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INTERVISTA
Vittorio Agnoletto
Il presidente della Lega Italiana per la lotta contro l'Aids coordina Il Genoa Social Forum che sta preparando la pacifica protesta di Genova nei giorni del summit degli otto Grandi:«Abbiamo già dichiarato solennemente il totale rispetto della città e il rifiuto di qualunque pratica di attacco e di violenza».
a cura di Sandro Invidia


Dottor Agnoletto, cos'è la LILA?
La LILA è la Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, una federazione di venti sedi provinciali e regionali, presenti in quasi tutta Italia, ognuna con un proprio statuto ed un proprio presidente. Interveniamo a 360 gradi sull'Aids con progetti relativi alla prevenzione - nel mondo della scuola e nel mondo del lavoro -, alla riduzione del danno - nel mondo della tossicodipendenza, della prostituzione, delle carceri -; abbiamo progetti di assistenza: abbiamo gestito per diversi anni una casa alloggio, offriamo assistenza domicilare, assistenza in ospedale, gruppi di auto-aiuto; in alcune sedi organizziamo anche gruppi familiari di persone sieropositive. Abbiamo poi un terzo settore di intervento, che è quello della difesa dei diritti delle persone sieropositive, contro le discriminazioni nel mondo del lavoro e nel mondo della scuola. Il quarto capitolo è quello relativo alla ricerca: nella LILA vi è ricerca psicosociale, ma anche ricerca scientifica e clinica: abbiamo appena concluso una grande ricerca sull'adesione terapeutica alle terapie, per la quale abbiamo coordinato diversi ospedali italiani.

Quindi, si tratta di un'associazione solo italiana
La LILA agisce in Italia ma da tre anni coordina tutte le associazioni dell'Unione Europea, con l'obiettivo di ridurre le differenze nei servizi di assistenza, di prevenzione e di cura tra una nazione e l'altra dell'Unione. Da tre anni a questa parte abbiamo anche dei progetti relativi ai Balcani, in particolare in Bosnia e in Serbia. Nel continente africano, infine, abbiamo un progetto per ridurre la trasmissione del virus dalla donna al figlio, in Sudafrica, ed un progetto per il reinserimento in Nigeria delle donne nigeriane che erano venute in Italia a prostituirsi.

Cosa c'entra la LILA con la globalizzazione e, soprattutto, con la protesta contro i G8
La questione è molto semplice: noi ci battiamo da quindici anni per i diritti delle persone sieropositive, ma secondo una logica di tipo culturale e politico, non certo corporativa. Ad un certo punto abbiamo visto che il 95% dei 37 milioni di persone sieropositive viventi al mondo, vivono in paesi in cui i farmaci non sono disponibili. E non sono disponibili per gli alti costi. La spesa sanitaria media annua per un africano è di 10 dollari, il costo di un anno di terapie è di 10.000 dollari. Allora ci siamo battuti per ridurre il costo dei farmaci e abbiamo scoperto che questi costi non discendevano da un diritto divino, ma dal fatto che le multinazionali agiscono a livello di monopolio. Chi garantisce il monopolio è il WTO, l'organismo mondiale del commercio, che, avendo stabilito una proprietà intellettuale sui brevetti e sui farmaci per 20 anni, garantisce alle singole aziende di poter stabilire i prezzi che vogliono. Da qui la necessità di battersi contro questi organismi internazionali privi di qualunque legittimità democratica. Da qui l'entrata della LILA a pieno titolo nel movimento contro la globalizzazione. Anche perché siamo convinti che non si può vincere una campagna sull'Aids a livello mondiale se non si modificano i rapporti nord-sud. Quindi c'è bisogno anche di altre alleanze coinvolgendo realtà e associazioni che operano su altri terreni.

Una prova generale di questa protesta è stata, immagino, quella sudafricana.
La battaglia processuale in Sudafrica è stato uno degli elementi portanti della battaglia per l'accesso ai farmaci in tutto il mondo. Il fatto che 39 multinazionali hanno dovuto retrocedere completamente dalla loro iniziativa è già un risultato molto grosso. La settimana scorsa il Kenia ha deciso, nella stessa direzione del Sudafrica, di produrre direttamente i farmaci; il Brasile già lo fa. Gli Stati Uniti porteranno il Brasile davanti al WTO, chiedendogli di predisporre sanzioni contro il Brasile perché produce i farmaci, e sarà un'altra occasione di mobilitazione.

Le vostre richieste esplicite agli otto Grandi?
In primo luogo, noi non riconosciamo gli organismi internazionali privi di legittimità democratico: il WTO, il GATT, gli accordi TRIPS e via dicendo.
Noi chiediamo che si vada a una ridiscussione del brevetto sui farmaci e chiediamo che la proprietà intellettuale duri molto meno tempo: 20 anni sono troppi, 5 basterebbero. Ma chiediamo anche che, comunque, si chiarisca bene l'eccezione sanitaria, cioè quel piccolo codicillo degli accordi TRIPS che permette ai paesi poveri attraversati da un'epidemia di produrre direttamente i farmaci o di acquistarli da altri paesi poveri che li producono, senza doverli comprare sul mercato internazionale delle multinazionali.
Questa eccezione sanitaria ha talmente tanti vincoli e intralci che diventa poi difficile da realizzare, come hanno dimostrato le difficoltà del percorso intrapreso dal governo sudafricano.
Chiediamo un maggior investimento pubblico nella ricerca e nella produzione di farmaci per evitare che non siano prodotti i farmaci relativi alle patologie dell'emisfero sud (patologie per le quali, negli ultimi 15 anni, si sono prodotti solo 23 farmaci).
Più in generale, sulla salute e l'istruzione, noi siamo contro il tentativo dei G8 di delineare una revisione del già pessimo accordo GATT, e cioè di trasformare l'istruzione e la sanità in merci che possono essere acquistate da qualunque multinazionale. In sostanza, noi ribadiamo che il diritto allo studio e il diritto alla salute sono dei diritti costituzionalmente sanciti e che sono comunque dei diritti che appartengono ad ogni essere umano in qualunque nazione, proprio per la condizione di essere umano. Questi diritti non possono diventare servizi offerti dalle multinazionali, che ovviamente li farebbero diventare servizi a pagamento. D'altra parte, questa mercificazione di tali servizi è ciò che ha già tentato il WTO: oggi cercano di sancirli in modo più preciso con i GATT.
Sul piano dell'ambiente è evidente che la richiesta minima è il riconoscimento e l'applicazione degli accordi di Kyoto e quindi il riconoscimento della maggiore responsabilità, per l'inquinamento, delle grandi potenze. Non dimentichiamo che gli Stati Uniti producono circa un quinto dell'inquinamento a livello mondiale.
C'è poi tutto un capitolo, ovviamente, relativo alblocco della produzione e della vendita degli armamenti ed una critica molto forte all'utilizzo delle armi e dei conflitti come strumento di soluzione delle controversie tra diverse nazioni.
Un altro aspetto è quello tante volte dichiarato: libera circolazione degli immigrati. È inaccettabile che ci sia la libera circolazione delle merci e non dei popoli, soprattutto quando si tratta di popoli affamati da questo modello di sviluppo che cercano uno sbocco lavorativo nell'emisfero nord.
È evidente che porre questi obiettivi e questi contenuti significa contrastare e lottare contro le politiche internazionali oggi dominate e dettate dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale.

Voi di che "armi" vi state dotando per contrastare i G8?
Noi non ci doteremo di nessun'arma. Le armi e la guerra fanno parte di una cultura e di una pratica che è assolutamente estranea al Genoa Social Forum. Il GSF parteciperà ed indirà solamente manifestazioni pacifiche e non violente, ovviamente anche attraverso la disobbedienza civile. Avremo unicamente strumenti di difesa, perché ovviamente non vogliamo soffocare per eventuali gas lacrimogeni né dover tornare a casa pieni di lividi in tutto il corpo. Ma abbiamo già dichiarato solennemente il totale rispetto della città e il rifiuto di qualunque pratica di attacco e di violenza.

Ma entrerete nella "zona rossa"?
Qualcuno del GSF - perché il GSF ha anime differenti - tenterà di entrare nella zona rossa senza strumenti di violenza, unicamente con il proprio corpo e con strumenti di difesa del proprio corpo.

Oggi Nigrizia chiede anche ai religiosi di intervire a Genova. Non mi sembra, però, che tutta la Chiesa sia schierata alla stessa maniera. È una mia impressione?
Intanto vi ringrazio, perché finalmente discutiamo di questioni di contenuto e non sempre e solo di questioni di piazza, che sono assolutamente secondarie rispetto ai grandi temi.

Sì, ma occorre parlare anche di quegli aspetti, perché vi stanno dipingendo come i ragazzotti dei centri sociali che vanno a Genova a spaccare vetrine.
Esatto. Teniamo presente che a Genova ci saranno persone che lavorano 365 giorni all'anno per questa cultura e per queste politiche diverse e che a Genova andranno con proposte precise: io sono tornato questa notte da San Paolo in Brasile, dal Consiglio consultivo del Forum sociale mondiale dove si sta preparando Porto Alegre 2: il grande incontro dei movimenti e delle associazioni contro la globalizzazione che si svolgerà dall'1 al 5 febbraio del 2002 in contemporanea con l'incontro dei potenti della terra ad Avos.
In questo lavoro sui contenuti vi è anche gran parte della Chiesa. La Chiesa ha delle divisioni al suo interno, divisioni che non sempre corrispondono alla gerarchia contrapposta alla "base" - teniamo presenti, ad esempio, gli appelli del papa contro questa globalizzazione neoliberista, appelli che hanno costretto ad altre prese di posizione, come quella del cardinale di Genova, che ha dovuto criticare, meno di 10 giorni fa, la globalizzazione.
Pensiamo alle grandi aperture dell'episcopato dell'America latina, che ancora sta seguendo il sentiero segnato ormai tanti anni fa a Puebla e poi con la Teologia della Liberazione.
Queste aperture hanno delle conseguenze, anche in Italia: l'iniziativa di Nigrizia, il messaggio che arriverà da Zanotelli ma non solo da lui, l'attività dei Comboniani e, non ultimo, l'incontro, che mi è stato comunicato proprio oggi, di diversi preti che prepareranno un loro momento di incontro, nei giorni del G8, per testimoniare la presenza di una Chiesa diversa che opera anche quotidianamente nelle parrocchie. Credo che vada prestata maggiore attenzione a questo fenomeno.

Sandro Invidia
sandro.invidia@arengario.net




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14 giugno 2001