prima pagina lente pagina precedente




Democrazia ed estrema destra
Il caso monzese
Umberto De Pace

fasci

Tra i tanti problemi che l'Europa si trova oggi di fronte, il riemergere di movimenti di ispirazione fascista e o nazista sarebbe un grave errore ritenerlo un fenomeno marginale. Se era prevedibile che tra gli effetti della grande crisi economica mondiale di questi anni, accompagnata dall'imponente fenomeno delle migrazioni, vi fosse anche la deriva populista, xenofoba e razzista, le politiche fin qui adottate per contrastarla, in gran parte hanno contribuito ad ampliare il consenso verso chi con demagogia e spregiudicatezza sfrutta il disagio sociale per i propri scopi e fini politici.
Sul neofascismo - 1


Alquanto dibattuto, spesso a sproposito per futile accusa, semplice propaganda o polemica politica, il tema del fascismo periodicamente torna alla ribalta nella storia del nostro paese. D'altronde è qui in Italia che si è avuta la sua gestazione, la successiva nascita e sviluppo e infine il suo tragico epilogo.


Come ricordava Umberto Eco il 25 aprile 1995, nel suo intervento alla Columbia University in occasione delle celebrazioni per la liberazione dell'Europa, il “ … fascismo può tornare sotto le spoglie più innocenti …” , può assumere “ … nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo.” (Umberto Eco “Il fascismo eterno” ed. La nave di Teseo, gennaio 2018). Il contributo alla lettura e all'interpretazione della contemporaneità è da sempre una prerogativa degli intellettuali di ogni tempo, portatori del proprio punto di vista personale e culturale, nonché politico certamente, alle volte sopra le righe altre premonitore di accadimenti e sviluppi futuri. Per Umberto Eco la possibilità di un ritorno del fascismo non è da escludere perché al contrario dell'unicità del nazismo la sua “sgangheratezza politica e ideologica” sia pur ordinata e la sua “confusione strutturata” permettono “… di giocare al fascismo in molti modi, e il nome del gioco non cambia.” Ciò permette al “… termine “fascismo” di adattarsi a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l'imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola.” Agli studenti americani in quei giorni ancora scossi, come tutto il paese, dall'attentato di Oklahoma City e dalla presa di coscienza del fatto che anche negli Stati Uniti esistevano organizzazioni di estrema destra, Umberto Eco volle dare degli strumenti per comprendere quello che definì l'”Ur-Fascismo” o il “fascismo eterno”, riassumendo in quattordici punti le sue caratteristiche; le quali sia pur in contraddizione fra loro, e tipiche anche di altre forme di dispotismo e fanatismo, è sufficiente che anche solo una di queste: “… sia presente per far coagulare una nebulosa fascista.” Le caratteristiche da lui individuate sono: il culto della tradizione, il rifiuto del modernismo, il culto dell'azione per l'azione, il rifiuto della critica, la paura della differenza, l'appello alle classi medie frustrate, il nazionalismo, la necessità di avere un nemico, la vita come lotta, l'elitismo popolare, il mito dell'eroe associato al culto della morte, il machismo, il “populismo qualitativo”, l'uso di una “neolingua”. Concludendo, Umberto Eco ammonisce quanto sarebbe facile e semplice condannare e respingere chiunque “ … si affacciasse oggi sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camice nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L'Ur fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno in ogni parte del mondo.”


Un altro grande intellettuale del secolo scorso affrontò più volte il tema del fascismo riflettendo sui temi d'attualità del suo tempo: Pier Paolo Pasolini, oggi da più parti citato su questo tema, nonché distorto e strumentalizzato. Prendo spunto da alcuni dei suoi testi raccolti nel pamphlet “Il fascismo degli antifascisti” recentemente pubblicato dalla casa editrice Garzanti (settembre 2018) non a caso sfruttando il titolo evocativo quanto fuorviante. Pasolini, siamo a metà degli anni '70, anticipava quel cambiamento epocale che solo molti anni dopo entrò a far parte del lessico comune alle voci “neoliberismo” e “globalizzazione”, individuandone i contorni, percependone lo spessore e gravità, pur dichiarando “… sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c'è.” Un nuovo Potere “... non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una “mutazione” della classe dominante …” ma che si configura per Pasolini come una “… forma “totale” di fascismo.” Ciò che è interessante qui sottolineare, all'interno del complesso e articolato pensiero pasoliniano, è l'utilizzo del paradigma fascista quale espressione di ogni dittatura, oppressione, totalitarismo. Ciò va letto ovviamente su un piano culturale e sociologico e non storico o politico. Pur individuando “il vero fascismo” nella società dei consumi, pur rimarcando come il fascismo sia “… un tetro comportamento coatto”, pur cosciente del fatto che i fascisti “ufficiali” dell'epoca “… non sono altro che il proseguimento del fascismo archeologico: e in quanto tali non sono da prendere in considerazione.” Pasolini non manca di ammonire sul pericolo che: “… viene oggi dai giovani fascisti, dalla frangia neonazista del fascismo che adesso conta su poche migliaia di fanatici ma che domani potrebbe diventare un esercito.” La sua non è una condanna cieca né ideologica, a dimostrazione di ciò la sua attenzione e sensibilità verso i soggetti più deboli al di là della loro posizione politica, cosciente o incosciente che sia. Sulla rivista “Vie nuove”, il 6 settembre 1962, Pasolini sferza l'ipocrisia e il cinismo di un'Italia che “… sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo.” riconoscendo al contempo le attenuanti, della protesta e della rabbia, ai figli adolescenti fascisti di quell'Italia che in fondo se li meritava. Pasolini dichiara ciò senza nascondere il suo trattenere “ … l'impeto, subito represso, perché infine cattivo, di scrivere un epigramma; un epigramma con cui augurare ai miei nemici borghesi dei figli fascisti. Che vi vengano figli fascisti, che vi distruggano con le idee nate dalle vostre idee, l'odio nato dal vostro odio.” Fra le sue sferzanti denunce non mancavano riflessioni di umana attenzione quanto di profonda autocritica, dettata dal suo essere un intellettuale di “vita” e di “strada” sensibile e cosciente delle fragilità e contraddizioni umane, rammaricandosi per essersi comportato “… coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti, e di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse nulla da fare. E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell'orrenda avventura per semplice disperazione.” E ancora, in una successiva replica a Italo Calvino che dichiarò riferendosi alla sua tesi: “I giovani fascisti di oggi non li conosco e spero di non aver occasione di conoscerli.”, rispose: “ … augurarsi di non incontrare mai dei giovani fascisti è una bestemmia, perché, al contrario, noi dovremmo far di tutto per individuarli e per incontrarli. Essi non sono i fatali e predestinati rappresentanti del Male: non sono nati per essere fascisti.” Quanto fosse vicina alla realtà questa lettura di Pier Paolo Pasolini della “vita di strada” lo si può misurare ancor oggi con quelle testimonianze, dirette o raccolte, di alcuni dei protagonisti dei nostri tempi.


E' quello che ha fatto Christian Raimo con il suo libro, che abbiamo già citato, “Ho 16 anni e sono fascista” (ed. Piemme, marzo 2018), percorrendo le strade delle nostre città, raccogliendo le testimonianze dei giovani d'oggi, dando un'identità alla “moda del fascismo” per concludere che il “… futuro proietta una strana luce nera.” L'autore parlando con questi giovani, ma non solo, indagando anche sui loro “cattivi maestri”, tratteggia la cornice mitico-ideologica del nuovo fascismo del terzo millennio il quale ritaglia dalle sue origini il periodo “… tra il 1919 e il 1922, e quello tra 1943 il 1945, come se fosse stato solo una rivoluzione incompiuta e non un ventennio di governo e regime totalitario. Quello che propone è una nuova generazione politica ispirata all'arditismo, al futurismo, allo squadrismo.” Sintesi emblematica quella di Rolando Mancini, responsabile di Blocco Studentesco (l'organizzazione giovanile di CasaPound): “Abbiamo rilanciato l'arditismo, bisogna essere sempre attenti nello stile, essere sempre innovativi, fare panico mediatico … A noi ci piace più fare che impedire di fare … Il fascismo è un grande padre severo, a cui dobbiamo rendere conto del nostro operato … Per noi c'è la fascinazione per un simbolo, la bandiera, che agisce su un piano emozionale … La forma è anche sostanza. E c'è una gerarchia interna. Ogni sezione ha il suo responsabile, c'è la trincerocrazia, ti guadagni il posto e il ruolo con il tempo che stai qui dentro.” Pare un riassunto pur approssimativo di quel “fascismo eterno” al quale faceva cenno Umberto Eco. Christian Raimo rileva nel corso della sua indagine come: “… la confusione ideologica non fa problema, anzi sembra emulare un pensiero rivoluzionario e aperto.” riportando come dalle interviste dell'antropologa Maddalena Cammelli (“Fascisti del terzo millennio” ed. Ombre Corte, 2015) si riscontri la stessa fumosità di idee che Furio Jesi nel suo libro “Culture di destra” (ed. Nottetempo, 2011) “… definiva “idee senza parole”, concetti astratti, del tutto privi di contestualizzazione storica o filosofica.”

Quanto sia radicata questa confusione ideologica nei giovani estremisti di destra e quanto distante sia il mito degli anni d'oro (a loro dire) del fascismo dalla cruda e brutale realtà storica di quegli anni lo si potrebbe valutare alla luce della lettura dell'ultimo libro di Antonio Scurati “M il figlio del secolo” (ed. Bompiani, settembre 2018).


All'interno dell'interessante racconto proposto dall'autore degli anni che vanno dal 1919 al 1924 trovano la loro naturale collocazione e assumono significato espressioni quali “trincerocrazia”, “arditismo”, gli “anni mitici dell'origine”. Il potere al popolo combattente, lo sprezzo del pericolo, il gusto dell'avventura e l'esaltazione della lotta cruenta, traevano la linfa vitale da quel macello immane che fu la prima guerra mondiale, all'interno della quale germinarono nell'orrore quei cambiamenti antropologici e culturali che portarono, subito dopo la sua fine, al fascismo e al nazismo. Nato dall'odio e dalla violenza, in un epoca in cui odio e violenza impregnavano la lotta politica e sociale, il fascismo seppe barattarli in cambio della paura. La paura della “rivoluzione socialista” che sull'onda della rivoluzione russa, permeava le campagne, i paesi, le città dell'Italia appena uscita dalla prima guerra mondiale. Ed è proprio in quegli anni “mitici” dal 1919 al 1922 che si consumano le più efferate violenze e soprusi da parte dei Fasci di combattimento che ebbero il loro battesimo il 23 marzo del 1929 a Milano in piazza San Sepolcro. D'altronde se di confusione ideologica possiamo parlare a riguardo dei giovani estremisti di destra cosa dire di persone nel pieno della loro maturità culturale e politica, nonché responsabili di importanti cariche istituzionali, come il presidente del parlamento europeo Antonio Tajani, i quali con leggerezza e irresponsabilità evocano “ponti e architetture” a testimonianza delle “cose buone” fatte dal fascismo?


Umberto De Pace

GLI ARTICOLI PUBBLICATI
0 - Prologo
1 - Perché Monza?
2 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 1
3 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 2
4 - Forza Nuova - 1
5 - Forza Nuova - 2
6 - CasaPound - 1
7 - CasaPound - 2
8 - CasaPound - 3
9 - Lorien e Progetto Zero
10 - Lorien e Compagnia Militante
11 - A.D.ES.
12 - Le radici dell'estrema destra monzese - 1
13 - Le radici dell'estrema destra monzese - 2
14 - Sul neofascismo - 1



EVENTUALI COMMENTI
lettere@arengario.net

Commenti anonimi non saranno pubblicati


in su pagina precedente

  12 aprile 2019