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Pierfrancesco Diliberto

regia: Giulio Manfredonia 
Interpreti: Stefano Accorsi (Filippo), Sergio Rubini (Cosimo), Maria Rosaria Russo (Rossana), Iaia Forte (Azzurra), Nicola Rignanese (Veleno), Debora Caprioglio (Jessica).
Durata: 100 minuti - Italiaia - 2014
Anna Marini

Il podere di un mafioso viene confiscato dallo Stato che lo dà in concessione ad una cooperativa sociale. La sua conduzione presenta subito delle difficoltà, per l'inesperienza delle persone, abbastanza sui generis, per intoppi burocratici e forse anche sabotaggi. Le cose si fanno più difficili quando il boss mafioso viene messo agli arresti domiciliari nella sua casa dominante il podere…


Le difficoltà organizzative che la cooperativa incontra fin dalla sua costituzione sono il tema centrale attorno cui si sviluppa la trama del film. Alcune, endogene, derivano da quella mentalità borderline, a confine tra lecito ed illecito, radicata persino in chi vuole fare della terra un esperimento di legalità; altre invece sono dovute alla burocrazia amministrativa e alla connivenza tra autorità e malavita. Quando giunge in Puglia per costituire la cooperativa, Filippo, impiegato in un ufficio del Nord, che si occupa di antimafia, si scontra subito con il modus vivendi dei suoi futuri soci. Rossana e Salvo, dell'associazione “Legalità e futuro” arrivano alla tenuta in sella a un motorino, senza casco e con il volto nascosto da una sciarpa. Il casale, che insiste sulla terra confiscata, appare dismesso e in stato di profondo degrado: dopo quattro anni non ha ancora ottenuto l'agibilità e la domanda di Filippo circa l'esistenza di un permesso del giudice non ottiene risposta. Tutto ciò che per lui è uno scandalo, è definito da Salvo come “normale inefficienza”, accettato, pur obtorto collo, per abitudine.


L' “avvocato”, come viene nominato l'uomo del Nord, che conosce a memoria le leggi, vorrebbe operare attendendosi ai codici, recitando in ogni occasione il corpo normativo. Ma l'impresa si rivela tutt'altro che semplice a causa della totale impreparazione dei soci che, in numero ridotto rispetto al progetto iniziale, ignorano completamente ogni aspetto procedurale ed amministrativo. Spesso Filippo è tentato di rinunciare all'impresa e fare ritorno a casa, leggendo ovunque segni sinistri di una società che percepisce come ostile. Capisce presto che non è possibile praticare un taglio netto tra l'onestà e la malavita, in una visione manichea che vorrebbe separare nettamente il bene dal male. Non si può escludere della cooperativa Cosimo, fattore del mafioso Sansone, che rifornisce dei suoi prodotti l'intero centro. Per sapere chi sia, se fedele servitore del boss, oppure onesto cittadino, Filippo si rivolge al sindaco; Rossana, invece, si affida all'intuizione, convinta che il fattore abbia agito con rettitudine “si vede da come ama la sua terra”. Prima di partire per la Puglia, Filippo impara a memoria e riprova diverse volte il discorso introduttivo per la futura attività. Ma sul campo, dove non si riconosce una netta distinzione tra onestà e illegalità, e le sfumature rivelano le contraddizioni di una realtà più complessa, occorre calarsi nel contesto, vivere la difficile condizione di quegli uomini, diventando uno di loro. Solo così si può fondare un'attività sulle base di una nuova mentalità, non imposta dall'esterno, ma costruita insieme, nella ricerca appassionata della legalità fino a farne uno stile di vita.

Filippo viene introdotto nella dimensione locale da un momento conviviale, quando Cosimo lo invita a pranzare insieme, con i prodotti del lavoro. E' questo il passo più difficile da compiere, ma indispensabile per tradurre in concreto il sogno dei soci: l'incontro-scontro con l'uomo delle contraddizioni, l'ex servitore del boss, che chiede di entrare nella cooperativa. Il paradosso insuperabile viene pian piano accettato da Filippo quasi in un rito di iniziazione, che segna il suo ingresso nella comunità nascente. Inizialmente restio ad accettare quello che il fattore del mafioso gli offre, trangugia un bicchiere di vino e pranza con formaggio che gli viene porto sulla lama di un coltello. E' questo il patto stipulato tra il deus ex machina del Nord e i codici culturali di un territorio, dai quali non si può prescindere per una cooperazione sinergica e produttiva.


La terra è l'elemento centrale e simbolico di tutta la trama, non solo perché, metafora della fertilità e della vita, fornirà una risposta concreta alla dominazione della mafia, ma anche perché su di essa vengono sanciti i rapporti di forza tra i nuclei locali: con un incendio ai danni dei vicini la famiglia di Sansone si era impossessata dei terreni della famiglia di Cosimo, ancora ragazzino, che da adulto diverrà il fattore del boss. La terra rappresenta il principale strumento di potere che la mafia esercita nei confronti degli onesti cittadini: Veleno diventa socio della cooperativa perché il suo appezzamento è stato contaminato da scorie tossiche che lo hanno reso “morto” e letale per gli animali. Terra quindi violentata dalla mafia che, darà alle fiamme i terreni in mano alla cooperativa, nel tentativo di boicottarne l'attività; ma terra fraintesa dagli stessi soci che vedono a volte nella coltivazione e nella vendita dei pomodori solo uno strumento di lucro. In nome del profitto sono tentati di assumere in nero due braccianti, “come fanno tutti” e a ricorrere alla chimica per rendere i prodotti, non più biologici, accattivanti alla vista. I soci fondatori della cooperativa hanno una particolarità: sono soggetti che la communis opinio ritiene fragili, oppure oggetto di discriminazione. Tra essi si riconosce il malato psichico, il portatore di handicap fisico, il nero, l'omosessuale: scelta questa che vuole sottolineare la condizione di emarginazione nella quale la mafia costringe quotidianamente le sue vittime.


Cosimo ha coltivato per molti anni gli ettari di Sansone, vivendo nella casa del boss e, in sua assenza, prosegue nell' attività abusiva, per mantenere fertile la terra, con cui sembra vivere in simbiosi. E' un amore viscerale, “maledetto”, quello che lo lega al terreno, a quell'appezzamento che custodisce i ricordi di una vita. Ad un occhio esterno ed intransigente come quello di Filippo, appare un personaggio che la legge escluderebbe dalla cooperativa, ma anima della futura attività, in quanto esperto conoscitore della coltivazione e dei codici del territorio. Per capire quali prodotti coltivare, Cosimo non ha bisogno “dell'analisi accurata del terreno e dei dati climatici” svolta da Rossana, perché conosce bene la geografia della coltivazione e sa che il nord è adatto alle melanzane. Non dà ascolto a ciò che viene detto, ma legge tra le righe dei sottintesi in una società votata all'omertà. “Voi sentite le cose che si dicono? Dovete imparare ad ascoltare le cose che non si dicono”. La sua gestualità diretta, a tratti rude viene interpretata da Filippo come tentativo di minaccia. Quando il boss, ottenuti i domiciliari, ritorna alla tenuta, il fattore esorta “l'avvocato” a non mostrare il suo timore, perché tutta la comunità non divenga bersaglio di violenza. La vita di tutti i personaggi è legata comunque alla malavita e questo è ciò che Filippo ritiene incomprensibile, finché non accetta di capire fino in fondo i suoi compagni di battaglia. Rossana è stata addirittura concubina di Sansone all'età di diciassette anni: quello che per la fanciulla poteva rappresentare uno status symbol viene percepito da Filippo come un precedente imperdonabile, che induce a credere la giovane una delatrice.

L'autorità mostra solo la facciata, intrisa di burocrazia e connivenza. Le parole, vuote, si riducono a formule e fonetica: ecco che solo ottenere un'agibilità temporanea in deroga diventa un'impresa titanica, dopo essere stati rimbalzati da un ufficio all'altro, nella totale deresponsabilizzazione dei funzionari. Benché in carcere, è Sansone a dominare il territorio, e da un'altura svetta la casa ancora sua, che si impone severamente sul possedimento sottostante, quasi minacciosa nel suo sinistro silenzio. Al suo ritorno il boss dimostra di conoscere tutto ciò che è accaduto in sua assenza, persino dettagli insignificanti, come che a Filippo è stata ritirata la patente. Sansone è ancora il capo indiscusso e quando transita sul terreno non più di sua proprietà i soci si levano il copricapo in segno di rispetto.

Il film descrive un percorso di crescita che coinvolge tutti i personaggi, non solo i soci, ma anche Filippo, che conosceva la legalità solo attraverso codici e leggi. Una sfida difficile si prospetta per la nuova comunità, su una strada impervia, costellata continuamente dalla tentazione di rendere tutto più semplice, anche a discapito della legalità. Le scene si svolgono quasi tutte all'interno della tenuta: è su questo microcosmo che si concentra l'attenzione del regista. Grande rilievo viene dato ai dialoghi in una narrazione fluida e dinamica. Commedia semplice, dai risvolti prevedibili, come la storia d'amore accennata tra Filippo e Rossana, ma non banali. I personaggi sono caratterizzati da una personalità molto semplice, risultando a tratti quasi caricaturali. La trama, che assume i tratti caratteristici della fiaba, diviene metafora della lotta contro la mafia, intesa come atto di grande coraggio e compito riservato non solo al meridione, ma all'Italia intera.

Anna Marini

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