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Gonars 1941.1943: Io odio gli italiani
La Danza Immobile – Teatro Binario 7 Monza
Umberto De Pace

Gonars 1941.1943

Lo spettacolo

Venerdì 31 gennaio alle ore 21,00 al Teatro Binario 7 di Monza si terrà la terza replica della giornata, aperta al pubblico, dello spettacolo “Gonars 1941.1943: Io odio gli italiani” – prodotto da La Danza Immobile, drammaturgia e regia di Valentina Paiano, interpretato da Chiara Di Marco e Paolo Miloro. Le prime due rappresentazioni saranno dedicate agli alunni delle scuole medie inferiori. Nell'ambito delle iniziative per la Giornata della Memoria “Teatro+Tempo ragazzi”, la stagione teatrale dedicata alle scuole sotto la direzione artistica di Corrado Accordino, propone in cartellone un'opera inedita che vede, quali protagonisti, una bambina di 12 anni e un uomo, un artista, entrambi internati in un campo di concentramento, dove si incontrano per la prima volta. La bambina ha perso la madre, morta di dissenteria in un precedente campo e, ancor prima, ha visto fucilare il padre e bruciare la propria casa. Anche l'uomo ha “conosciuto i rastrellamenti, gli incendi , la morte, lo stigma razziale e nazionale, la snazionalizzazione forzata e la deportazione nei campi di concentramento” – come riporta la presentazione dello spettacolo. Un'opera inedita, ma non solo, se non unica senz'altro particolare. Si, perché la bambina, Zofia, e l'uomo, Vlado, provengono dalle terre del confine orientale occupate dai nazifascisti a partire dal 6 aprile 1941, data in cui l'esercito tedesco, senza dichiarazione di guerra, iniziò i bombardamenti su Belgrado, allora capitale del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (la futura Jugoslavia). E' una storia particolare perché ci parla delle violenze e dei soprusi perpetrati da noi italiani contro le popolazioni di quelle terre. Non parla di campi di concentramento nazisti, ma di quelli dell'Italia fascista. Tra Zofia e Vlado “nascerà un rapporto che ci insegnerà che l'umanità e la sensibilità non si possono soffocare e uccidere dietro un filo spinato”.

carta geografica

La Storia

Furono numerosi i campi di concentramento in cui il fascismo, dai primi mesi del 1942 all'8 settembre del 1943, in circa 18 mesi, internò decine di migliaia di jugoslavi. Al loro interno in migliaia vi morirono. Tra essi Gonars fu progettato e costruito per i prigionieri di guerra russi, ne ospiterà in realtà solo tre. Il 22 giugno 1941 ebbe inizio l'Operazione Barbarossa con l'attacco tedesco all'Unione Sovietica, anch'esso senza dichiarazione di guerra e il 10 luglio partirono i primi reparti del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR). Note sono le sorti della famigerata quanto tragica campagna di Russia. Nel marzo 1942 Gonars viene riempito quindi di civili Sloveni, giungendo presto al suo sovraffollamento e, al sopraggiungere dell'estate, alle conseguenti epidemie di dissenteria e tifo. L'offensiva italiana del 1942, durata quatto mesi, che si era prefissa di ristabilire il controllo su tutta la provincia di Lubiana, necessitava dell'allestimento di nuovi campi di internamento. Ci ricorda la ricercatrice storica Alessandra Kersevan (che interverrà a Monza alla fine degli spettacoli) come: “Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1942 la città di Lubiana, che allora contava 80.000 abitanti, venne trasformata in un enorme campo di concentramento”, circondata interamente da filo spinato; tutti i maschi adulti furono arrestati, sottoposti a controlli e la gran parte di essi destinati all'internamento. Sempre la Kersevan spiega come il generale Roatta, nell'estate del '42 “decise l'istituzione di nuovi campi, che si moltiplicarono in tutta Italia e anche nei territori occupati, nelle isole della Dalmazia”. Monigo di Treviso, Chiesanuova di Padova, Colfiorito, Tavernelle e Pietrafitta (Perugia), Renicci di Anghiari (Arezzo), Cairo Montenotte (Savona), Fraschette di Alatri (Frosinone), Visco (Udine). In Dalmazia, quello più famoso, è sull'isola di, Arbe, Rab in croato (vedi “Foibe e Ricordo” http://arengario.net/poli/poli371.html). Mentre altre decine di campi più piccoli furono aperti in tutta Italia sotto la gestione diretta del ministero dell'Interno.
La madre di Zofia muore appunto a Arbe di dissenteria.

Nell'autunno del '42 seimila internati furono trasferiti da Arbe a Gonars dopo un'alluvione che devastò la tendopoli sull'isola, mentre i precedenti internati di Gonars vennero trasferiti a loro volta in altri campi. E se la disorganizzazione e le ruberie, interne all'esercito, non mancarono, non vanno dimenticate le responsabilità dirette degli alti comandi dell'esercito italiano nelle morti per stenti e per malattie degli internati. Il generale Gastone Gambara, nuovo comandante dell'XI Corpo d'Armata, il 17 dicembre 1942 scrive di proprio pugno su una relazione medica che descrive le tremende condizioni del campo di Arbe: “Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo di ingrassamento. Individuo malato=individuo che sta tranquillo …”. Con l'armistizio dell'8 settembre 1943 si conclude la vicenda dei campi di concentramento fascisti. I contingenti di guardia abbandonano le loro postazioni e gli internati fuggono. Molti di loro si aggregheranno alle formazioni partigiane. Gli internati del campo di Arbe formeranno addirittura un reparto partigiano, la Rbska Brigata. Non pochi internati nei campi dell'Italia centrale entreranno a far parte delle prime formazioni partigiane italiane. Dopo l'8 settembre '43 il campo di Gonars venne occupato dalle truppe tedesche che costruirono in fretta e furia (grazie alla TOD e ai prigionieri) un raccordo ferroviario che dalla località Friulana Gas (Ferrovia Udine-Venezia) raggiunse il lager con tre ponti provvisori militari sul fiume Cormor. Il campo fu infine demolito e chiuso con la liberazione da parte degli Alleati.

Quella dei campi di concentramento italiani è una storia ancora poco conosciuta, estremo epilogo di quel fascismo di frontiera che fin dai suoi esordi, a partire dal 1919, si caratterizzò per la sua violenza e discriminazione nei confronti di sloveni e croati. Non a caso a Pola nel 1920 Mussolini dichiarava che bisognava “espellere questa razza barbara, inferiore slava da tutto l'Adriatico”. Come ci ricorda lo storico Angelo del Boca: “Anche se la presenza dell'Italia fascista nei Balcani ha superato di poco i due anni, i crimini sono stati sicuramente, per numero e ferocia, superiori a quelli consumati in Libia e in Etiopia”, visto che “nei Balcani il lavoro sporco lo hanno fatto direttamente gli italiani, seguendo le precise direttive dei più bei nomi del gotha dell'esercito” – nessuno dei quali ha mai pagato per ciò che ha fatto. Nel bel libro a fumetti “L'inverno d'Italia” (edizioni Coconino Press 2010) – da cui prende spunto lo spettacolo che si terrà al Binario 7 – l'autore, Davide Toffolo, racconta la storia di due bambini internati nel campo di Gonars, una “pagina vergognosa e rimossa del nostro passato”. Un passato su cui, come sottolinea Paola Bistrot nella post-fazione al libro, pesa la retorica del “buon italiano”: “Mancavano certo i forni crematori e le camere a gas, ma la macchina di morte che era stata avviata ha portato ad analoghe terribili conseguenze”.

Umberto De Pace


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  27 gennaio 2014