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L'arte nascosta di Vivian Maier
A Monza all'Arengario
Anna Marini

foto Anna Marini

E' aperta al pubblico da sabato 8 ottobre fino a domenica 8 gennaio la mostra che all'Arengario espone gli scatti di Vivian Maier, fotografa statunitense rimasta sconosciuta fino a due anni prima della sua scomparsa, avvenuta nel 2009. Le informazioni sulla sua vita e sull'imponente contributo offerto alla storia dell'arte fotografica provengono dall'interessamento di John Maloof: l'agente immobiliare, dedito al collezionismo, nel corso di una ricerca di immagini relative a Chicago, incappa nelle sue istantanee e scopre che sono il frutto della grande passione per la fotografia di una donna che di lavoro fa la bambinaia. Il vivo interesse che anima la Maier è anche intriso di profonda riservatezza: prova ne è l'archivio di 150.000 documenti realizzati dall'artista e ritrovati solo dopo la sua morte; tra questi spiccano negativi, diapositive e rullini mai sviluppati: l'intera collezione di una fotografa vissuta nel ventesimo secolo e divenuta celebre sui social media negli anni Duemila. I dettagli biografici di Vivian Maier, che emergono dalle scarne testimonianze, rivelano una personalità attraente e complessa; caparbia, ironica, contraddistinta da una viva intelligenza, la donna poteva anche essere permalosa e non di rado incuteva soggezione nel suo interlocutore.

Con la sua Rolleiflex immortala inizialmente scene di vita, camminando per le strade di New York che negli anni Cinquanta si apre alla modernità; l'artista raffigura poi il tangibile divario tra ricchi e poveri nei quartieri di una Chicago, aggredita da un irruente boom edilizio. Maier esplora il mondo, osservando le manifestazioni d'agiatezza delle classi facoltose e le ristrettezze economiche dei ceti meno abbienti; ritrae la popolarità e l'anonimato. Dall'assistenza di soggetti fragili come bambini e in seguito anziani e disabili evade, scrutando le individualità che suscitano il suo interesse. La fotografia non risponde in lei ad un desiderio di documentare scene e particolari di vita, ma è piuttosto un necessità, un bisogno interiore: l'artista non conduce un lavoro di denuncia, ma un esame approfondito sulla realtà che le scorre accanto. Frammenti di tempo, e al tempo stesso sottratti, sono le sue immagini, cariche di un'incredibile energia vitale, scaglie emotive consegnate al futuro e sempre attuali. Vivian Maier ritrae il centro di Chicago, come le stanze in cui lavora: tutto per lei è meritevole di essere immortalato e spesso fanciulli e adolescenti nella loro fragilità sono i protagonisti prediletti di un'arte assolutamente impassibile e ascrivibile in quella che si definisce fotografia street view.

Ma la serialità degli scatti propone un importante interrogativo circa la finalità di questi documenti. La Rollei rappresenta indubbiamente lo strumento attraverso il quale la donna leggeva ed interpretava il mondo, il linguaggio con cui lo rappresentava a se stessa, tuttavia la ripetizione di numerose istantanee induce a ipotizzare il desiderio della Maier di registrare i luoghi che aveva visitato, i momenti vissuti, per fissarli in una sorta di diario illustrato; ma questa pratica può rappresentare anche il tentativo di rafforzare in lei la sua identità di fotografa. Si guadagnava da vivere come governante di bambini, ma era e si riteneva una fotografa, anche se come tale non si è mai presentata al mondo, che ha scoperto la sua copiosa e ricca opera, pur non organizzata, solo in seguito alla sua morte.
Nell' eredità artistica di Vivian Maier si annoverano non solo numerose fotografie, ma anche documenti realizzati con dispositivi differenti dalla sua mitica Rolleiflex. Dopo la sua scomparsa vengono ritrovate, ad esempio, 150 bobine in Super 8 dedicate alla vita urbana e suburbana, al multiforme aspetto della metropoli. Celebri sono i ritratti e forse ancor più gli autoritratti: se tanto diretto è il suo stile, tanto questi diventano nel corso degli anni sempre più criptici. L'autoritratto è prassi piuttosto comune tra gli artisti, ma nella tecnica della Maier non c'è nulla di narcisistico che avvalori l'ipotesi di un gesto occasionale. Nella sua arte si coglie sempre un'attenta osservazione di volti, gesti e momenti, una dedizione volta a studiare i rapporti umani, le relazioni e l'esistenza stessa, indagati nella loro più intima essenza.

Ma la più grande ricchezza della sua opera è l'incredibile attualità delle sue immagini, che, grazie a quelle emozioni trattenute, ancora oggi ci parlano dalla loro aura di mistero. Nei diversi ambienti l'artista conduce un'assidua ricerca sia negli interni, con la fotocamera su cavalletto e l'autoscatto, sia negli spazi esterni, attraverso superfici riflettenti e con la propria ombra, a tratti quasi incombente.

Strutturata in sezioni, la mostra all'Arengario propone i capolavori iconografici della Maier suddivisi in relazione alle tematiche trattate: autoritratti, bambini, geometrie e oggetti, sagome scure, vita di strada, ritratti; vengono mostrati inoltre i filmati, contraddistinti non tanto da un intento narrativo, ma dalla scrupolosa osservazione della vita che scorre nelle strade. Nell'esposizione viene documentato, nell'arte della Maier, il passaggio dalla fotografia in bianco e nero a quella a colori, sancito dalla sostituzione della memorabile Rolleiflex con una performante Leica. In questa fase, che rappresenta per l'artista una nuova sfida, il cromatismo diventa l'espediente attraverso il quale cogliere divertenti contrasti e dedicarsi all'astrattismo.

Anna Marini



  Alcune delle foto esposte; dall'alto: autoritratti; bambini; ritratti; dark forms - cliccare sulle foto per ingrandirle


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  12 ottobre 2016