prima pagina pagina precedente indice




Montenegro amaro
L'ultimo libro di Giacomo Scotti
Umberto De Pace

Giacomo Scotti
Nel suo ultimo libro, l'infaticabile Giacomo Scotti, racconta “L'odissea dei soldati italiani tra le Bocche del Cattaro e l'Erzegovina dal luglio 1941 all'ottobre 1943”, come riporta il sottotitolo dell'opera “Montenegro amaro”.
Come suo solito, l'autore ci propone un libro denso di documentazione e testimonianze, sempre attento e puntuale nel descrivere il vissuto non solo dei protagonisti oggetto della ricerca ma anche il vissuto dell'”altro”, del nemico; in questo caso delle forze partigiane jugoslave che combatterono contro il nostro esercito e quello tedesco. L'occupazione italiana del Montenegro iniziò nell'aprile del 1941 e già nel luglio di quell'anno si ebbe la prima insurrezione da parte delle popolazioni occupate. Le forze armate italiane si videro costrette a impegnare dalle quattro alle sei divisioni nella regione (tra esse la “Taurinense” alpina, la “Venezia” di fanteria, più alcuni reparti dell' “Emilia”, della “Ferrara”, e della “Murge”) affiancate nelle varie offensive da altrettante divisioni tedesche e da formazioni autoctone cetniche e ustascia. Se per gli ustascia è risaputa la storica adesione al nazifascismo più complessa, nel teatro della guerra, è la posizione dei monarchici cetnici. Ferocemente anticomunisti, stretti alleati degli italiani per i quali svolgevano il lavoro “sporco” sul campo, i cetnici erano visti con diffidenza dai tedeschi in quanto ritenuti inaffidabili nonché avanguardia dell'esercito inglese, da quest'ultimo in effetti ostinatamente appoggiati e aiutati almeno fino al luglio del 1943, quando il comando inglese riconoscerà ufficialmente quale alleato l'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia (EPLJ) al comando di Tito. Odiati dalle popolazioni croate e mussulmane contro le quali perpetrarono molteplici massacri ed orribili eccidi, i cetnici non mancarono di ricevere il riconoscimento, nell'agosto 1942, da parte della stessa Unione Sovietica.
Uno scenario quindi complesso e intricato, all'interno del quale, nel corso della guerra si consumerà anche il dissidio tra l'esercito italiano e quello tedesco, il primo impegnato a preservare la propria “sovranità” sul territorio occupato, il secondo preoccupato della tenuta dell'alleato in un territorio che, sempre più, si dimostrava strategico in quanto possibile testa di ponte per una invasione dei Balcani da parte delle truppe anglo-americane. E' del febbraio- marzo 1943 l'”Operazione Weiss” (bianca) voluta dai tedeschi contro i partigiani jugoslavi, il cui fallimento, lo stesso Hitler, imputò direttamente agli italiani. Non a caso nell'immediata e successiva offensiva – l'”Operazione Schwartz” (nera) maggio-giugno 1943 – i comandi italiani furono tenuti all'oscuro fino all'ultimo dei piani tedeschi. Lo stesso Tito non si aspettava una nuova grande offensiva: “l'uomo che tante volte si era dimostrato ottimo e avveduto stratega” cascò “ingenuamente in una trappola micidiale”. Fu una delle offensive più violente e sanguinose, nella quale le forze partigiane subirono gravi perdite, ricevendo però gli elogi dello stesso comando tedesco per la tenacia della loro resistenza; lo stesso comando di quell'esercito che a detta di nostri ufficiali massacrava tutte le persone che cadevano nelle loro mani: “I nostri soldati assistono a crudeltà via via crescenti. La maggioranza è, oramai, pervasa da sentimenti antitedeschi” – così ricorda l'allora tenente Stefano Gestro. Fra le fila italiane si distinsero per i crimini le Camicie Nere che rappresentavano la maggioranza della divisione “Ferrara”.
Dalla cacciata dal Montenegro del Gruppo centrale dell'esercito di Tito e l'avvenuta “pacificazione” della regione (giugno '43), alla rimozione e crollo del regime fascista (25 luglio '43); dalla contemporanea riorganizzazione delle forze partigiane sul territorio, al malessere sempre più diffuso fra le truppe italiane; dal loro graduale esautoramento all'insediamento delle truppe tedesche al loro posto, sono solo una manciata di settimane quelle che trascorrono prima di giungere al fatidico 8 settembre 1943. “Alle cinque e mezza del pomeriggio, una delle emittenti “vietate” ma tra le più ascoltate in segreto dagli italiani, Radio Londra, annunciò al mondo che l'Italia aveva accettato la resa incondizionata”. Stephen Clissold, storico britannico così sintetizza quei momenti: “… la capitolazione dell'Italia fu il segnale di partenza di una gara fra tedeschi e partigiani per raccogliere la resa delle truppe italiane e impossessarsi dei loro armamenti e delle loro posizioni …”. Iniziò così una nuova guerra per le nostre truppe, allo sbando in mancanza di univoci comandi superiori: chi contro i tedeschi, chi assediato dai cetnici, chi contro i partigiani jugoslavi, chi si affianca a questi ultimi nella guerra contro i nazisti e chi passa sotto il comando diretto tedesco.
Rimane comunque il fatto, come ci ricorda l'autore nella sua premessa, che la data di nascita del Nuovo Esercito Italiano risorto dopo la caduta del fascismo – ufficialmente riconosciuta nell'8 dicembre 1943, data in cui il Primo Raggruppamento Motorizzato Italiano, con circa 6000 uomini, venne impiegato al fianco della 36a Divisione americana per la conquista di Monte Lungo a sud di Cassino – andrebbe anticipata al 9 ottobre 1943. In quest'ultima data “il generale Giovanni Battista Oxilia, comandante della Divisione di fanteria da montagna “Venezia”, firmò a Berane, in Montenegro, un accordo con il Comando del II Corpo d'armata dell'EPLJ, con il quale fu stabilito che quella grande unità italiana, forte di 12.000 uomini, al “completo con tutte le armi, equipaggiamenti, vettovagliamenti e magazzini” di cui disponeva, restava nel territorio jugoslavo per combattere contro i tedeschi al fianco dei partigiani. Sempre nell'area del Montenegro, un'altra nostra Divisione, la “Taurinense” alpina, dopo aver intrapreso la lotta contro i tedeschi sin dall'inizio della seconda metà di settembre, si associò successivamente anch'essa all'esercito partigiano”.
Fu una guerra dura, alle volte spietata, con migliaia di morti su entrambi i fronti e con un calvario per la popolazione civile tra stenti e circa quarantamila morti. Una guerra dura come la sua terra nella quale, fin dall'inizio – nella prima metà del XIX secolo – le lotte politiche furono caratterizzate da una violenza estrema e da un accentuato radicalismo. Nel corso della seconda guerra mondiale “il settarismo dei comunisti autoctoni, la miseria in cui versava la maggioranza della popolazione e l'eredità negativa del passato politico contribuirono a indebolire il fronte partigiano …” che si salvò solo grazie all'ampiezza “assunta sin dall'anteguerra dal movimento comunista e la tenace fede dei comunisti nella vittoria finale”.

Umberto De Pace

copertina

Montenegro amaro
Scotti Giacomo
edizioni Odradek, maggio 2013
collana Storia e politica
pagine 420, € 26


in su pagina precedente

  28 ottobre 2013