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Democrazia ed estrema destra
Il caso monzese
Umberto De Pace

fasci

L’affrontare temi della realtà contemporanea, pur in un contesto locale, non ci può esimire dall’approfondirli in un’ottica più ampia: storica, culturale, politica e sociale. Lo studio, l’analisi, la critica, il sano esercizio del saper distinguere e del dare il proprio significato alle parole, il ricostruire i fatti per quello che sono è un esercizio complesso e impegnativo che richiede il suo tempo; un esercizio al quale non si può rinunciare se si vuole tentare, quantomeno, di interpretare al meglio la realtà che ci circonda. Neofascismo, antifascismo e democrazia sono i grandi temi alla base del fenomeno dell’estrema destra monzese e non solo. Avere una maggiore consapevolezza su questi temi ci permetterà di avere una più chiara comprensione del fenomeno che stiamo analizzando.
Sull'antifascismo - 8


Augusto del Noce (fonte Wikipedia)


In merito al pensiero di Augusto del Noce (1910-1989), citato in chiusura della precedente puntata, vale la pena accennarne un po' più compiutamente, in quanto il suo contributo è esemplificativo non solo del progetto revisionista citato da Giovanni De Luna, ma di un pensiero ben più ampio. Politologo, filosofo, politico, docente di Storia delle dottrine politiche all'Università La sapienza di Roma: “Fin dal 1945 gettò le basi di un'interpretazione del fascismo, poi confermate dalle ricerche di De Felice, mentre nel 1946 dimostrò come le contraddizioni interne al comunismo avrebbero necessariamente condotto alla sua dissoluzione. Tesi che ribadì con un libro dal titolo indicativo Il suicidio della Rivoluzione, pubblicato dieci anni prima del crollo del muro di Berlino” così è riportato in quarta di copertina del libro “Fascismo e antifascismo. Errori della cultura” (Arnaldo Mondadori Editore, febbraio 1995) il quale raccoglie alcuni dei suoi scritti pubblicati nei primi anni '70 sulla rivista L'Europa. La pubblicazione del libro si inserisce in un periodo, come abbiamo visto, di piena e ampia polemica sulla materia all'interno del dibattito politico e culturale, mentre l'autore viene presentato, in seconda di copertina, quale soggetto “libero dagli schematismi della cultura militante”. Se per Rocco Buttiglione nella sua prefazione al volume “I cattolici e il progressismo”, Augusto Del Noce è stato il “filosofo della nazione italiana nella fase storica in cui più si è appannata e quasi spenta nel nostro paese la consapevolezza e la volontà di essere una nazione”; Carlo Tullio Altan nel suo libro “La coscienza civile degli italiani” lo colloca fra le fonti di ispirazione del neointegralismo cattolico tradizionale che trovano le loro basi nelle posizioni di Leone XIII e Pio X.
Nella tensione intellettuale degli anni '70, come abbiamo già visto, Pier Paolo Pasolini ammoniva a porre attenzione verso un “nuovo Potere ancora senza volto” del quale delineava le caratteristiche: ”… per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione ad abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare” per concludere che “… questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una “mutazione” della classe dominante, è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma “totale” di fascismo.” (Corriere della Sera, 24 giugno 1974, col titolo Il Potere senza volto).


Questo cambiamento epocale che si andava delineando era indubbiamente lo stesso sul quale concentrava la sua attenzione e analisi Augusto del Noce, pur dandone un'interpretazione diversa. Quest'ultimo individuava una “… nuova, più pericolosa e più profonda forma di totalitarismo …” celata dietro “ … l'unità inscindibile di scientismo, erotismo e teologia della secolarizzazione …” che venticinque anni dopo la vittoria contro il fascismo prevalevano se non dominavano sul pensiero del “maestro dell'antifascismo laico Croce” e su quello del maestro “dell'antifascismo cattolico Maritain”. “Dietro queste nuove posizioni si profila una nuova, più pericolosa e più profonda forma di totalitarismo; sebbene esse si presentino, per quella falsificazione del linguaggio di cui più oltre, come l'acme della democrazia e dell'antifascismo.” Il processo di autodissoluzione della società occidentale, dove “…i vecchi ideali vengono considerati spenti e i nuovi non soltanto non sono sorti, ma non possono sorgere …” è il risultato “… dell'aver confuso il passaggio alla democrazia col mito progressista” con un evidente “errore della cultura” (articolo su L'Europa, IV,15,23 maggio 1970). Per Augusto del Noce l'unità antifascista negli anni precedenti al 1945 “ … fu una illusione pressoché necessaria e generosa e in certi limiti anche utile; ma pur sempre una illusione: dall'utilità che ha potuto presentare in certi anni non si può concludere né la sua validità, né la sua permanente utilità. Si tratta anzi di una illusione che può portare a conseguenze catastrofiche.” Tale unità aveva la sua ragione d'essere nella lotta contro l'avversario incombente ed è qui: “ … la sua origine “irrazionale” della tesi del carattere ideale e duraturo, dell'unità antifascista. Di quella particolare elevazione di un male di un particolare periodo storico – o per essere più precisi e per sfuggire da ogni forma di manicheismo storico, di una rivoluzione fallita – a male per eliminare il quale deve venir sconvolta l'intera storia.” Se nel corso della lotta mortale contro il nazismo fu inevitabile ricorrere “ … a un mito ideologico, che deformasse la verità attraverso la preterizione o l'accentuazione di certi aspetti. “ è altrettanto necessario a lotta mortale finita che si passi “ … al giudizio storico. E allora, il mito ideologico antifascista si presenta particolarmente pericoloso, per la mescolanza di vero e di falso che vi è contenuta.” (articolo su L'Europa, V, 3,15 febbraio 1971).

Forlì, marzo 1971, corteo popolare contro il fascismo (Minisci)

Siamo nel 1971, anno nel quale cadeva il cinquantesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista Italiano (fondato il 21 gennaio 1921 a Livorno), durante le cui celebrazioni fu rilanciata l'”unità antifascista”, ed è in quell'occasione che Augusto del Noce espresse la propria contrarietà a tale unità intendendo dimostrare “ … che è proprio l'antifascismo a esigere il rifiuto, oggi, dell'idea di unità antifascista; perché essa rappresenta “il contagio del fascismo sull'antifascismo.” Innanzitutto per Del Noce il fascismo è finito ufficialmente il 25 aprile 1945 e non può risorgere “ … semplicemente perché, dopo la sconfitta militare, si dissolse nelle sue varie componenti (le componenti del “fascio”!) che si inserirono o continuarono nei partiti politici presenti.” Quindi l'antifascismo oggi “ … non può non essere avverso a qualsiasi forma di fascio, anche a quello che si presenta come coalizione delle forze antifasciste … Il risultato dell'unità antifascista, nei termini in cui è proposta oggi, non può essere che un fascismo rovesciato, un fascismo dissociato dalla causa nazionale. Ci si troverebbe dinanzi alla compiutezza del fascismo, come dissolutezza totale. Qualora l'unità antifascista avesse a vincere, è probabile che in una futura opera storica venga messa in luce la continuità dei due periodi della storia d'Italia, il fascista e il successivo; o vengano unificati in un solo periodo, quello della caduta della libertà italiana, della dissoluzione dell'Italia come nazione.” Questo accadrebbe perché l'unità antifascista assumerebbe il significato di una completa subordinazione dei cattolici al marxismo, la cui vittoria “… non darebbe luogo in Italia a una rivoluzione costruttiva, ma a un processo di dissoluzione, in cui ho creduto di ravvisare la compiutezza di quella epoca storica che ebbe i suoi inizi col fascismo.” (articolo su L'Europeo, V, 5, 15 aprile 1971). Il pericolo principale “… nella sostanza unico (nel senso che tutti gli altri vi si possono riportare) pericolo della politica italiana …” per Del Noce non sono gli “opposti estremismi” all'epoca tema centrale del dibattito politico, quanto il “ … “contagio del fascismo sull'antifascismo” (che prende la forma della proposta dell'unità antifascista).”
Marcello Veneziani in un recente articolo su La Verità del 31/05/19 ricorda come il Risorgimento e non la Resistenza rappresentasse per Augusto Del Noce il momento del riscatto per la nazione italiana: “Cos'è dunque il Risorgimento per Del Noce? È il proposito di saldare religione e nazione e di rianimare la tradizione cattolica e la tradizione italiana, nell'epoca della scristianizzazione e del declino nazionale. In fondo è quel che il Papa polacco perseguiva in quegli anni da pontefice e da patriota: il risveglio religioso unito al risveglio nazionale, contro ogni totalitarismo passato (nazismo), presente (comunismo) e futuro (tecno-nichilista) … Il Risorgimento come ideale condiviso per saldare l'Italia era antitetico rispetto a chi negli anni settanta aveva rilanciato l'antifascismo come collante politico e valore fondativo dell'Italia. Del Noce era stato antifascista fino a che il fascismo era imperante, ma smise di esserlo alla sua caduta, ritenendo l'antifascismo dopo il fascismo “un fenomeno dissolutivo”. Naturalmente Marcello Veneziani non manca di sottolineare come il mondo globale contemporaneo dominato dalla tecnofinanza e dal permissivismo, come aveva previsto il filosofo, veda anche consumarsi: “ … il suicidio della tradizione (Bergoglio da' l'estrema unzione alla cristianità). Dalla corruzione del Risorgimento alla radicale scristianizzazione.”. Lo stesso Marcello Veneziani per il quale: “Non ha più senso dividere il mondo tra fascismo e antifascismo, non è eterno il fascismo e tantomeno può essere eterno il suo anti. Ritengo che l'antifascismo meriti rispetto fin quando il fascismo è imperante. È un atto di coraggio, di non conformismo, di libertà e dignità ribellarsi a un regime. Ma l'antifascismo a babbomorto, l'antifascismo in assenza di fascismo, con l'antifascismo al potere, è insensato e un po' vile. O peggio, serve ad altri scopi, e dunque diventa – come Samuel Johnson disse del patriottismo – “l'ultimo rifugio dei farabutti”. Né ha molto senso gridare alla rinascita del fascismo che è agitata periodicamente da settant'anni. In realtà un neofascismo è sempre esistito, dentro e fuori del parlamento, ma è sempre stato una nicchia marginale ai bordi della politica. Anzi oggi mi sembra ancora più irrilevante e per giunta percorso da un desiderio di parlamentarizzazione, per entrare nel gioco politico e non certo per tentare un movimento eversivo.”


D'altronde Marcello Veneziani è da sempre un fautore dell'abolizione del 25 aprile. Vediamo brevemente i sette motivi per i quali non celebra il 25 aprile: non è una festa inclusiva e nazionale, ma delle bandiere rosse e del fossato d'odio fra due italie; è contro gli italiani del giorno prima che erano stati in gran parte fascisti o comunque non antifascisti; non rende onore al nemico e nega dignità e memoria a chi ha data la vita per la patria; perché morto il fascismo anche l'antifascismo finisce; perché quando l'enfasi per una festa aumenta con il passare degli anni anziché attenuarsi, come è legge naturale del tempo, allora regge su faziosità e ha altri scopi; perché è solo celebrativa ed è vietato ricordare le sue pagine sporche e oscure; infine perché è l'unica festa civile, riducendo così la millenaria storia del paese ai suoi ultimi tempi feroci e divisi. Ovviamente non è il solo a pensarla così, le sue tesi sono le stesse ad esempio di Vittorio Feltri, riassunte nel libro “Fascismo Antifascismo” scritto a due mani con Furio Colombo (ed. Rizzoli, novembre 1994). Tesi che a loro volta, al di là delle intenzioni o meno dei loro autori, sono sostanzialmente le stesse riproposte ancor oggi dalle organizzazioni neofasciste e neonaziste oggetto della nostra indagine. Vale quindi la pena approfondirla, riprendendo il pensiero di Marcello Veneziani il quale parte da un assunto fondamentale: la memoria condivisa.

I cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci, Nicola Bombacci, Alessandro Pavolini  e Achille Starace a  piazzale Loreto a Milano il 29 aprile 1945.

La quale non vi potrà mai essere fino a quando: non si riconoscerà che l'uccisione di Mussolini fu una necessità storica ma “ ... la macelleria di Piazzale Loreto fu un atto bestiale d'inciviltà e un marchio d'infamia sulla nascente democrazia.”; si onorerà giustamente Salvo D'Acquisto come eroe ma non Rosario Bentivegna autore della strage di Via Rasella; si ricorderanno i sette fratelli Cervi ma anche i sette fratelli Govoni uccisi a guerra finita perché fascisti; si riconoscerà che tra i partigiani c'era chi combatteva per la libertà e chi per la dittatura stalinista; si distinguerà tra partigiani combattenti e terroristi sanguinari o quelli finti e postumi che furono il triplo di quelli veri; quando onoreremo con i veri partigiani chiunque abbia combattuto lealmente, animato da amor patrio, senza dimenticare il “sangue dei vinti”; chiameremo infami gli assassini del filosofo Giovanni Gentile, dell'archeologo Pericle Ducati, o del poeta cieco Carlo Borsani. Tutto ciò senza dimenticare, ricorda Marcello Veneziani, le uccisioni nel ventennio nero degli antifascisti nella Russia comunista di gran lunga superiori a quelli uccisi nell'Italia fascista; sul numero maggiore di civili morti per i bombardamenti alleati che per le stragi naziste; sul maggior numero di vittime provocate dal comunismo in tempo di pace piuttosto che dal nazismo in tempo di guerra, shoah inclusa; sull'Italia liberata non dai partigiani ma dagli alleati che per di più ci dettero una sovranità dimezzata: “ … il concorso dei partigiani fu secondario, sanguinoso ma secondario … Distinguiamo perciò tra gli antifascisti che rifiutarono di aderire al regime fascista, pagandone le conseguenze; e gli antifascisti del 25 aprile da corteo postumo e permanente.”


A ciò Vittorio Feltri, nel libro già citato, aggiunge una Costituzione che “ … ha le stigmate dell'antifascismo … “ e riprende lo spirito medesimo che animò il Comitato di liberazione nazionale. Paventare il perpetuarsi del pericolo fascista nella storia dell'Italia repubblicana, permise così di adottare “marchingegni” tipicamente italiani quali ad esempio “… l'arco costituzionale. Cioè la fotocopia ravvivata del Cln. L'arco costituzionale comprendeva tutti i partiti tranne uno: il Msi, sorto dalle ceneri del fascismo benché una legge ne vietasse la ricostituzione in partito … Inutile ribadire, forse, che tenere in piedi il fantoccio fascista ha fatto e tuttora fa comodo alla sinistra.” L'attacco frontale nei confronti della sinistra, nella lettura che da Vittorio Feltri della storia recente del nostro paese, pone sempre in qualche modo in posizione difensiva e minoritaria, le formazioni neofasciste a fronte di una sinistra strutturata, organizzata, spietata e, ovviamente, impunita: “Questo non significa che non vi fossero mascalzoni neofascisti, gruppi di giovanotti della stessa risma dei brigatisti, cioè dediti alla violenza, assassini e sovversivi che sognavano la riesumazione della Repubblica di Salò.” ma erano meno numerosi degli altri, male organizzati, pasticcioni, divisi. Eppure tutte le stragi, piazza Fontana, piazza della Loggia, le bombe sui treni “ … non c'è stata tragedia nazionale che non sia stata attribuita ai neofascisti. I quali non è escluso siano stati responsabili di tutti o parecchi attentati. Ma contro di loro non sono state trovate prove sufficienti a condannarli, tranne che in rari casi. Non si può, giudicando con lo stesso metro, neppure escludere che le menti e gli esecutori materiali delle stragi fossero altri, magari gli stessi combattenti comunisti, il cui curriculum criminale era tale da alimentare qualsiasi sospetto.” Ricollegandosi in qualche modo alle tesi di Augusto del Noce, esposte come abbiamo visto sulla rivista L'Europeo nei primi anni '70, Vittorio Feltri afferma: “Il male la cattiveria e la morte erano considerati tipicamente di destra, bagaglio fascista. E così si commetteva l'errore grossolano di classificare di destra i neofascisti, i quali invece, discendendo dai padri della Repubblica di Salò, erano di sinistra o con la sinistra avevano molti punti in comune.” Ricordando un aforismo, pare attribuito ad Ennio Flaiano, per il quale: “I fascisti si dividono in due categorie, i fascisti e gli antifascisti” secondo Feltri il problema può essere così riassunto: “.... Ma poiché i fascisti o sono morti o stanno per morire di vecchiaia, la questione si è semplificata. Rimangono gli antifascisti.”

Umberto De Pace

GLI ARTICOLI PUBBLICATI
0 - Prologo
1 - Perché Monza?
2 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 1
3 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 2
4 - Forza Nuova - 1
5 - Forza Nuova - 2
6 - CasaPound - 1
7 - CasaPound - 2
8 - CasaPound - 3
9 - Lorien e Progetto Zero
10 - Lorien e Compagnia Militante
11 - A.D.ES.
12 - Le radici dell'estrema destra monzese - 1
13 - Le radici dell'estrema destra monzese - 2
14 - Sul neofascismo - 1
15 - Sul neofascismo - 2
16 - Sul neofascismo - 3
17 - Sul neofascismo - 4
18 - Sull'antifascismo - 1
19 - Sull'antifascismo - 2
20 - Sull'antifascismo - 3
21 - Sull'antifascismo - 4
22 - Sull'antifascismo - 5
23 - Sull'antifascismo - 6
24 - Sull'antifascismo - 7
25 - Sull'antifascismo - 8



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  26 luglio 2019