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Una nuova prospettiva per l'ex carcere
Giulia Cerizza - Beatrice Genzianella - Gianluca Rossi
classe IV^H - liceo artistico Nanni Valentini di Monza


La classe IV^H del liceo artistico Nanni Valentini di Monza, nel corso dell'anno scolastico 2020/2021, nel panorama dei progetti di PCTO (alternanza scuola-lavoro), ha strutturato una collaborazione con la rivista giornalistica Arengario.net, al fine di creare ricerche aventi come soggetto edifici storici siti nel territorio monzese. Attraverso queste ricerche ci si è proposti di raccontare lo stato di conservazione, la funzione e le possibili prospettive di ristrutturazione degli edifici scelti a campione. L'obiettivo primo di questo progetto è quello di produrre delle analisi favorenti l'interazione dei linguaggi disciplinari: storico, letterario e architettonico, per cominciare ad osservare la realtà nella sua profonda complessità.

Come recita il dizionario Oxford Languages, il carcere è “qualsiasi ambiente opprimente, tormentoso o donde sia impossibile uscire o scampare”. Se ci limitiamo alla sfera fisica possiamo intenderlo come un luogo di reclusione, ma ampliando il concetto, esso può essere inteso come un qualsiasi ambiente nel quale si percepisce detenzione o in cui si stia malvolentieri.
Le mura del carcere sono delle barriere che estraniano i detenuti dalla realtà circostante e, al contempo sono il simbolo che mantiene vive nel tempo le storie, di vita o di morte dei detenuti, anche quando le strutture ospitanti non sono più in uso.
Un esempio calzante è la realtà dell'ex carcere di Monza, ormai dismesso da circa 30 anni, dove la vita carceraria è ancora segnata sui muri delle celle.

foto Fabrizio Redaelli per Il Cittadino

L'EX CARCERE

Il vecchio carcere giudiziario di Monza, realizzato nel 1905, è una struttura con una posizione fortemente centrale per la città sia a livello storico-culturale , sia geografico, grazie alla sua vicinanza alla stazione ferroviaria e al centro storico cittadino. Nonostante questo, a causa della dismissione trentennale i suoi resti odierni sono il triste specchio di una struttura degradata. Tale degrado si riflette sul contesto urbanistico e sociale circostante, alimentando la percezione di giacere in una realtà periferica abbandonata.
L'area conta poco più di tremila metri quadrati di superficie, circondati da un muro alto oltre cinque metri nei cui angoli svettano le torrette di controllo. L'edificio è caratterizzato da una semplice pianta quadrata composta da piano terra, primo piano e sottotetti e da due cortili, uno perimetrale e uno interno.
Inizialmente il carcere era stato progettato per ospitare qualche centinaio di detenuti, tuttavia negli anni Settanta arrivò a custodirne qualche migliaio. Il sovraffollamento delle piccole celle portò, nel 1974, all'esplosione di una violenta rivolta carceraria, dando inizio a quella fase che avrebbe condotto alla chiusura e all'abbandono della struttura.

RINASCITA IN ACCADEMIA: PRISON BREAK

Sorge spontaneo chiedersi, è possibile dare al carcere una seconda vita? Una proposta è stata avanzata da tre studenti della Scuola di architettura del Politecnico di Milano: Carlo Giovanni Bernyak, Victoria Michela Braile e Dario Michencigh, che hanno realizzato il progetto di tesi di laurea magistrale dal titolo “Prison break”. Il progetto è stato realizzato all'interno di una cornice di ricerca più ampia coordinata dal prof. Fabio Lepratto e dalla prof.ssa Elena Fontanella, che ha come oggetto fondamentale il concetto di "abitare", declinato nella relazione tra casa - lavoro: la residenza abitativa cerca di vivere all'interno di spazi architettonici che ospitano varie soluzioni laboratoriali e artigianali. L'obiettivo è quello di ampliare la forbice di accesso alla casa, garantendo al contempo un virtuoso processo parallelo di accesso al lavoro.
Il nome della tesi di laurea sopra citata non è casuale, è stato scelto per simboleggiare lo scopo: creare una rottura dalla funzione principale del carcere, per dare una nuova vita a questo patrimonio pubblico, trasformandolo in un nuovo ambiente caratterizzato dalla coesistenza di case a prezzi accessibili, zone lavorative e spazi pubblici.
La tesi è appunto partita dal tema “abitare” creando successivamente un nesso con quello del “lavoro” e questa riflessione è nata dalla necessità dei lavoratori di ristabilire confini variabili tra spazi per lavorare e vivere, che tuttavia potessero essere limitrofi. L'esigenza di ibridare gli spazi abitativi e lavorativi, facendoli coesistere in modo armonico nella medesima residenza, è stata resa nota, inoltre, da tutte quelle persone che durante la pandemia si sono trovate a lavorare in spazi che prima erano prettamente legati alla sfera abitativa.
Il progetto parte da uno dei simboli dell'esclusione, il muro di cinta, del quale ne si prevede l'abbattimento solo della facciata sud-ovest, per permettere la visione del cortile esterno, per trasformarlo da un elemento di marginalità che separava e nascondeva l'edificio alla città di Monza, ad un elemento di inclusività, grazie all'aggiunta di finestre per permettere la visibilità dell'interno al pubblico.


Il complesso formato da tre piani, presenta al piano terra uno spazio produttivo privato e pubblico, con bar e zone espositive affacciate su un cortile interno, mantenendo così la vecchia conformazione. Al piano superiore si trovano invece spazi comuni e abitativi. suddivisi in tre tipologie: la “casa bottega” che unisce lavoro e abitazione; “soho” (Small Office Home Office) in cui la zona abitativa è concentrata in una stanza mentre presenta un altro ambiente per la zona lavorativa; “dense co-living” che presenta tutte le caratteristiche di un'abitazione minima.
Queste tre soluzioni innovative sono state pensate anche per mantenere la modularità delle celle già preesistenti e, per permetterne la realizzazione nel progetto, è stata modificata la copertura ampliando così il volume totale.
Nonostante le suddivisioni dei vari ambienti, questi sono strettamente uniti da collegamenti e aree comuni che rendono questo complesso una “città nella città”, unendo il pubblico al privato.
L'unico elemento ex-novo è la torre, situata in una posizione strategica che collega l'edificio con il parco; essa presenta spazi pubblici e di lavoro, con terrazze panoramiche e un giardino pensile. La torre è pensata per essere un landmark che unisce la città di Monza all'area "Prison Break". Il rosso si snoda a mo' di passerella nel parco pubblico della residenza e contorna la struttura della torre rendendosi visibile alla cittadinanza e identificando in maniera inequivocabile la nuova essenza dell'ex carcere.

Questo progetto è interessante e la sua potenziale realizzazione permetterebbe alla struttura in degrado dell'ex carcere di rinascere ma, purtroppo, rimarrà con ogni probabilità un sogno cittadino. Una delle criticità progettuali è il costo dell'operazione che, per realizzare una struttura simile, sarebbe elevato. Uno dei punti di forza, consiste nella determinazione di un immaginario, con cui iniziare a pensare in modo alternativo alla costruzione di spazi abitativi dinamici, che uniscono alla funzione residenziale, aree lavorative e pubbliche, per diffondere sul territorio spazi che valorizzano il principio aggregativo della nostra natura sociale attraverso l'architettura. L'unica certezza attuale è che questo luogo abbandonato e inutile rischia di rimanere ancora per lungo tempo nel suo stato esclusivo disfunzionalità urbana e sociale.

Giulia Cerizza
Beatrice Genzianella
Gianluca Rossi


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  5 giugno 2021