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Munch. Autoritratto su carne
Tania Marinoni



L'angoscia esistenziale, la crisi dei valori nella disumanizzazione della società borghese, la solitudine umana e l'incombenza della morte che dominarono la vita travagliata di Edvard Munch si incarnano sulla scena del Binario 7. Per quattro sere, da giovedì 9 maggio fino a domenica 11, il volto e il gesto di Corrado Accordino hanno gridato la Patologia del genio norvegese, narrando la sua arte, incompresa e respinta perché seppe sovvertire gli schemi.

È il buio che domina la scena, accesa da un fumo a tratti rossastro e, in altri momenti, verde lattiginoso, quasi iridescente. L'oscurità è scalfita dalle quinte recise: tagli, metafora della dicotomia intesa come dissociazione e separazione dell'uomo dal mondo. Una musica dark, sorpresa da improvvisi strepiti, si alterna alle melodie classiche di Schubert e Šostakovic. Al centro è la parola che testimonia il dramma di una vita scossa da una lucida follia, la malattia dell'artista dissidente. La sua figura di nero vestita avvolge nel mantello l'abisso dell'amara inquietudine. Nell'aspetto di Accordino-Munch, figlio dei poeti veggenti dal fascino bohemien, si riconoscono i tratti caratteristici del vampiro. Nel monologo prendono forma l'emarginazione e l'anticonformismo del pittore, in un autoritratto sul volto, pallido e solcato da profonde rughe, coronato dai capelli scarmigliati sotto il cappello a cilindro; i turbamenti esasperati dall'insonnia infossano i suoi occhi arrossati. Nel suo monologo, come nella vita, permane una sorda inquietudine che conduce all'incubo. La figura domina lo spazio narrativo di un'esistenza perseguitata, come in Kafka, dai propri spettri. Il suo viso, stravolto dalla pazzia e dalle sofferenze, incarna l'autoritratto dell'artista e insieme la sua arte.

La vita di Edvard Munch diventa espressione recitata nella performance di Accordino; la sua parola declama la condizione esistenziale dell'uomo moderno, afflitto dalla solitudine e dalla incomunicabilità: sprofondato nell'angoscia. Quella a cui accenna sconsolato è un'umanità perduta, in cammino sulle direttrici distorte della Storia. I lucidi vaneggiamenti del Folle delineano una visione apocalittica e tracciano una spietata analisi, colma di amarezza per l'anima, non più in comunione con il mondo, ma con gli orrori che l'uomo ha creato.

foto di scena tratta da una foto di Francesco Falciola

È un dialogo estremamente intimo con se stesso, che il Munch di Accordino inscena sul fondale di un Novecento in declino: un monologo strutturato sui diari dell'artista e originalmente interpretati. Nelle sue parole, intrise di sangue e accompagnate dalle voci fuoricampo, palpitano tracce della filosofia esistenzialista di Kierkegaard, della psicanalisi di Freud, dei drammi di Ibsen che popolano i suoi dipinti. Nel suo racconto meravigliosamente allucinato rivivono le scelte anticonformiste, i lutti che segnarono la sua esistenza, le sue relazioni tormente. “Cos'è l'arte?” si domanda l'artista respinto dal regime e incompreso dalla critica. L'arte non è raffigurazione di ciò che appare, ma è la vita, nella sua sofferenza: è narrazione del dolore esistenziale dell'uomo. L'arte sono i colori, vivi e forti, che stesi dalla violenta pennellata gridano la sua Patologia e il destino di un'umanità perduta. L'arte è un appassionato e scientifico lavoro di ricerca sull'anima, un'opera di sperimentazione e non il perseguimento del profitto.

Munch è la sua malattia e la sua opera più famosa, quell'Urlo lanciato davanti ad un tramonto norvegese: il grido muto e scolpito nella pallida figura umana dal volto di teschio; è il paesaggio, che alle sue spalle si deforma all'eco della terribile disperazione, è il ponte, simbolo delle sovrastrutture sociali, silenzioso come in una fredda indifferenza. Così è la natura nella poetica artistica del grande pittore precursore dell'espressionismo: partecipa al dolore, ma non esercita alcuna funzione consolatoria. Nel cromatismo sanguigno e viscerale emerge la sua potenza espressiva: le onde di colore rivelano le ossessioni che assillano la sua psiche.
L'Urlo, paradigma delle inquietudini di un secolo, racchiude la forza creatrice che diviene carne su tela e soggetto sulla scena. Il grido di Munch, ingoiato sul palco del Binario 7, soffocato nel silenzio in cui sprofonda l'umanità, si imprime nel culmine di un climax ascendente, nella splendida e appassionata interpretazione di Corrado Accordino.

Tania Marinoni


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  13 maggio 2019