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Stato di crisi
Tania Marinoni


Nella società odierna il cittadino vive nella più profonda solitudine una condizione di grave disagio economico e sociale, che impone interrogativi lasciati senza risposta. Eppure le preoccupazioni che lo affliggono non riguardano solo il singolo, ma un'intera generazione di giovani che, senza un'occupazione, deve porcrastinare l'impostazione di una vita al di fuori del nucleo familiare d'origine. Numerosissimi sono i padri di famiglia che non riescono a garantire ai propri figli le basi per il loro futuro, o coloro che, afflitti dalla malattia, non ricevono dal sistema sanitario un'offerta pronta ed efficace. Situazioni di fragilità condivise gettano paradossalmente l'individuo nel più disperato isolamento, rendendolo impotente di fronte ad un mercato saturo, che induce imprenditori divenuti sempre più finanzieri, a spostare capitali d'investimento all'estero. Nessuno può operare a favore di cittadini che non si sentono rappresentati dall'attuale classe politica, intenta solo a salvaguardare i propri interessi e troppo lontana dalle problematiche quotidiane che gravano sui bilanci familiari.

In uno splendido confronto dialettico intitolato “Stato di crisi” Zygmunt Bauman e Carlo Bordoni ricercano le cause che hanno condotto la società in questa condizione di severa e profonda difficoltà economica, unica e dai tratti inediti, che mette in discussione le istituzioni democratiche. “La crisi attuale non investe solo l'Europa, non è una crisi congiunturale: è una crisi profonda di trasformazione sociale ed economica, che affonda le sue radici nel passato”. La storia insegna che ciclicamente il mercato viene interessato dalle cosiddette crisi: quella del 1929, ad esempio, aveva gettato l'occidente in una gravissima paralisi economica. Eppure allora nessuno nutriva dubbi su quale fosse il soggetto preposto ad intervenire: lo Stato, con le sue prerogative, il potere, ossia la capacità di agire e la politica, il mezzo con cui decidere quali provvedimenti attuare.

Era, quello, il modello di Stato sociale, che iniziò ad incrinarsi negli anni Settanta, quando in seguito ad una battuta d'arresto del progresso, la fiducia dei cittadini precedentemente riposta nelle sue mani confluì in quelle invisibile del mercato. Le tipiche funzioni statali vennero esternalizzate e affidate totalmente ai singoli, in quel terreno governato dall'impolitica e alimentato dall'avidità personale. La società visse per circa un trentennio valutando il progresso con la crescita del PIL e aspirando ad una felicità misurata dalla capacità di spesa personale: il consumismo è stato il principio regolatore degli “opulenti trenta”. Ma al redde rationem, di fronte ad una struttura sociale effimera che inizia a vacillare, non è più possibile oggi invocare l'intervento dello stato a garanzia dei diritti di tutti, che sono divenuti privilegi per pochi.
In esso è avvenuta la dicotomia tra le sue capacità, si è verificato il divorzio tra la politica, esercitata localmente e il potere, traslato a livello globale, al di fuori dei confini nazionali, abbattuti dalla globalizzazione: è là, nello “spazio dei flussi” dove si spostano i capitali di investimento, i mercati del lavoro, le finanze, la circolazione delle merci; è in una dimensione lontana e incontrollabile dove si generano i problemi avvertiti dai cittadini nei confini statali.

Le risposte fornite da una politica sfilacciata in innumerevoli livelli privi di potere si rivelano impotenti e generano nella popolazione quel sentimento di sfiducia, di disinteresse, che nella storia ha gettato le basi per l'instaurarsi di regimi dittatoriali. Le dinamiche che portano a flussi migratori incontrollati nascono a livello sovranazionale, ma è localmente dove provocano i disagi che una gestione solo amministrativa non riesce ad arginare. Uno stato privato del potere, amputato nel suo braccio operativo, è un'entità incapace di agire e viene sostituito nei rapporti con la politica dalla governance.

Si è sciolto quel patto stipulato tra le istituzioni e il cittadino, quell'accordo che offriva la somministrazione dei servizi in cambio di legami di dipendenza. Dalla sua nascita, avvenuta nel XVII secolo, lo stato moderno si è fondato sul principio di solidarietà sociale e sulla delega del potere collettivo attraverso il meccanismo della rappresentanza: il cittadino di oggi non si riconosce più nel popolo e coinvolto nel processo di demassificazione, sperimenta la più amara solitudine in una società che perde coesione, diventando “liquida”. La crisi colpisce anche la natura moderna dello stato, a cui il trattato di Vestfalia aveva riconosciuto piena sovranità nell'ambito dei confini nazionali. Senza potere infatti non si può esercitare quella sovranità, che si trova oggi nei “non luoghi” di un mercato libero di rincorrere il profitto nella più completa assenza di valori etici. Ma la crisi interessa anche il carattere democratico delle istituzioni attuali: il potere viene esercitato dalle lobby, dalle multinazionali, dalle holding, non certo per volere dei cittadini.

Mentre il liberismo classico auspicava un mercato libero dall'intervento dello stato, il neoliberismo si annida nello stato stesso, subordinando agli interessi economici le sue peculiari funzioni: istruzione, sanità, ricerca scientifica, previdenza sociale vengono adesso gestite secondo criteri di redditività.
Nel tramonto del garantismo sociale si legge anche la crisi della modernità, che si fondava sulle grandi utopie, prime tra tutte la libertà umana di autodeterminarsi e la sicurezza da tutto ciò che poteva rappresentare una minaccia. La promessa di porre tutto nelle mani dell'uomo, compresa la stessa condizione umana, per portare, attraverso la Ragione, ordine dove invece regnava il caos ha rappresentato l'illusione di quell'epoca razionale. Così sarebbero state previste ed arginate le catastrofi naturali e altre calamità incombenti sulla sicurezza collettiva, nell'espressione più alta di quelli che erano i valori fondanti dell'illuminismo. Il progresso veniva percepito come continuo ed inarrestabile, garantito a priori, nella quasi infinita disponibilità di prodotti apportati dall'industrializzazione.

Tuttavia l'amministrazione umana non ha visto l'azione sinergica, ma la contrapposizione di libertà e sicurezza, nella manifestazione alternativa dell'una o dell'altra; e il progresso, lontano dall'essere un movimento unidirezionale, ha mostrato l'impossibile cooperazione tra le due grandi utopie della modernità: a determinare la crisi è intervenuta anche la trasformazione dell'etica del lavoro, caratterizzata dalla spersonalizzazione tesa al precariato. La globalizzazione invocata dalla classe imprenditoriale come soluzione alla sovrapproduzione ha provocato con l'apertura dei confini quella separazione tra potere e politica, sgretolando le garanzie sociali e generando la crisi della rappresentanza. Sia che ci troviamo nell'era seguente al post modernismo, come sostiene Bordoni, sia che stiamo attendendo ancora le promesse della modernità, come invece ritiene Bauman, certamente la modernità con le sue certezze, le sue promesse ed illusioni è entrata in una profonda ed irreversibile crisi, richiedendo di essere interpretata da strumenti nuovi, non più da quelli classici, ormai superati ed inefficaci.

Jean-François Lyotard in “La condizione postmoderna” leggeva la fine della modernità nel declino delle grandi narrazioni: quegli avvenimenti accaduti nella storia, quei momenti corali, accolti come fondanti della storia di un popolo. “Le grandi narrazioni non sono che la sedimentazione culturale nell'immaginario collettivo degli eventi che, nel passato, hanno segnato svolte significative a cui, a posteriori, si è assegnato un senso per costruire l'uniformità del quadro d'insieme”. I pilastri della modernità sono state le ideologie, quei prodotti dell'illuminismo, che hanno costituito le basi culturali di una società da poco uscita dal feudalesimo. Esse hanno regalato speranze e resa lecita, giustificabile, ogni violenza: nel loro nome sono state compiute infatti le più grandi nefandezze della storia.

Considerando alternativamente, o come suggerisce Bordoni, le grandi narrazioni terminate, oppure, come sostiene Bauman, in continuo movimento ed evoluzione, comunque si conviene nel ritenere concluso il tempo di quelle che furono epiche, figlie della storia e delle speranze in una condizione ormai relegata al passato ed entrata nel mito. Fine delle grandi narrazioni significa anche termine della storia, che diviene sempre più cronaca, e, benché maggiormente oggettiva, si mostra lontana dai sentimenti collettivi. E' l'evento teorizzato da Nietzsche ad Heidegger, unico, irripetibile, veritiero, libero da interpretazioni, a sostituire la memoria che era “base per edificare l'identità di un popolo, affermare la sua vera cultura e fissare le sue tradizioni, le sue leggi, gli usi, i comportamenti”.

La nostra vita viene oggi captata nelle tracce lasciate dai supporti tecnologici, in quelle che diventano “scie elettroniche”: ogni momento può essere immortalato e consegnato ad una catalogazione smisurata, che offre una visione parziale di momenti indipendenti l'uno dall'altro, nella consacrazione dell'immediatezza. Tutto appare e svanisce nello stesso momento, grazie a strumentazioni che esercitano un controllo illimitato su chiunque, in una perfetta quanto terribile realizzazione del Panopticon: la costruzione che Michel Foucault aveva teorizzato come massimo strumento del potere per dominare la popolazione; l'architettura che vede ed è invisibile, che osserva silenziosa e discreta.

Ogni “struttura”, ogni accordo, soggiace oggi al carattere della temporaneità, della provvisorietà e deve sciogliersi nell'attimo stesso della sua creazione, risultando così “biodegradabile”: attraverso la flessibilità si esercita nella modernità liquida la migliore strategia di dominio. Ma nel soggettivismo della attuale società, che ha gettato l'individuo in una solitudine non meno amara di quella causata in passato dalla massificazione, esiste anche un aspetto positivo. La” solitudine del cittadino globale”, che induce a cercare nella visibilità offerta dai media, nella spettacolarizzazione, l'unico modo per liberarsi dall'anonimato, può trovare un barlume di speranza nel “ritorno delle moltitudini”. Esse, in passato addormentate e chiuse nell'omologazione del popolo, sono oggi l'unica entità che per natura sfugge al controllo sociale e rifiuta ogni forma di condizionamento. In queste, forse, si trova la possibilità di ricercare un equilibrio all'interno del nuovo ordine globale.

Tania Marinoni

copertina


Stato di crisi - Zygmunt Bauman e Carlo Bordoni
Passaggi Einaudi, 2015
pagine 198, € 18,00
ISBN 9788806224493



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  18 aprile 2015