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Onore ai Martiri di via Boccaccio
Tania Marinoni


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Sabato 30 gennaio, nell'Aula Magna del Liceo Artistico di via Boccaccio, è stato ricordato alla presenza di alcuni familiari dei caduti, del sindaco Roberto Scanagatti e di Rosella Stucchi, presidente dell'ANPI di Monza, il sacrificio di Vittorio Michelini, Alfredo Ratti e Raffaele Criscitello, martiri della libertà. L'evento ha visto la partecipazione di un gran numero di studenti, coinvolti nella preziosa e toccante testimonianza di Franco Rossi, sopravvissuto all'eccidio, e poi nella tradizionale deposizione della corona d'alloro davanti alla lapide dei caduti proprio sul muro esterno della scuola.

Nell'aula era esposto il fumetto “La neve era bianca. Monza, 25 gennaio 1945” e le ragioni e le finalità che lo hanno ispirato sono state illustrate dall'autrice, Elena Mistrello: l'opera, strutturata sull'intervista condotta dalla giovane artista a Franco Rossi e su documenti fotografici del tempo, si inserisce all'interno di un progetto di maggior complessità ed articolazione, grazie alla collaborazione di diversi autori e alla coordinazione sinergica tra FOA Boccaccio ed ANPI. Gli avvenimenti della lotta partigiana monzese rivivono così in una forma d'arte dal grande impatto comunicativo e dalla immediata fruizione. Il fumetto è anche esposto come introduzione alla mostra "I fumetti della Memoria: scenari di sterminio", inaugurata sabato 23 gennaio ed esposta alla Galleria Civica fino al 21 febbraio.

La parte fondamentale della celebrazione è stata la dettagliata, inedita nella sua completezza e sofferta narrazione degli eventi di Franco Rossi.

E' il mese di gennaio del 1945 e Franco Rossi, sedicenne, frequenta il Ginnasio al Liceo Classico Zucchi, in una Monza profondamente ferita da numerosi bombardamenti e terrorizzata da incessanti e spietate incursioni aeree. Ovunque si respira un'atmosfera di terrore che rende molto difficoltosa la comunicazione tra gli abitanti e i diversi nuclei familiari. La totale assenza di libertà e una povertà dilagante in città riflettono l'immagine dell'Italia intera: una patria distrutta e invasa, sotto la dominazione nazista. Si attende la fine della guerra, il termine di quell'incubo che aveva portato all'occupazione tedesca della penisola e condotto sotto terra la sua meglio gioventù.
Le leggi emanate dalla RSI chiamano alle armi anche le classi 1921, 1922 e 1923: chi rifiuta di presentarsi sarà fucilato. In un clima teso e di forte disorientamento, diversi giovani si danno alla macchia, incrementando così il numero dei “ribelli”, dei combattenti senza uniforme che coltivano un grande sogno: la libertà per il loro Paese.

La trattoria di via Manara a Monza ospita settimanalmente un gruppo di partigiani monzesi che si riuniscono per assicurare l'approvvigionamento di armi ai compagni attivi sulle montagne e per presidiare il territorio. Tra loro figurano due giovani appartenenti al Fronte della Gioventù: Vittorio Michelini e Alfredo Ratti. Il primo è un provetto alpinista, compagno di cordata del fratello di Franco Rossi; del secondo è nota l'esperienza di guerriglia sulle montagne lecchesi. Franco Rossi è il più giovane del gruppo e a lui è stato affidato il delicato compito di trasferire messaggi cifrati e lettere segrete fino a Lecco: il giovane è una delle cosiddette “staffette” che, con coraggio e a rischio della vita, fungono da connettori tra le formazioni partigiane sparse sul territorio. Sulle Prealpi lombarde, teatro della guerriglia brianzola, la resistenza prosegue con determinazione e ai ribelli occorrono sempre più armi. I partigiani del Fronte della Gioventù individuano nella caserma della Polizia di via Volturno a Monza il bacino adatto a fornire l'apparato bellico necessario. Il piano viene predisposto nel dettaglio con un enorme vantaggio: l'appoggio di un repubblichino. E' Raffaele Criscitello, una guardia proveniente da Avellino; si era arruolato, come tanti giovani, alcuni per convinzione, altri spinti dal timore e dal disorientamento generale, nella RSI, ma, pentitosi della scelta, inizia a mettersi in contatto con Michelini e gli altri partigiani monzesi.

Per stabilire i dettagli del piano, dodici ribelli si riuniscono nella trattoria di via Manara ed estraggono a sorte il nome dei tre combattenti che avrebbero portato materialmente a compimento l'azione: l'assalto alla caserma.
Il destino indica in Primo Amari, Vittorio Michelini e Alfredo Ratti i designati. Gli altri giovani, in piccoli gruppi, avrebbero distolto l'attenzione dal luogo dell'attacco, scrivendo frasi ingiuriose nei confronti di Mussolini sulle facciata di alcuni monumenti della città. Il piano viene correttamente predisposto, ma la presenza di un repubblichino genera diffidenza e timore in Alfredo Ratti. A Franco Rossi viene quindi affidato l'incarico di sorvegliare, l'indomani, l'area antistante la caserma per segnalare eventuali movimenti anomali. Il pomeriggio del 24 gennaio mostra a Franco Rossi solo una fitta nebbia, unita ad un intenso rigore invernale e nessun evento sospetto. L'azione è prevista alle ventuno e Rossi a quell'ora scrive sui muri del Liceo Zucchi, mentre altri compagni fanno altrettanto sull'Arengario. Sono le ventidue e, secondo la testimonianza fornita alla fine della guerra da Franco Ratti, fratello di Alfredo, l'auto attesa fuori dalla caserma, che avrebbe dovuto trasportare le armi in un luogo sicuro, non si presenta. Primo Amari si rifugia in un nascondiglio previsto, mentre Vittorio e Alfredo, armati, attraversano a piedi la città. I militi repubblichini, intrattenuti da uno spettacolo al teatro supercinema Ponti, oggi Teodolinda, all'allarme lanciato dalla caserma, blindano l'intera città.

Franco Rossi non sa che il piano è fallito; un rilevante trambusto per le vie di Monza e il passaggio di numerosi mezzi motorizzati non destano in lui alcun allarme e, certo del buon esito dell'operazione, ritorna a casa. Ma alle due di notte la milizia fascista irrompe nell'alloggio: Franco e suo padre vengono bendati per essere condotti alla Villa Reale, nei luoghi tristemente noti per le torture compiute dai nazifascisti a danno dei resistenti. Qui la staffetta e il genitore vengono separati. Terrore e smarrimento si impadroniscono presto del giovane: ai militari è infatti nota la sua identità, nonostante i partigiani si conoscessero reciprocamente solo con il nome di battaglia. Franco, ammutolito, viene condotto davanti al maggiore Luigi Gatti e allo SS-Scharfuhrer Sigfried Werning, responsabile della Sicherungskompanie di Monza per l'interrogatorio: ad un tratto appare alla sua vista Vittorio Michelini: è quasi irriconoscibile, il volto tumefatto per le percosse ricevute. «Franco, parla, sanno tutto» sono le parole che gli rivolge.

Per Michelini e Rossi si aprono allora le porte di una cella angusta, arredata con un tavolo modesto e due sedie. Nel tragitto compiuto per giungervi hanno riconosciuto in un ambiente simile ed attiguo i compagni dell'azione: Criscitello e Ratti, il primo colpito al naso e il secondo ferito gravemente alle gambe.
Nella stanza in cui sono detenuti, Franco e Vittorio non possono comunicare per la presenza di un milite, armato di mitra, che li sorveglia. Solo una domanda, necessaria, comprensibile e doverosa viene formulata da Franco a Vittorio. La risposta che segue fornisce un dettaglio di grande importanza per la comprensione degli avvenimenti svoltisi durante la notte precedente, ma la cui interpretazione è tuttora avvolta nel mistero.
Franco Rossi: «Ma cosa è successo?»
Vittorio Michelini: «Tutta colpa di una donna».
Il nome e la funzione della donna non verrà mai rivelato e la sua identità rimane ancora oggi sconosciuta.

Michelini seduto sul tavolo della cella, guarda il cortile e la neve oltre i vetri della finestra. Quelle appena pronunciate sono le sue ultime parole prima della fucilazione: poco dopo, all'udire il suo nome, il giovane, atletico, balza giù dal tavolo e con agile gesto si precipita fuori dalla stanza.
Sono le 16.45 del 25 gennaio 1945 e le finestre vengono oscurate dalle persiane. Si ode un rumore assordante: le raffiche di venti repubblichini consegnano alla memoria i nomi di Vittorio Michelini, Alfredo Ratti e Raffaele Criscitello, salutati ogni anno dalla cittadinanza riconoscente, come martiri della Libertà.

Tania Marinoni

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  31.01.2016