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INTERVISTA
Frei Betto: "serve un nuovo modello di democrazia"
Lo scrittore brasiliano analizza il difficile rapporto tra politica e religione e i limiti dell'Occidente.
di Pietro Del Soldà

A venticinque anni, nel 1969, il suo volto veniva diffuso dai giornali e dalle televisioni di tutto il Brasile come il ritratto del più temibile avversario della dittatura militare. Dopo l'incontro con Carlos Menighiella, il leader rivoluzionario ucciso quello stesso anno, anima, con lo scrittore bahiano Jorge Amado, del comunismo brasiliano, Frei Betto, il giovane domenicano di Belo Horizonte Carlos Alberto Libanio Christo, aveva intrapreso un cammino senza ritorno di lotta alle ingiustizie sociali del Brasile, il paese delle enormi disuguaglianze. Teologo della liberazione, autore di oltre quaranta opere, racconta nel libro Battesimo di sangue (da poco ripubblicato in Italia da Sperling & Kupfer), il suo percorso tra conventi, prigioni, stanze di tortura e favelas.
Frei Betto, dopo l'11 settembre si parla molto, e forse confusamente, del rapporto tra religione e politica, ci si chiede ad esempio se il fondamentalismo sia davvero un fenomeno religioso. Che rapporto c'è per lei tra religione e politica?
Una delle grandi conquiste della modernità è stata la separazione tra la religione, come istituzione, e le istituzioni politiche. Dobbiamo mantenere questa separazione, nonostante molto spesso istituzioni politiche, come la Casa Bianca, assumano posizioni religiose. Quando Bush parla della guerra del Bene contro il Male, utilizza un linguaggio fondamentalista dal punto di vista della politica. E spesso anche istituzioni religiose, come accade nelle autocrazie fondamentaliste dell'Islam, assumono posizioni politiche.
Tuttavia, dal punto di vista della nostra vita personale e delle nostre comunità umane, è impossibile separare religione e politica: la sfida consiste piuttosto nel mantenere un criterio di saggezza. Cristiani, ebrei, buddhisti, musulmani, devono vivere la loro religiosità con una propria espressione politica, senza la pretesa di teocratizzare la società o di sostituirsi alle istituzioni politiche.
Noi cristiani siamo tutti discepoli di un prigioniero politico, Gesù non è morto di malattia nel suo letto, e neppure in un incidente di cavallo per le vie di Gerusalemme. Gesù è stato assassinato come prigioniero politico attraverso due processi politici. Quindi non c'è modo di essere cristiani senza che questo abbia ripercussioni nella vita sociale, politica ed economica. Questo significa nel Vangelo esser lievito nel pane, sale nel cibo, luce al centro della casa.

E' davvero possibile, secondo lei, che si instauri un autentico dialogo tra l'Occidente e l'Islam?
Noi cristiani, come Chiesa cattolica in primo luogo, dobbiamo innanzitutto perdere i pregiudizi di fronte alle altre tradizioni religiose. Io mi chiedo: nella catechesi si insegna ai bambini cos'è l'Islam, cos'è la Torah, cosa sono le tradizioni buddhiste, e quelle animiste africane o afrobrasiliane ? La risposta è no. Si insegna il pregiudizio, non sappiamo ascoltare il punto di vista dell'altro. Parliamo di ecumenismo, però abbiamo difficoltà a realizzare l'ecumenismo tra noi cristiani, tra la chiesa cattolica e le chiese protestanti. Il primo passo consiste dunque nel vincere i pregiudizi, riconoscendo che Dio si manifesta nell'Islam, nell'ebraismo, nell'animismo africano, in tutte le tradizioni religiose che lottano per la vita. In ciascuna di esse vi sono fondamentalisti, come nel caso delle crociate cattoliche, che sono state fondamentaliste e che non si possono giustificare ricorrendo al loro contesto storico. Il Vangelo di Gesù è molto anteriore alle crociate e non contiene alcun elemento che le possa giustificare.

Lei ritiene che un conflitto di civiltà porti con sé anche il pericolo di farci dimenticare le responsabilità dell'Occidente, i suoi gravi squilibri?
L'Occidente ha molte responsabilità in tutto questo. Perché gli Stati Uniti, che hanno relazioni molto buone con i paesi arabi, non hanno mai esigito che vi si instaurasse la democrazia? Perché agli Stati Uniti interessano le monarchie teocratiche che gli forniscono il petrolio. Dov'è la democrazia in Kuwait, dopo la guerra all'Iraq? Non c'è.
L'Occidente ha molte responsabilità anche se con questo non voglio però dire che il nostro modello di democrazia ultraliberista, borghese, capitalista, sia il meglio per gli altri. Credo che la democrazia sia il meglio, ma non questo modello di democrazia, che non rappresenta davvero la voce dei governati, i quali non partecipano effettivamente alle decisioni politiche. Dobbiamo comunque chiederci: l'Occidente ha lottato affinché non si alimentasse il fondamentalismo islamico? Dobbiamo portare le mani al petto e fare 'mea culpa' per aver creato un brodo di culture favorevole a questi settori estremisti, che ora appoggiano il fondamentalismo.

Venendo al suo Brasile, l'immenso paese a cui forse solo il Cile contende il triste primato della peggior distribuzione delle ricchezze, cosa prevede per il prossimo futuro?
Il Brasile deve prima di tutto eleggere un governo che si impegni per la maggioranza dei brasiliani. Per questo spero che Lula De Silva vinca le elezioni del prossimo anno. Cardoso è un presidente che si piega al volere del Fondo Monetario Internazionale e della Casa Bianca. Ha aperto il paese alle multinazionali, ha denazionalizzato totalmente il paese fino ad umiliare il nostro sentimento di sovranità nazionale. Il Brasile è un paese ricchissimo, siamo il terzo produttore mondiale di alimenti, il primo di frutta, e dei suoi 170 milioni abitanti 80 hanno fame. E' un paese che non conosce inverno, uragani, vulcani, deserti, ha la capacità di realizzare tre raccolti l'anno e milioni di abitanti muoiono di fame perché non abbiamo mai avuto una riforma agraria.

Pietro Del Soldà
per gentile concessione di il Nuovo



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  21 ottobre 2001