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Il cervello e l'arte
Anna Marini


Cosa accade dentro di noi quando ammiriamo oppure componiamo un'opera d'arte? Quali le risposte del cervello agli stimoli indotti dall'osservazione di un dipinto, o di una scultura? Il tema è stato affrontato dal dottor Antonio Colombo nel ciclo di conferenze istituito all'interno della manifestazione culturale Monza in Acquarello. Antonio Colombo, neurologo e direttore del Polo Neurologico Brianteo, ha illustrato con una chiara esposizione divulgativa il funzionamento del cervello nella fruizione di produzioni artistiche.


Per poter percepire un'opera occorre innanzitutto esercitare l'azione visiva, espletata grazie anche al lobo occipitale, la parte posteriore del cervello che contiene i centri della percezione visiva elementare. All'apprezzamento di un capolavoro concorrono diversi fattori, tra i quali determinanti risultano essere i colori, che mutano in relazione al ciclo delle stagioni, alle diverse fasi del giorno e alle condizioni meteorologiche. Nonostante la loro variabilità, il nostro cervello riesce a distinguere il medesimo soggetto rappresentato, anche se raffigurato con differenti tonalità. Un esempio è la nostra capacità di riconoscere la Cattedrale di Rouen nelle diverse interpretazioni cromatiche di Claude Monet. La luce è un altro parametro che influisce sulla possibilità di gradire un capolavoro: se proviene dall'alto e da sinistra, conferisce profondità, pur in assenza della tecnica prospettica. La rappresentazione corticale di un dipinto varia in relazione alla distanza da cui lo si osserva: si può intuirne la grande importanza davanti ad opere di divisionisti e di puntinisti.


L'esperienza estetica è influenzata altresì dai centri dell'umore, che risiedono nel cervello più antico, il cosiddetto paleoencefalo: la parte dell'encefalo con le formazioni nervose filogeneticamente più antiche, dove hanno sede le attività istintive e i comportamenti emotivi.
Nella valutazione di un'opera entra in gioco anche la soggettività di chi guarda: i ricordi, il vissuto personale, la cultura e persino i fattori genetici. Tuttavia, un'universalità espressiva condivisa consente a tutti di esprimere emozioni in assenza della parola: è la semantica, ossia una simbologia del linguaggio non solo verbale. La valutazione di un capolavoro è soggetta inoltre al giudizio personale dell'osservatore, che viene sviluppato nella corteccia prefrontale, la regione anteriore del lobo frontale, sede della pianificazione dei comportamenti cognitivi complessi.
Il senso estetico di un'opera pittorica richiede la partecipazione di tre indispensabili elementi: l'autore, l'opera e il fruitore. In alcune occasioni lo spettatore diviene protagonista in tale processo, come nel caso del non finito leonardesco, oppure nei dipinti in cui la genialità dell'artista lascia all'osservatore l'infinità di soluzioni che l'opera può offrire. Nel celebre dipinto Lezione di musica (o Gentiluomo e dama alla spinetta) di Jan Vermeer viene demandato alla soggettività di chi guarda il dialogo ipotetico tra il maestro e l'allieva.


Nell'apprezzamento dell'arte concorre anche una classe di neuroni, i cosiddetti neuroni a specchio, che costituiscono una grande scoperta neurobiologica del secolo scorso: un vanto italiano, grazie all'equipe di ricercatori dell'Università di Parma, guidata dal professor Giacomo Rizzolatti. L'attivazione dei neuroni a specchio, che avviene ogniqualvolta si compie un'azione, oppure quando la si vede compiere, è permessa quindi da cause motorie, o sensoriali. Questa classe di neuroni è responsabile del riconoscimento delle emozioni dell'altro: la capacità di entrare in sintonia con chi ci relazioniamo ci permette anche di essere in empatia con un'opera. Quando ammiriamo un dipinto o una scultura, i neuroni a specchio attivano l'esperienza estetica: un particolare stato, che si esplica dapprima nel desiderio di vedere un'opera, e successivamente nell'appagamento raggiunto con l'osservazione di tale opera. Ma la bellezza artistica può indurre in alcuni soggetti molto sensibili disturbi psicosomatici transitori, nei quali responsabili sono ancora una volta i neuroni a specchio: è la cosiddetta sindrome di Stendhal, testimoniata per la prima volta dal celebre scrittore francese, a cui il malessere deve il nome, e resa nota dalla psichiatra fiorentina, Graziella Magherini.


Grande interesse suscitano le opere realizzate da autori che hanno subito lesioni cerebrali. Anton Räderscheidt pittore tedesco ed esponente della Neue Sachlichkeit, dopo che fu colpito da un ictus, riportò un'alterazione nella percezione dell'ambiente, riscontrabile anche nella sua produzione artistica.

“E stato detto che i grandi avvenimenti del mondo hanno luogo nel cervello. Nel cervello, e nel cervello soltanto, hanno luogo anche i grandi peccati del mondo”.
(Oscar Wilde)

Anna Marini

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  6 maggio 2019