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Democrazia ed estrema destra
Il caso monzese
Umberto De Pace

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L’affrontare temi della realtà contemporanea, pur in un contesto locale, non ci può esimire dall’approfondirli in un’ottica più ampia: storica, culturale, politica e sociale. Lo studio, l’analisi, la critica, il sano esercizio del saper distinguere e del dare il proprio significato alle parole, il ricostruire i fatti per quello che sono è un esercizio complesso e impegnativo che richiede il suo tempo; un esercizio al quale non si può rinunciare se si vuole tentare, quantomeno, di interpretare al meglio la realtà che ci circonda. Neofascismo, antifascismo e democrazia sono i grandi temi alla base del fenomeno dell’estrema destra monzese e non solo. Avere una maggiore consapevolezza su questi temi ci permetterà di avere una più chiara comprensione del fenomeno che stiamo analizzando.
Sull'antifascismo - 1


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Il Comando generale del Corpo Volontari della Libertà apre la sfilata del 6 maggio 1945 a Milano


Tema altrettanto dibattuto, alla pari del fascismo, è ovviamente il suo opposto, l'antifascismo. E' con l'avvento della cosiddetta seconda repubblica che fascismo e antifascismo si allontanano nel tempo, con le nuove generazioni sempre meno coinvolte da quello scontro di valori. Questo è quanto riporta l'incipit di copertina del libro dello storico Sergio Luzzato “La crisi dell'antifascismo” (ed. Einaudi, 2004) il quale ponendosi la domanda se l'Italia del terzo millennio possa rinunciare a quanto appreso in conseguenza di un lontano ventennio, risponde: “Per quel che vale, la mia risposta è no. Inoculato a carissimo prezzo, il vaccino antifascista riesce tuttora indispensabile alla salute del nostro corpo politico. Perché il fascino della cosiddetta ingegneria costituzionale non cancella una realtà che gli storici conoscono bene, quand'anche fatichino a descriverla: quella per cui ogni comunità nazionale è diversa dall'altra, la Gran Bretagna dagli Stati Uniti, gli Stati Uniti dalla Francia, la Francia dall'Italia … Calendario alla mano, il volto della democrazia moderna risulta riconoscibile a Londra da almeno tre secoli, a Washington almeno da due; a Parigi da un secolo e mezzo, ma a Roma, da poco più di cinquant'anni. Se si adottano come parametri i tempi necessariamente lunghi del dio Crono, noi italiani siamo neonati della democrazia. E' dunque permesso dubitare … che l'Italia disponga di una tradizione democratica così consolidata da crescere florida anche senza il vaccino antifascista.” Ma allora come mai l'antifascismo sta attraversando una crisi profonda? Secondo lo storico ciò è dovuto non solo al passare del tempo “ … ma anche a causa di una particolare svolta epocale: la svolta del 1989. Perché è vero che, in Italia come in Europa, non vi è stato antifascismo senza il contributo decisivo del comunismo; ed è vero che il comunismo è finito male. Come stupirsi, allora, se la fine dell'uno ha accelerato l'agonia dell'altro?”. Su questo legame fra comunismo e antifascismo, che vedremo più avanti ripreso anche da altri studiosi e analisti, pesa “ … l'ombra del comunismo, con il suo carico enorme di sofferenze e atrocità …” portando al paradosso che “ … gli uomini e le donne i quali, scegliendo a vent'anni l'antifascismo anziché il fascismo, contribuirono in maniera straordinaria a redimere l'Italia dalla colpa storica della dittatura, si trovano adesso, da ottuagenari, a doversi confessare per peccati che non hanno materialmente commesso.” Compito quindi delle nuove generazioni è quello di “ … non consentire che la storia del Novecento anneghi nel mare dell'indistinzione. Sarebbe quanto meno derisorio scoprire che il privilegio di essere nati “dopo” ci affranca dal compito di decidere chi siamo ricordando da dove veniamo. Certo, né i parenti né gli antenati si scelgono: la storia ce li assegna irrevocabilmente. In compenso, ci è dato scegliere quali antenati onorare e quali ricusare; e ci è dato di assistere fino all'ultimo i parenti che abbiamo ragione di considerare più cari. Si tratta – d'altronde – di una responsabilità prospettiva oltreché retrospettiva: perché non c'è disegno del futuro che non prenda forma sulle tracce di un passato, secondo quanto si decida di conservare oppure di cancellare.” Sul nesso specifico tra comunismo e antifascismo occorre tenere presente che: “La liquidazione retrospettiva dell'“illusione” comunista ha comportato un ridimensionamento sempre più spinto della taglia politica e morale di molti uomini e di molte donne che fecero del comunismo una scelta di vita. Risultato: le nuove generazioni, che pure hanno il privilegio di sapere quale rovina entrambi i totalitarismi del Novecento abbiano arrecato al mondo, rischiano di non imparare il contributo decisivo dei comunisti italiani alla nascita dell'Italia nuova … Il “socialismo reale” è stato una sciagura immensa, un cancro del Novecento il cui grado di malignità risulta assolutamente paragonabile con quello del nazifascismo. Ma questo non ci autorizza affatto a concludere, nel caso della guerra civile italiana, che i partigiani della Resistenza abbiano combattuto per una causa altrettanto abietta che i repubblicani di Salò. A tale riguardo, non si tratta soltanto di precisare che quella di osservanza comunista rappresentava appena una fra le componenti di un movimento partigiano che comprendeva anche “badogliani” e azionisti, socialisti e democristiani. Né soltanto di obiettare che moltissime reclute delle brigate salivano in montagna senza precise intenzioni ideologiche. Si tratta anche di notare quanto fosse siderale la distanza che separava un comunista italiano da un fascista in termini obiettivi politici, di immaginario sociale, di valori umani. A tutta prima, con l'effetto ottico di distorsione che ci deriva dalla privilegiata condizione di posteri, può sembrare che l'uno e l'altro di questi personaggi – il “ragazzo di Salò” e il partigiano delle “Garibaldi” – si siano battuti per obiettivi analogamente nefandi: l'uno per i Lager, l'altro per il Gulag; l'uno per Auschwitz, l'altro per Kolyma. A guardar meglio, attenendosi alle regole della buona storiografia (il peccato mortale dello storico è l'anacronismo, ammoniva Bloch), risulta invece chiara la disparità della loro condizione: poiché l'uno aveva sotto gli occhi le coordinate del mondo per il quale era pronto a sacrificare la vita, l'altro non poteva figurarsele con esattezza. Il saloino era evidentemente disponibile a immolarsi per l'Italia della Risiera di San Sabba e di Fossoli: per il mondo di cui Mussolini e Hitler andavano berciando da vent'anni, dove i più forti erano i migliori, i più deboli partivano dentro carro bestiame per una destinazione che soltanto ipocriti qualificavano ignota. Il garibaldino era pronto a morire per l'Italia di Montefiorino e della val d'Ossola: per il mondo delle “zone libere”, ch'egli credeva ricalcato sopra un universo socialista di cui non aveva fatto esperienza diretta, ma che appunto poteva sperare libero, egualitario, solidale. E poi indipendentemente dalla loro rispettiva buona fede (questa parola-chiave del buonismo storiografico di qualsiasi ispirazione o tendenza), le concrete circostanze della storia italiana e mondiale attestano oltre ogni margine di dubbio che il partigiano delle Garibaldi combatteva dalla parte giusta, il ragazzo di Salò dalla parte sbagliata.

Comandanti delle Brigate Garibaldi
Comandanti delle Brigate Garibaldi della Val d'Ossola (Wikipedia)

Giorgio Bocca (1920-2011) giornalista e scrittore, partecipò alla guerra partigiana nelle formazioni di “Giustizia e Libertà”, nel suo libro “Il provinciale. Settant'anni di vita italiana” (Arnoldo Mondadori Editore, settembre 1991) spiega da protagonista il clima e i sentimenti dei combattenti antifascisti durante la guerra di Liberazione: “Cosa era la politica in quei venti mesi di guerra partigiana? Era alcune cose concrete, pratiche, come la lotta fra di noi per il comando, la rivalità delle formazioni, l'occupazione del territorio, il rapporto con la gente, la finanza, la propaganda, ma il tutto come in un sogno in cui democrazia liberale e dittatura del proletariato, economia di mercato e socializzazioni, governo di maggioranza e solidarietà combattentistica convivevano anche perché ognuno poteva parlare, promettere, sostenere, tanto non c'erano verifiche possibili. “Evviva il comunismo, viva la libertà” si cantava fra i garibaldini dando per certo che fossero la stessa cosa … Noi giovani non sapevamo esattamente né cosa era stata la democrazia prefascista né cosa era il socialismo reale. Ne avevamo un'idea vaga, derivante da una scelta di formazione, di fazzoletto, spesso casuale, nomi, simboli, miti che si mescolavano come in un ballo campestre, Bandiera rossa, Fratelli d'Italia, Gramsci e Rosselli, Mazzini e Togliatti, il vessillo sabaudo e l'Internazionale. Ognuno attaccava la sua canzone e lasciava che gli altri cantassero la loro. E gli anziani che sapevano cosa era stata la democrazia prefascista, cosa era il socialismo reale, non ne parlavano, seguivano le nostre fantasie, le nostre ingenuità, presi anche loro dalla speranza che questa volta il destino del paese fosse davvero nelle nostre mani … La democrazia liberale e il comunismo non erano in quella nostra attesa ottimista due diversi inconciliabili modi di produzione e di distribuzione, ma come due anime, due sentimenti che avrebbero convissuto in quella immutabile abbondanza piemontese. E non c'era tempo di avere un dubbio, di fermarsi di fronte a un dilemma che arrivavano a risolverlo tedeschi e fascisti.”

Giorgio Bocca
Giorgio Bocca

Ma a dispetto di tutto ciò all'interno della generalizzata cultura del post-, nell'Italia della seconda metà degli anni '90 prende corpo un nuovo verbo, quello post-antifascista. Un verbo che si coniuga in diversi modi: dalla proposta di cancellare dal calendario delle feste comandate l'anniversario della Liberazione, alla richiesta di commemorare tutte le vittime indistintamente, all'imposizione di una memoria condivisa.

Sergio Luzzato

Per Sergio Luzzato la pietas per i morti non può nascondere le diverse responsabilità delle loro azioni. Per questo lo storico critica la stessa scelta del presidente della Repubblica, Azelio Ciampi, che il 20 ottobre del 2002 “ … si è recato a El Alamein, a commemorare il sacrificio dei tanti soldati italiani caduti nelle terribili battaglie del 1942 … non già perché i morti, in quanto essere umani, non vadano tutti pietosamente ricordati, ma perché quei morti italiani – se soldati arruolati – erano vittime individualmente innocenti di una guerra d'aggressione che, laddove vittoriosa, avrebbe significato l'avvento su scala mondiale di una pax hitleriana. Vogliamo provare a immaginare lo scandalo che susciterebbe a livello planetario la decisione di un presidente della Repubblica tedesca di recarsi a Stalingrado per commemorare i caduti della Wehrmacht? E perché il giudizio storico sui soldati di Mussolini dovrebbe essere più indulgente di quello sui soldati di Hitler?”. E ancora, lo storico rileva la “… confusione che oggi si fa tra memoria condivisa e storia condivisa; più in generale, tra bisogno di memoria e bisogno di storia.” Denunciando come “Il rischio di una memoria condivisa è una “smemoratezza patteggiata”, la comunione nella dimenticanza.” Tessendo infine un “elogio alla memoria divisa”. Ciò tenuto anche conto che, al di là dei “cattivi maestri” e della vulgata sul “sangue dei vinti” per il quale il 1945 separerebbe con un taglio netto il destino dei vincitori da quello dei vinti, la storia racconta ben altro: “Come se la Germania sconfitta di Adenauer non fosse traboccante di ex nazisti alla stessa maniera in cui la Francia di De Gaulle traboccava di ex vichyssois, mentre l'Italia di De Gasperi e di Togliatti era strapiena di camicie nere. Infine, ultimo comandamento del verbo post-antifascista è il “non uccidere”, trasponendo il sentimento dell'oggi, più o meno discutibile, alle vicende del passato dimenticando come “… la guerra civile combattuta in Italia tra il 1943 e '45 (o '46) non ha bisogno di interpretazioni bipartisan che redistribuiscano equamente ragioni e torti, elogi e necrologi. Perché certe guerre civili meritano di essere combattute. E perché la moralità della Resistenza consistette anche nella determinazione degli antifascisti di rifondare l'Italia a costo di spargere sangue.” Interessante sul tema della “memoria condivisa” il parere di un altro storico, Sergio Barbero,
https://www.youtube.com/watch?v=3g2Ej0QO5jE
per il quale la memoria non è mai condivisa, di più “… lo slogan della memoria condivisa è uno slogan completamente idiota …” La memoria è soggettiva e individuale e quindi, spiega lo storico per semplificare, risulta ovvio che, in linea generale, la memoria di un fascista o anche solo, di un parente di un fascista, non potrà mai essere quella di un partigiano o di un suo parente.

Umberto De Pace

GLI ARTICOLI PUBBLICATI
0 - Prologo
1 - Perché Monza?
2 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 1
3 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 2
4 - Forza Nuova - 1
5 - Forza Nuova - 2
6 - CasaPound - 1
7 - CasaPound - 2
8 - CasaPound - 3
9 - Lorien e Progetto Zero
10 - Lorien e Compagnia Militante
11 - A.D.ES.
12 - Le radici dell'estrema destra monzese - 1
13 - Le radici dell'estrema destra monzese - 2
14 - Sul neofascismo - 1
15 - Sul neofascismo - 2
16 - Sul neofascismo - 3
17 - Sul neofascismo - 4
18 - Sull'antifascismo - 1



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  3 giugno 2019