna di ascoltare la sua testimonianza, quando narrava che cosa è stato il campo di sterminio per un ragazzo di soli diciassette anni. Si, perché Angelo nel 1944 era un giovane operaio alla Falck Unione di Sesto San Giovanni e nel marzo di quell'anno aveva partecipato insieme al fratello Giovanni, di due anni maggiore, agli scioperi contro i fascisti e i tedeschi che occupavano l'Italia. Quattro giorni dopo, a manifestazioni concluse, i fascisti si recavano a casa dei ragazzi per arrestarli e condurli a San Vittore. Da quel momento avrà inizio la loro drammatica esperienza, che li vedrà prima internati a Mauthausen e poi nel sottocampo di Gusen.
In quel luogo di assurde atrocità, ricordava Angelo nell'intervista, le SS cancellavano il nome dei prigionieri per sostituirlo con un numero, qualcosa di freddo, anonimo, autoreferenziale, che non rimandava ad altro che a se stesso. Quella stringa numerica in futuro non avrebbe evocato nulla agli aguzzini, non avrebbe suscitato in loro alcun sentimento. In quel luogo di dolore, loro, gli uomini divenuti detenuti, erano diventati il numero che portavano: in quel modo i nazisti li avevano rinominati. Nominare qualcosa è il primo passo per operare su questo il proprio controllo. Nella Genesi, infatti, Dio comanda ad Adamo di assegnare un nome a tutte le cose create sulla terra, permettendogli così di esercitare su queste il suo dominio. E sempre quel Dio comanderà poi a Mosè e al suo Popolo, nelle Tavole della Legge, di non nominarlo.

I nazisti non conoscevano nulla dei loro prigionieri, se non appunto il nome, che avevano provveduto subito a cancellare, per tentare di togliere a quei volti la loro individualità, la loro dignità umana. In futuro non avrebbero ricordato niente delle loro vittime. Angelo, invece, di quell'uomo in divisa da nazista, che a San Vittore gli domandava l'età anagrafica, non conosceva il nome, ma ricorderà gli occhi per tutta la vita.

Gilberto Salmoni

Quando sul palco prende la parola Gilberto Salmoni, il pubblico, insieme a lui, si commuove. Testimone ancora in vita della tragedia del campo di sterminio, ex deportato razziale e presidente dell'ANED di Genova, racconta la deportazione subita insieme alla famiglia. E' difficile parlare di avvenimenti drammatici che hanno sconvolto e segnato per sempre la propria vita e, chi è stato in campo di concentramento, anche se sopravvissuto, dal lager non uscirà mai più. Mentre narra la sua esperienza, con la sua voce calma e quasi sommessa, Salmoni a stento riesce a trattenere la commozione. Lui, che nel luogo dell'orrore non ha mai versato una sola lacrima, come ricordano le sue stesse parole: “Durante i mesi nel campo di concentramento non ho mai pianto, era come una reazione, una resistenza. Ora qualsiasi cosa mi commuove”. Sa che ricordare è un compito arduo, ma vuole farlo, deve farlo. “Tanti reduci che erano più grandi di me sono morti, ora tocca a me”. Così si reca nelle scuole a portare ai giovani la sua esperienza, vivendo la testimonianza come una vera e propria missione.
Gilberto Salmoni e la sua famiglia il 17 aprile del 1944 si trovavano in alta montagna, a confine con la Svizzera, in compagnia di due guide di Bormio. Giunti nei pressi del Passo della Forcola, sono stati invitati dalle guide ad entrare in una capanna poco distante, per riposare qualche minuto. Là, invece, vengono arrestati dalla Milizia della Repubblica di Salò, che li conduce a San Vittore. Successivamente saranno trasferiti a Fossoli e, in un secondo momento, i genitori e la sorella verranno deportati ad Auschwitz, Gilberto e il fratello, invece, a Buchenwald.
A stupire e a commuovere è il fatto che, su sollecitazione di Milena Bracesco, Gilberto riesca comunque ad individuare, nella tragica esperienza del lager, un aspetto positivo, e cioè la solidarietà instauratasi tra i prigionieri. In condizioni di estremo pericolo e totale disperazione ci si aspetterebbe forse che sia il motto “mors tua vita mea” a regolare le relazioni tra le persone, invece, a Buckenwald, i prigionieri erano uniti da una straordinaria fratellanza reciproca.

Antonella Imperatori Gelosa Renato Sartii
foto F.O.A. Boccaccio003

La splendida poesia dedicata a Ilda Zamorani in “Al di là del niente. I deportati monzesi nei campi di sterminio nazisti”, interpretata magistralmente dall'attrice Antonella Imperatori, invita a riflettere sul fatto che la tragedia dei lager ha visto come principale protagonista il popolo ebraico e in una modalità assolutamente inedita nella storia.

”Siamo anziani” dicevo
“cosa volete che ci facciano?”
Forse perché il mio popolo
ha sempre considerato gli anziani
come una miniera di storia e di memoria,
o forse perché io ero così,
incapace di pensare al male
di attribuire alle persone cattivi pensieri
di credere che esistessero
incarnazioni umane del Maligno.
Quando vennero a prendermi

Mi ricordai di Ester
la donna che liberò il mio popolo

Ma sapevo che io
non sarei mai stata capace come lei
di uccidere
nemmeno l'oppressore.
La sola cosa che mi chiedevo
Non era se avrei saputo uccidere
Ma se sarei stata capace di morire.
Cosa che ho fatto.


Come sostiene Hans Jonas in “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”, il popolo eletto ha sofferto nel corso dei secoli anche prima dei campi nazisti, tuttavia è stato possibile spiegare il dolore prima con l'idea di alleanza, (il popolo ebraico era stato infedele a quel patto stipulato con Dio) successivamente con quella di testimonianza (ciò che i cristiani indicheranno come “martirio”, secondo cui sono proprio i giusti a dover soffrire). Ma lo sterminio nazista non è comprensibile alla luce di questi concetti e la domanda di Giobbe sul perché del male, portata all'esasperazione, rimane senza una risposta.
“Di tutto ciò non sapeva nulla Auschwitz che divorò bambini che non possedevano ancora l'uso della parola e ai quali questa opportunità non fu neppure concessa. Chi vi morì, non fu assassinato per la fede che professava e neppure a causa di essa o di una qualche convinzione personale.”

La persecuzione nazista non ha “solo” cancellato comunità, sterminato un intero popolo, ma ha anche ucciso il suo Dio, ha demolito la sua tradizione, la sua fede millenaria. Per l'ebreo credente, infatti, la giustizia e la salvezza non appartengono all'al di là, ma si realizzano qui, sulla terra, e sono promesse e garantite da Dio, che Jonas definisce “Signore della storia”.
Quale Dio può aver permesso l'orrore dei campi di sterminio? Certamente non il Signore d'Israele che ha condotto il suo Popolo fuori dalla terra d'Egitto. Dopo Auschwitz gli ebrei non potranno più pensare al loro Dio così come la tradizione lo ha tramandato, perché il loro concetto di divinità è morto insieme alle vittime dello sterminio nazista. Si apre allora uno iato insuperabile tra l'ebreo, della religione, del mito, sostenuto e guidato dal suo Dio e l'ebreo del presente, posto di fronte ad un dramma completamente nuovo e inspiegabile, privato di tutto, anche dalla sua capacità di riconoscersi nella tradizione tramandata.


Se il campo di sterminio è per eccellenza l'emblema della morte, l'albero è quello della vita e con questo elemento, carico di valenza simbolica, il progetto del memoriale dell'orrore nazista vuole ricordare ciascun deportato monzese. Come illustrano gli architetti Sara Gangemi e Rosa Lazzaro, all'interno del parco di Monza sorgerà un sacrario all'aperto in ricordo dei novanta monzesi internati nei campi di concentramento. Il visitatore che vi accederà, incontrerà delle vere e proprie isole, dislocate secondo il criterio della geografia dello sterminio e collegate tra loro attraverso percorsi che ricalcheranno i tacciati già esistenti nel terreno. All'interno di queste sarà dedicato un albero in memoria di ciascun deportato, il cui nome verrà inciso su una lamina in acciaio. Sempre in acciaio verrà realizzata all'ingresso una seduta di forma ellittica per la sosta dei visitatori e la consultazione di materiale informativo.

classe III D

L'idea del progetto è proprio quella di conferire dinamicità a questo singolare luogo della memoria, che è in continua trasformazione, e l'invito rivolto a tutti i cittadini, scuole, associazioni, è quello di partecipare al bando “Bosco della Memoria diffuso in città”, attivo fino all'8 marzo, attraverso la realizzazione di alberi artificiali dedicati ai deportati, che verranno posti in luoghi pubblici e contribuiranno così ad inaugurare il sacrario naturale. E' con questo intento che i ragazzi della classe III D dell'Istituto Comprensivo De Pisis di Brugherio hanno realizzato l'opera Oarystis, oggetto della premiazione nel corso della serata. Gli alberi artificiali verranno realizzati da altre classi, da cittadini, ognuno con le sue forme e i suoi materiali, saranno tutti diversi, ma tutti portatori di quel progetto di memoria in continua trasformazione, memoria viva di quello che è stato.

E', questa, una bellissima metafora della partecipazione che viene richiesta a ciascuno di noi, tutti chiamati ad operare perché ciò che è accaduto sia pensato dalle generazioni presenti e future come qualcosa che non ha avuto pari in passato e che non dovrà più ripetersi. Mantenere viva la memoria è condizione indispensabile perché alla tragedia dei campi di sterminio si possa rispondere con le parole “mai più”.

Anna Marini


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  25 gennaio 2015