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RiPensiamoci
Economia e trasformazione della società
nel tempo della globalizzazione e dell'automazione
Anna Marini


«I'm sorry Dave, I'm afraid I can't do that».
Con le celebri parole del computer HAL 9000 il film 2001 Odissea nello spazio superava il confine tra tecnologia e fantascienza, introducendo la coscienza nei robot.
Giungeremo mai ad un simile risultato? Oppure, forse, lo abbiamo in parte raggiunto? Quali sono i compiti che oggi le macchine possono svolgere, quali le relative conseguenze in ambito etico e nel mondo del lavoro?
La tematica è stata affrontata da Salvatore Carrubba, giornalista, scrittore e accademico, nella serata di giovedì 4 aprile: ultimo appuntamento del ciclo di conferenze RiPensiamoci, organizzato dall'associazione Novaluna all'Istituto Leone Dehon.

La Storia, ricorda il dottor Carrubba, ha conosciuto quattro rivoluzioni industriali, ciascuna delle quali ha determinato un forte impatto sul mondo del lavoro, che ne è uscito sempre radicalmente cambiato in termini occupazionali.
La prima, avvenuta a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento, interessò prevalentemente il settore tessile-metallurgico; la seconda comportò l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. La terza vide l'adozione dei computer e delle memorie digitali. Quella tuttora in corso, relativa alle cosiddette tecnologie convergenti, è di natura antropologica e presenta peculiarità del tutto inedite.

Le conseguenze derivanti dalla rivoluzione in atto hanno una portata molto maggiore rispetto alle modifiche introdotte dalle precedenti e soprattutto stravolgono la convinzione secondo la quale l'uomo domina la natura senza essere a sua volta governato da alcunché.
Le macchine oggi riescono non solo ad eseguire operazioni per le quali sono state realizzate, ma anche a svolgere procedure non necessariamente codificate dagli uomini: sanno risolvere da sole problemi e persino inventare. Tre esempi sorprendenti avvalorano questa tesi.


Il primo presenta un'opera realizzata nell'ambito di un progetto di intelligenza artificiale: il ritratto di Edmond Belamy. Il dipinto, impreziosito da una cornice dorata, è stato eseguito dall'algoritmo Al, che si è servito di un numero altissimo di ritratti, inseriti in precedenza nel computer.


Il secondo esempio ci conduce a Londra, dove, a guardia della Colonna di Nelson, ruggisce un quinto leone, che a differenza degli altri realizzati in bronzo, è di natura digitale. L'installazione, nata dalla fantasia di Es Devlin in occasione del London Design Festival, è conosciuta come Please Feed the Lions.Affamato” di poesie, il felino è stato nutrito  dal pubblico con 25 milioni di versi tratti dalla letteratura del XIX secolo e in cambio ha prodotto una poesia: un'opera collettiva, frutto della collaborazione di ciascun visitatore.


Ancora più affascinante è il terzo esempio, quello del campione mondiale di Go sconfitto da un robot. Negli scacchi il numero di combinazioni possibili in una partita è l'astronomica cifra di 10 seguito da 123 zeri, nel Go le combinazioni sono addirittura di 10 seguito da 170 zeri, più di tutti gli atomi dell'universo. Se nei casi precedenti le macchine sceglievano una combinazione tra la miriade di dati ricevuti, nella gara disputata con il campione il computer non ha certamente potuto beneficiare di partite caricate nella sua memoria; e alcune mosse, interpretate dagli uomini come errori, hanno invece condotto il robot alla vittoria. La macchina, in questo caso, affermano gli esperti, ha potuto solamente “ragionare”, meglio degli uomini.

Sorge quindi spontanea una domanda: la mente dei robot è simile a quella umana? Gli studiosi si dividono tra i sostenitori dell'intelligenza artificiale forte, e quelli schierati per l'intelligenza artificiale debole. I primi, a differenza degli altri, ritengono che le macchine potranno divenire sapienti e prendere coscienza di sé. E' una disputa accesa su una tematica molto complessa che impegna non solo tecnici e scienziati, ma anche studiosi di filosofia. Sicuramente alle macchine viene richiesto sempre più di prendere decisioni autonomamente: un fatto che induce molti esperti a rilevare la necessità di insegnare l'etica ai robot. Un'auto a guida autonoma, programmata per rispettare il codice della strada, saprà infrangere le regole in caso di emergenza, evitando così di investire un pedone?

La nuova frontiera della robotica insegna quindi che oggi le macchine sono in grado non solo di sostituire, con una raffinata automazione, i lavori tradizionali, ma anche di assumere decisioni non previste dalla programmazione. Sono sistemi complessi che percepiscono l'ambiente e reagiscono a situazioni non previste. La quarta rivoluzione ci riporta così al dilemma sollevato da Keynes nel 1930: siamo colpiti dal malessere della disoccupazione. Un leitmotiv che ritorna, ma adesso con una nota molto più allarmante: le macchine impongono a qualunque lavoratore di mettersi in discussione, sviluppando continuamente nuove capacità.
Una ricerca sui lavori che lo sviluppo tecnologico minaccia di fagocitare ha animato un forte dibattito: il 47% di questi viene ritenuto ad alto rischio e il 19% a rischio medio. A rischio zero sono il cameriere e le badanti. Una prospettiva inquietante.
Occorre elaborare nuovi modelli di welfare, per governare situazioni di crisi come la condizione del cinquantenne che perde il lavoro, oppure il trentenne disoccupato. E' una sfida che ci attende, ammonisce il dottor Carrubba, ed è di natura politica.

Anna Marini

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  8 aprile 2019