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La Deposizione Borghese raccontata al Carrobiolo
Anna Marini


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Il Carrobiolo di Monza saluta l'approssimarsi della Pasqua cristiana con la critica di un'opera d'arte a sfondo religioso, all'interno del ciclo di incontri “I mercoledì in biblioteca”. L'architetto e giornalista Elena Magni analizza nella serata di mercoledì 9 marzo la Deposizione Borghese di Raffaello Sanzio, oggi visitabile nell'omonima galleria a Roma. L'opera, designabile anche con l'appellativo di Pala Baglioni, dal nome del committente, raffigura un tema apparentemente semplice, ma in realtà complesso, non tanto per la simbologia sottesa, quanto piuttosto per le diverse letture che propone.

La vicenda rappresentata vanta un legame affettivo con il suo autore: secondo l'interpretazione dell'epitaffio infatti, nei giorni della nascita e della morte di Raffaello Sanzio si celebra la ricorrenza del Venerdì Santo.
L'opera viene eseguita nel 1507, in una Firenze che beneficia anche del genio di Leonardo e di Michelangelo. La Deposizione Borghese viene commissionata da Atalanta Baglioni, esponente della nobile casata perugina. La donna è una madre che assiste alla morte del figlio, causata dai parenti con cui si era alleata, all'interno delle faide familiari per il governo di Perugia. E' per la cappella funeraria di Grifonetto che Atalanta commissiona a Raffaello un compianto sul Cristo morto. L'opera del pittore sembra spingersi oltre, nel rappresentare come centrale una tematica che da sempre occupa un ruolo marginale nelle composizioni sacre. I sedici disegni preparatori sviluppati dall'artista raffigurano inizialmente il tema, che poi sfocia sulla tela nel trasporto del corpo di Gesù. Della tematica non vi è traccia nelle sacre scritture: i vangeli di Marco e Giovanni narrano solamente della sepoltura.

L'opera presenta un mito classico rivisitato nella forma espressiva in chiave cristiana: il Cristo viene raffigurato defunto attraverso un gesto, in letteratura artistica noto come “braccio della morte”. Nelle raffigurazioni nordiche e in quelle classiche un cadavere viene ritratto con l'arto superiore che pende esanime dal corpo. Attraverso questa raffigurazione venivano immortalati, nei bassorilievi sui sarcofagi romani, il cadavere di Ercole e quello di Meleagro, protagonista del celebre mito, con cui la vicenda della famiglia Baglioni vanta diverse attinenze. Secondo il concetto della pathosformel, coniato da Aby Warburg per indicare le immagini archetipe ricorrenti in contesti differenti nella storia dell'arte, nell'opera di Raffaello si legge la trasposizione cristiana di un'esperienza emotiva attinta dalla tradizione pagana. A questa modalità raffigurativa ricorrono altri autori dell'arte sacra, come testimonia La Pietà vaticana di Michelangelo, ma anche di quella laica, come dimostra La morte di Marat di Jacques-Louis David.

Il “braccio della morte” in “La Pietà” di Michelangelo, “La Deposizione Borghese” di Raffaello e la “Deposizione” di Caravaggio. (Ripreso dal web senza conoscerne l'autore)

La Deposizione Borghese costituisce lo scomparto principale della Pala Baglioni, destinata ad una cappella con accesso a sinistra: è da questa direzione, infatti, che la luce di Raffaello illumina nell'opera la scena; tutti i personaggi raffigurati condividono l'evento a cui partecipano guardandosi reciprocamente, tranne uno, che osserva lo spettatore mentre avanza nella cappella. La figura barbuta, del tutto simile al San Matteo di Michelangelo, rappresenta molto probabilmente San Pietro. In realtà all'estrema sinistra della scena un altro personaggio rivolge lo sguardo, intenso, altrove, verso l'alto: il suo viso sembra contemplare qualcosa che sfugge oggi all'osservatore. In origine la cimasa dell'opera doveva ospitare, assieme alle virtù teologali, la raffigurazione del Padreterno benedicente: è verso lui che guardano sia il Cristo, pur con gli occhi semichiusi, sia il portatore. La composizione originale, oggi non più apprezzabile, invitava quindi ad interpretare la scena secondo i dettami della religione cristiana: solo guidati dalla potenza di Dio e sorretti dalle virtù teologali si può guardare alla vicenda ritratta.

Una lettura personale dell'opera indica dietro i personaggi sacri i componenti della famiglia Baglioni. Atalanta viene rappresentata nelle vesti di Maria, che assiste alla morte del figlio; Nicodemo, che secondo i Vangeli sorregge inferiormente il corpo di Gesù, nella tela è un giovane di belle sembianze e rappresenta Grifonetto, l'unico nel gruppo ritratto di spalle: quando Raffaello dipinge la tela, infatti, Federico Baglioni è già morto, e il suo personaggio risulta così collocato fuori dalla Storia. Con i tratti di Maddalena viene invece raffigurata Zenobia, moglie di Grifonetto.

Alessandra Odi Baglioni, discendente della famiglia committente, suggerisce anche una lettura politica dell'opera. Nella fortificazione raffigurata a destra sullo sfondo si può riconoscere il castello di Antognolla di proprietà dei Baglioni, interpretando in questo la volontà dell'artista di richiamare la zona umbro-toscana.

Mentre San Pietro e gli altri personaggi collaborano attivamente al trasporto del Cristo morto, Maria (Atalanta Baglioni) e Nicodemo (Grifonetto) dimostrano un atteggiamento per nulla solidale con il gruppo, ma anzi, quasi in netta contrapposizione: è come se venisse inscenato un contrasto tra la componente “romana” della scena e quella “umbra”, che rimanda alla carriera di Raffaello Sanzio. All'epoca, infatti, l'artista operava sul territorio umbro, ma era propenso a trasferirsi in Vaticano. Questi dettagli, oggi secondari per un osservatore, potevano essere rilevati da un fruitore contemporaneo e l'opera costituiva un chiaro biglietto da visita che Raffaello presentava al Pontefice.

Evidenti nei disegni preparatori della Deposizione Borghese risultano le influenze dell'Alberti sull'arte di Raffaello: ai suoi dettami si attiene il pittore nella rappresentazione di un corpo, preventivamente studiato nello scheletro e in seguito “rivestito” di carne ed abiti; sempre all'Alberti guarda Sanzio nell'interpretare l'oggetto simbolo della sofferenza più grande: gli occhi di San Giovanni, il discepolo maggiormente amato da Gesù e tra tutti il più addolorato dalla morte del Cristo, non vengono infatti raffigurati, poiché il dolore nella sua massima manifestazione, secondo Alberti, non poteva venire rappresentato. Nella tela si apprezzano alcuni rimandi al tema della Resurrezione: gli occhi di Gesù vengono raffigurati non completamente chiusi, come se appartenessero ad un corpo in procinto del risveglio; allo stesso modo il sangue spilla dalle ferite come da un corpo in vita. In numerose essenze che arricchiscono la scena si legge inoltre la simbologia legata alla Passione di Cristo e alla vita eterna. Il soffione è un'erba amara, ma che disperde semi generatori di vita; le foglie dell'agrimonia eupatoria, invece, sono morfologicamente accostate alle ferite inferte nel costato a Gesù. Nella scena si può anche trovare un riferimento alla profezia formulata da Simeone a Maria durante la presentazione di Gesù al Tempio: “E anche a te una spada trafiggerà l'anima”: nella tela la croce, luogo della morte di Cristo, è raffigurata in asse con il petto di Maria.

Anna Marini

studi preliminari


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  14 marzo 2016