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I grandi killer della Liberazione
secondo Forza Nuova
Tania Marinoni

foto dalla pagina FB di Carcano 91

Il diciannove gennaio al Binario 7 Gianfranco Stella (da non confondere con Gian Antonio Stella, del Corriere della Sera) presenta il suo ultimo libro, edito in proprio, “I GRANDI KILLER DELLA LIBERAZIONE”: è un evento organizzato da Carcano 91 e da Ordine Futuro, due organizzazioni vicine a Forza Nuova che, anche per questo, ha visto la ferma opposizioni dell'ANPI e di tutte le forze antifasciste.
Fuori dall'edificio che fu sede della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) e durante la RSI teatro di gravi violenze compiute dai fascisti ai danni degli oppositori al regime, un lungo cordone di poliziotti è schierato in assetto antisommossa.
Prima dell'inizio dell'evento un gruppetto del presidio organizzato dagli antifascisti in piazza Centemero e Paleari viene a deporre una ciotola di fiori ai piedi della targa che ricorda questa tragica storia dell'edificio ed intona “Bella ciao”.

Nella sala allestita a teatro, con una capienza di 100 persone (dato ufficiale) ma secondo gli organizzatori occupata da 150, la scena è occupata da due tavoli. Uno completamente ricoperto dai volumi ordinatamente disposti; all'altro l'autore Gianfranco Stella sorride mentre autografa qualche copia appena venduta, uguale a quella che una spettatrice dagli occhi cerulei agita in un saluto rivolto alla platea. La sala è percorsa in lungo e in largo da giovani zelanti, in giacca a vento nera bordata di rosso: sono i volonterosi attivisti di Forza Nuova. Uno di loro, neppure ventenne, chiede timidamente e con un desueto “scusi-permesso-grazie” di passare davanti alle persone sedute. E poi i camerati, dal cranio glabro e dalla mascella volitiva, scolpiti nella loro disinvolta intransigenza, avanzano nella sala. Si salutano, come reduci di gloriose battaglie, stringendosi il braccio; poi perlustrano l'aula con i loro occhi severi: marcano il territorio.
«Il saluto non possiamo farlo, vero?» si leva, in una fragorosa risata, una voce dal pubblico.
Negli occhi di tutti regnano l'approvazione e la soddisfazione per l'iniziativa che finalmente renderà giustizia alla Storia.

La serata si apre con la commemorazione di Alfredo deceduto due anni orsono, un “camerata moderato, che sapeva fare gruppo”. In sua memoria viene rispettato un minuto di silenzio e si declamano le struggenti parole di Sant'Agostino: “Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria puntati nei nostri pieni di lacrime”.
Ermanno, attivista di Ordine Futuro, espone le necessità che hanno condotto ad organizzare questo evento ed analizza il contesto nel quale nasce l'urgenza di una “preziosa ricerca” come il saggio di Stella. il clima attuale, chiarisce il giovane, è governato dall'antifascismo vigilante, un processo, questo, diffuso nel nostro paese, in particolare nelle province di Milano e di Monza, ma che non gode di una base popolare: è infatti forzatamente indotto da determinate elite intellettuali con la precisa finalità di distogliere l'attenzione da temi ben più importanti.
Poi la parola passa a Gianfranco Stella, assurto agli onori della cronaca per essere stato citato in giudizio per diffamazione e, grazie alle sue ricerche, per aver permesso a Gianpaolo Pansa di scrivere “Il sangue dei vinti”. Pansa ha citato per ben 14 volte le ricerche di Stella, questo ci tiene a precisare, ed in effetti la principale critica sempre rivolta al libro di Pansa è proprio la carenza di fonti documentate.
L'autore definisce il suo saggio un “lavoro scientifico”, uno studio condotto per mezzo di un astuto espediente: si è spesso finto assistente di un noto studioso antifascista e così ha potuto conquistare la fiducia di coloro che stava indagando ed ottenere le informazioni necessarie per l'analisi. Stella vanta infatti numerose interviste e colloqui con quelli che definisce “grandi criminali” della Resistenza: negli anni ha raccolto testimonianze preziose e dati certi; non mancano neppure le fotografie, che ha abilmente sfilato dagli atti giudiziari.

L'esposizione dell'autore si concentra su una tematica fondamentale: la strategia di lotta condotta dai partigiani comunisti, analizzata alla luce di fatti inediti e non sulla base della retorica resistenziale diffusa dal PCI e dall'ANPI, egli dice. Stella contesta subito l'asserto fondamentale alla base della lotta di Liberazione: l'aver combattuto tutti per un ideale comune, l'antifascismo, che ha unito al suo interno anime molto diverse. Lo scrittore afferma che la Resistenza è nata nella discordia, nella forte contrapposizione tra l'ala marxista e l'altra, moderata e cattolica. La prima era capeggiata da Longo, il vero “dominus” della guerra di Liberazione, che fondava la sua strategia sulla provocazione; la seconda è stata brutalmente eliminata dall'intransigenza dei “comunisti” che si sono macchiati quindi di crimini orrendi e fratricidi, sapientemente occultati con l'inganno. La Resistenza, dunque, è opera della sola anima comunista e la lotta di Liberazione è una “reminiscenza del Biennio Rosso”.

Stella prosegue poi ad analizzare la tattica bellica dei partigiani che, precisa, non hanno mai combattuto in campo aperto, ma hanno sempre preferito sferrare attacchi nell'anonimato: la guerriglia è, secondo la sua analisi, frutto della viltà dei combattenti, che, per questo, e non perché non appartenevano ad eserciti regolari, non indossavano divise ed elmetti. La brutalità dei partigiani comunisti era orientata, secondo l'autore, ad un preciso piano politico: combattere contro fascisti e antifascisti moderati, per istituire in Italia una repubblica sovietica. L'egemonia comunista esercitava un capillare controllo sul territorio durante la guerra (“comandavano loro” precisa lo scrittore) e sull'informazione a conflitto ultimato. Tre le realtà che, a giudizio di Stella, sono state le principali responsabili di aver stravolto i fatti della guerra di Liberazione e cita il Partito Comunista Italiano, la CGIL e l'ANPI.

***
Un'esposizione, quella di Stella, che, pur esente da apologia di fascismo, stravolge completamente la Storia e non apporta alcun contributo inedito all'analisi della Resistenza. Tanta magniloquenza, dunque, altrettanta fantastoria e nessun accenno ai fatti che invece il libro, secondo le intenzioni dell'autore, dovrebbe trattare.

Nell'immediato dopo guerra alcuni partigiani esercitarono atti di violenza contro esponenti della Guardia Nazionale Repubblicana, delle Brigate Nere e di civili. Episodi compiuti nel famigerato “Triangolo della morte” in Emilia e altrove.
Atti di vendetta, che derivano certamente dalla brutalità di un regime sanguinario e da anni di una guerra devastante, ma che non possono e non devono venire ignorati da tutti coloro che si richiamano ai valori dell'antifascismo, o peggio, giustificati da un aberrante “in fondo i fascisti se lo meritavano”.
Atti che non inficiano i valori della Resistenza e dell'antifascismo.
Atti che non devono essere strumentalizzati per arrivare ad affermare: “erano tutti uguali”.
Atti che devono essere documentati con rigore scientifico e non strumentalizzati da una nefasta propaganda fascista.
Atti che, se riconosciuti, contestualizzati e analizzati con onestà, potrebbero forse costituire un'occasione molto importante per iniziare a muovere i primi passi verso il difficile e delicato processo di memoria condivisa.

Tania Marinoni

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  22 gennaio 2018