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Partigia
Il libro di Sergio Luzzatto
Umberto De Pace

Partigia

Sergio Luzzatto insegna Storia moderna all'università di Torino ed è autore di diversi libri di storia sulla Rivoluzione Francese e sul Novecento italiano, con traduzioni in inglese, francese, tedesco e giapponese. Nel suo ultimo libro – dal titolo “Partigia”, edito da Mondadori, collana Le Scie, aprile 2013 – tocca il tema della Resistenza attraverso una storia molto particolare: l'uccisione di due giovani componenti una piccola banda partigiana della Val d'Aosta, in cui militò per un breve periodo Primo Levi. Dopo l'8 settembre 1943 Levi, lasciata Torino, si rifugiò in un albergo di Amay, una frazione di Saint Vincent situata in alta quota, poco sotto il Col de Joux. Lo stesso albergo dove il 13 dicembre di quell'anno venne arrestato, per poi essere deportato in Polonia nel febbraio 1944 e far ritorno in Italia solo nell'ottobre del 1945, dopo l'internamento ad Auschwitz.
“Partigia” era un modo di dire piemontese, con il quale si identificavano i combattenti della Resistenza più spregiudicati nell'uso delle armi, “decisi e svelti di mano”. Al contempo “Partigia” è il titolo di un poesia scritta e pubblicata da Levi nel 1981. Luzzatto indaga, documenta, studia nei minimi particolari questo “segreto brutto” – l'uccisione dei due giovani partigia – di cui Levi accenna una sola volta, con poche righe, all'interno del capitolo “Oro”, nel suo libro autobiografico “Il sistema periodico” (1975).
Scavando in questo segreto, e allargando lo sguardo dalla valle d'Aosta all'Italia del Nord-Ovest, Sergio Luzzatto racconta - attraverso una storia della Resistenza - la storia della Resistenza. Il dilemma della scelta, quale si pose dopo l'8 settembre ai giovani di una nazione allo sbando. L'amalgama di passioni e di ragioni dei refrattari all'ordine nazifascista. Il problema della legittimità e della moralità della violenza. Luzzatto restituisce figure vere, non santini della Resistenza o mostri di Salò. Eppure i protagonisti di Partigia si rivelano essi stessi, a loro modo, figure esemplari. E personaggi memorabili.” – così recita il retrocopertina del libro.
Quanto ciò sia vero spetta al giudizio di ogni lettore. Personalmente ne traggo un sentimento ambivalente. Una lettura intercalata da momenti (lunghi) di interesse e partecipazione e momenti (brevi ma ripetuti) di monotonia. L'interesse per una storia, pur secondaria, che nel suo dispiegarsi ripercorre tutte le tappe che il nostro paese dovette affrontare dal '43 fino ai primi anni del dopoguerra: l'armistizio, il disfacimento dell'esercito e del regime fascista, la fuga degli ebrei, le deportazioni, la scelta per alcuni della montagna e della resistenza, la scelta “obbligata” per molti della fuga di fronte alla chiamata alle armi, la violenza e l'odio, la generosità e il coraggio, le spie e i collaborazionisti, le esecuzioni e la morte, la giustizia e la vendetta, il perdono e l'impunità.
La monotonia è prevalsa invece di fronte ai soventi momenti ripetitivi, all'infinita sequela di dettagli minuziosi, ai continui rimandi al tema centrale del libro che così, continuamente puntellato, svela a mio parere la sua fragilità nel sostenere un'opera così voluminosa. La sensazione è stata quella a tratti di non sapere se stessi leggendo un libro di storia, un romanzo, un romanzo storico, un giallo. Autorevoli critici lo hanno definito un libro dai “molteplici registri di scrittura”, personalmente, da semplice lettore, lo definirei un libro scritto da uno storico con una marcata vena narrativa e soprattutto con una trama intessuta con gli occhi e i sentimenti dell'oggi. Luzzatto evidenzia che il suo approccio al tema della Resistenza si situa tra l'ossessione (la madre che gli legge ad alta voce le lettere dei condannati a morte prima di andare a letto quando aveva 11-12 anni) e la curiosità-passione sollecitata dai libri di Gianpaolo Pansa e in generale sulla guerra civile nel nostro paese del 1943-'45. Ossessione-curiosità affiancata da un'altrettanta attrazione provata nei confronti di Primo Levi per il quale Luzzatto prova una devozione civile e una venerazione letteraria.
Il fulcro centrale del libro è l'uccisione dei due giovani, responsabili di “colpe giudicate imperdonabili” da parte dei loro compagni. Lo scrupolo di Luzzatto, che giustamente si astiene dall'azzardare un teorema giudiziario sull'identità di chi si assunse la responsabilità di premere il grilletto, vacilla quando si tratta di ragionare sulla “severità di una punizione che i partigiani di Col de Joux dovettero decretare con ogni scrupolo di coscienza, ma che le fonti storiche disponibili autorizzano a ritenere smisurata rispetto all'entità delle colpe di cui” i due giovani potevano essersi macchiati. Sinceramente, nella mole dell'opera, mi sono sfuggite le suddette “fonti storiche” autorizzative, fatto salva una lettura odierna che giustamente antepone la pietas all'ineluttabilità, in quegli anni, del dover scegliere della vita e della morte di altri esseri umani.

Così come mi è difficile capire che senso abbia chiedersi, alla fine del libro, che cosa avrebbero fatto le due giovani vittime nelle formazione partigiane se non fossero state uccise, quando all'inizio dello stesso si racconta che lo furono perché sospette di possibile tradimento. Per una di esse, a metà del libro, l'autore si domanda se non vada considerato un martire della Resistenza, ricavandone da sua foto “un'immagine di forza”, di un fisico “vigoroso quanto spiritualmente risoluto”; mentre alcune pagine prima, i due giovani, diventano possibili vittime di uno sbrigativo sistema suggerito dal fascista infiltratosi nelle loro file, quando viene ripetuto più di una volta che quello adottato dai loro compagni fu il classico “metodo sovietico”.
Mi è altrettanto difficile capire che senso abbia forzare i pensieri di chi non c'è più, nel vano tentativo di comprendere quale fosse il loro sentimento (come l'autore fa con Primo Levi e Luciana Nissim: “i due ebrei salvati si augurarono forse di vedere condannato a morte” il Cagni, la spia fascista infiltratasi fra i partigiani e artefice del loro arresto).
Disarmanti, a mio parere, i commenti dell'autore sulla mancanza di garanzie processuali nell'immediato dopoguerra, sulla resa dei conti personale, sulle “rappresentazioni rugiadose del lutto delle madri, distrutte dalla perdita dei figli ma orgogliose del loro sacrificio” nella lotta di liberazione, contrapposte alle altre madri, quelle che ebbero i figli caduti per Salò e “conobbero il dramma ulteriore di dover nascondere le origini del proprio lutto”. Non conosco Sergio Luzzatto – questo è il suo primo libro da me letto – eppure mi piacerebbe sapere con quali criteri, o forse meglio sentimenti, ha scelto alcune delle parole e frasi del libro, che in qualche modo, sono risultate ai miei occhi stridenti. A parte le “rugiadose madri”, potrei citare anche un Levi che “assaporò, forse, la condanna a morte di Hoss” (l'ufficiale delle SS che aveva comandato ad Auschwitz) o ancora il “momento di retorica resistenziale” rappresentato dall'”Agnese va a morire” di Renata Viganò non avendolo, almeno personalmente, recepito a suo tempo nel leggerlo.
A mio avviso “Partigia” non aggiunge o svela nulla sulla più generale conoscenza storico, politica e umana di quegli anni e faccio fatica a comprendere il “corpo a corpo” che l'autore, metaforicamente, dichiara di intraprendere con la storia della Resistenza “nel guardare non a santini, né a mostri, ma a figure vere”; faccio fatica a comprendere ciò all'interno di un libro che si dilunga per 360 pagine, se non alla luce di quelle “ossessioni” che lo stesso autore, onestamente, dichiara di avere. In questo – nelle “ossessioni” personali – Sergio Luzzatto condivide in qualche modo un comune sentimento con Giampaolo Pansa, pur sapendo che fu critico nei suoi confronti ai tempi dell'uscita de “Il sangue dei vinti”.
Occorre liberarsi dalle “ossessioni” e se scrivere un libro può aiutare l'autore a farlo – e con esso anche i lettori che provano le stesse preoccupazioni – ben venga, l'importante è essere coscienti che le “ossessioni” difficilmente sono un buon viatico per guardare a “figure vere”, di questa come di qualsiasi altra storia.

Umberto De Pace

copertina
Partigia
Sergio Luzzatto
edizioni Mondadori, 2013
collana Le Scie
pagine 373, € 19,50
EAN 9788804629399


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  25 ottobre 2013