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MONZESI
Giuseppe Masera
Intervista di Carlo Vittone sul  libro MONZESI - cinquanta personaggi della città


Giuseppe Masera    Nato a Busto Arsizio nel 1937, sposato con tre figli. Dopo la maturità si laurea in medicina all'Università di Pavia. Nel 1963 trascorre un periodo di studio e ricerca a Berna (CH). Al ritorno in Italia 1964 ottiene la specializzazione in Pediatria e comincia a dedicarsi alla cura delle malattie del sangue nei bambini presso la clinica universitaria di Milano. Negli anni successivi promuove la nascita dell'”Associazione lombarda per il bambino emopatico”, associazione che riunisce i genitori dei bambini affetti da patologie del sangue, e gli viene anche assegnata la cattedra di Puericultura presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Milano. Nel 1983 si trasferisce all'Ospedale San Gerardo di Monza, dove va a dirigere il nuovo reparto di pediatria e il Centro di Ematologia Pediatrica per bambini leucemici, creato anche grazie ai fondi raccolti dal “Comitato Maria Letizia Verga per lo studio e le cure della leucemia del bambino” al quale Giuseppe Masera collabora fin dalla fondazione. A Monza attorno a lui nasce un affiatato staff che comprende medici e psicologi e che lavora a stretto contatto con i genitori dei piccoli malati in un progetto denominato “Alleanza terapeutica”. Nel 1987 diventa direttore della Fondazione Tettamanti per la ricerca scientifica sulle leucemie infantili e nello stesso anno il suo reparto ottiene il riconoscimento ufficiale di Centro di trapianto del midollo osseo. Nel 1986 apre un progetto di collaborazione e solidarietà internazionale con il Nicaragua e successivamente fonda il “Mispho” , scuola per operatori dei reparti di oncologia ed ematologia pediatrica dedicata ai paesi con scarse risorse. Nel 1999, grazie agli sforzi congiunti di Giuseppe Masera e del Comitato Maria Letizia Verga viene inaugurata la “Casa dei genitori” alla cascina Vallera (di fronte all'ospedale) in grado di ospitare i parenti dei bambini ricoverati. Dal 1988 è coordinatore nazionale dei protocolli di terapia della leucemia linfoblastica acuta. Dal 1993 al 2001 è coordinatore del del gruppo internazionale per la cura della leucemia e dei linfomi denominato I-BFM-SG e dal 1993 coordina il comitato psicosociale della Società Internazionale di Oncologia pediatrica.

foto di Daniele Rossi


Molti professionisti tengono in bella vista nel proprio studio la foto dei figli, una o qualcuna. Se entrate nello studio del professor Giuseppe Masera all'ospedale San Gerardo di Monza un'intera parete è coperta da un grande pannello dove sono appese decine di foto di bambini e adolescenti e anche di qualche adulto. Non sono i suoi figli, ma è un po' come se lo fossero. Sono le foto di alcuni dei tanti piccoli malati che Giuseppe Masera nel corso di molti anni ha strappato ad una malattia un tempo ritenuta del tutto incurabile e fulminante. E che oggi godono di una vita normalissima e hanno a loro volta dei figli sanissimi.

Professor Masera, quali particolari problemi ha un pediatra, un medico che ha a che fare con un bambino malato?

Beh, diciamo che rispetto ad un medico che ha a che fare con l'adulto, un pediatra deve necessariamente avere un rapporto più umanizzato col proprio paziente. Il medico di un adulto ha dinanzi a sé un malato adulto, ovvero è un rapporto generalmente “a due”. Nel caso di un bambino, il medico deve considerare un rapporto terapeutico con più persone, perché oltre al malato entrano in gioco anche i suoi genitori. Ecco perché abbiamo coniato il concetto di “alleanza terapeutica” e questo è fondamentale per gestire al meglio situazioni mediche spesso molto difficili e logoranti come le cure della leucemia infantile.

Ma il rapporto con i genitori dei piccoli ricoverati può anche essere conflittuale?

I genitori dei bambini che ricoveriamo rappresentano uno “spaccato” dell'intera società e così ci capita di tutto. In genere direi che conta molto il clima interno della famiglia stessa d'origine. Se questo clima è sereno, ciò si rivela anche durante la cura e ci aiuta notevolmente. Se invece nella famiglia d'origine ci sono tensioni o addirittura gravi lacerazioni, possiamo incontrare alcune difficoltà. Molto dipende anche da come si imposta la questione, anche se direi che per la maggior parte dei nostri ricoverati e dei loro genitori sono in grado di affrontare positivamente l'esperienza anche grazie al sostegno che deriva dal supporto psicosociale offerto dal Centro.

Ai genitori dei bambini ricoverati oggi siete in grado di fornire anche un aiuto materiale, ovvero un luogo dove soggiornare durante le cure?

Sì, nel 1999 abbiamo inaugurato la “casa dei genitori” presso la cascina Vallera, proprio qui davanti all'ospedale. Era una vecchia cascina abbandonata e diroccata di proprietà comunale. Il Comune ce l'ha data, con l'aiuto di una grande sottoscrizione e dell'impegno materiale di decine di volontari il Comitato Maria Letizia Verga l'ha ristrutturata a tempo di record e attualmente è in grado di far fronte ad un problema un tempo drammatico per i genitori dei bambini leucemici che provenivano da fuori Monza: come star vicini ai loro figli e vivere in città magari per settimane o mesi, durante le cure. Oggi la “casa dei genitori” dispone di 18 alloggi su tre piani, più un'area comune destinata a servizi, attività ricreative e convegni e un giardino di 600 metri quadrati. Devo dire che i genitori del “Comitato Maria Letizia Verga” hanno fatto davvero una grande cosa.

Come considera il suo centro per le leucemie infantili? E a che punto siamo con le cure?

Senza falsa modestia direi che siamo una punta di eccellenza nel settore, anche se ovviamente ne esistono altre sia in Italia che nel mondo. Per quanto riguarda le cure, tenga presente che un tempo la leucemia infantile era considerata praticamente incurabile. Quando cominciai ad occuparmene, tanti anni fa, fui anche circondato dallo scetticismo di alcuni colleghi che sembravano dirmi “vai a occuparti di una cosa senza senso”. Oggi, grazie alla chemioterapia e al trapianto di midollo osseo raggiungiamo percentuali di guarigione totale intorno all'80%. Ma la nuova frontiera è costituita dalla genetica e proprio in questo dicembre inauguriamo il nuovo laboratorio di terapia cellulare e genica, il primo laboratorio di questo genere in una struttura pubblica. La malattia verrà affrontata anche da questa prospettiva.

Senta, professore, nello sviluppo del lavoro Suo e della Sua equipe spesso ha contato molto il sostegno del cosiddetto mondo del volontariato e soprattutto del “Comitato Maria Letia Verga”, al quale Lei collabora fin dalla fondazione. Ma non c'è il rischio che questo volontariato sociale si sostituisca al pubblico, faccia cose che il pubblico non fa o non può fare? E fornisca così un alibi e una copertura a questa inefficienza?

No, io non affronterei così il problema. Il pubblico deve fare e deve fare bene. Noi lo dimostriamo ogni giorno e io sono un acceso sostenitore di una sanità pubblica, lavorando da più di quarant'anni solo in strutture pubbliche. Il vero nodo è che da questo “lavorare bene” a quella che chiamerei “l'eccellenza” c'è un gap che è incolmabile dall'intervento pubblico. E per colmare questo gap può entrare in gioco fattivamente il volontariato sociale con associazioni del genere del “Comitato Maria Letizia Verga” in grado di mobilitare uomini e risorse su progetti definiti. Purtroppo oggi assistiamo ad un progressivo scadimento dell'intervento pubblico nel settore sanitario, che sta creando sempre maggiori problemi. A volte ci mancano risorse che la società dovrebbe assicurare tramite l'intervento pubblico.

Lei ha anche trasferito la Sua esperienza di medico e le esperienze del volontariato monzese in un paese lontano, il Nicaragua mi pare.

Sì è nato tutto un po' per caso, quando anni fa ho ricevuto una lettera da un medico nicaraguegno dell'ospedale “Mascota” di Managua Chiedeva il mio aiuto perché anche lui curava bambini leucemici nel suo paese, ma con enormi difficoltà, in una situazione dove gli mancavano medicine, attrezzature, personale specializzato, aggiornamenti scientifici. Ne parlai con i responsabili del “Comitato Maria Letizia Verga” e della Fondazione Tettamanti e decidemmo di fare qualcosa. Non era certo facile, anche per l'enorme distanza. Ma non ci perdemmo d'animo, in fondo i bambini del Nicaragua sono bambini come i nostri, non potevamo sottrarci. Io mi recai direttamente a Managua, incontrai quel medico che mi aveva scritto, il dottor Fernando Silva, e di persona constatai gli enormi bisogni di quell'ospedale dove lavorava. Quando tornai in Italia mobilitai non solo il volontariato monzese ma anche tutti i contatti internazionali che avevo. Nel 1997, dopo quasi vent'anni da quella lettera e tanto lavoro di tante persone, è stata creata una struttura in grado di far venire a Monza medici da 14 paesi dell'America Latina, che ospitiamo qui a rotazione e ai quali forniamo tutte le più recenti tecniche e conoscenze per la cura della leucemia infantile. Per puntare al progresso delle terapie in quei paesi a scarse risorse bisogna anzitutto addestrare i medici che ci lavorano. E abbiamo anche spinto le equipe mediche locali a sviluppare le nostre stesse strategie nel coinvolgimento di genitori e di volontari. E i risultati non si sono fatti attendere: i numeri parlano chiaro, anche per i bambini nicaraguesi cominciano a guarire.

Ma quello che il professor Masera non ci dice - forse per naturale riservatezza, forse perché si è ormai abituato a considerare normali le cose più straordinarie - è che l'ospedale “Mascota” di Managua è diventato un punto di riferimento nel campo della lotta alla leucemia infantile per tutta l'America centrale. E a lui hanno dedicato la nuova sezione di dieci letti del reparto di oncologia pediatrica e gli hanno chiesto di essere il direttore onorario dell'intero ospedale.

Carlo Vittone


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 10 maggio 2003