prima pagina pagina precedente indice




Dall'Armistizio alla Liberazione
Pietro Arienti racconta Monza
Tania Marinoni

Pietro Arienti

Alla caduta del fascismo e al ritorno della democrazia a Monza qualche ricercatore locale ha dedicato i suoi studi, ma dei venti mesi che dall'armistizio conducono alla Liberazione nessuno si era mai occupato. Colma questa lacuna Pietro Arienti, chimico farmaceutico di professione, storico per passione. Interessato alla Resistenza in Brianza, ha pubblicato diverse opere sull'argomento e l'anno scorso nasce quasi casualmente il suo ultimo libro. Nel 70° anniversario della strage di Fossoli, che annovera cinque caduti monzesi, le sue ricerche negli archivi della città lo portano ad esaminare documenti di una corposità straordinaria: intere pagine di diari e di relazioni approfondiscono avvenimenti noti e illustrano altri ancora inediti. E' l'occasione per donare ai monzesei un importante strumento che faccia chiarezza sui due anni forse più drammatici del conflitto mondiale. Avvalendosi dei faldoni storici del comune, dei giornali dell'epoca e delle testimonianze, che per ragioni anagrafiche si riducono sempre più nel numero, l'autore sviluppa la sua analisi.

L'opera, consegnata alle stampe grazie all'ANPI, viene presentata per la prima volta durante la serata di mercoledì 13 maggio al Centro civico di via Lecco e poi subito dopo allo Sporting Club, durante l'ultimo dei quattro incontri dedicati al tema della seconda guerra mondiale. Introducono l'argomento le parole toccanti del professor Vittorio D'Amico, che del libro ha redatto una precisa e commovente prefazione. Avrebbe poi dovuto essere fatto conoscere ai tanti iscritti dell'ANPI in occasione della Festa provinciale a Besana Brianza il 27 giugno ma ciò non è avvenuto per un intoppo.

Nei fatti narrati da Arienti la città muta d'aspetto e disvela ad un pubblico attento una realtà che fa dei suoi simboli storico artistici i codici di un dolore incomprensibile. Edifici un tempo realizzati per decantare la magnificenza della nobiltà locale, si trasformano in teatri di atrocità, mostrando un volto sofferente, rimasto sconosciuto per troppi decenni. La Villa Reale, dimora estiva del re, già saccheggiata e deturpata dai militi fascisti innanzitutto nel nome quando, in spregio a casa Savoia diviene “Casa della Repubblica”, offre, insieme con la Casa del fascio (l'attuale Ufficio imposte in via Passerini), con l'ex macello e con la Casa del Balilla (oggi Urban Center), l'involontaria ambientazione a episodi di un'efferatezza incredibile. In questi luoghi più di cinquecento tra uomini e donne, colpevoli di essersi opposti ad un regime liberticida, vengono sottoposti a torture e barbaramente uccisi.

Ma la residenza reale con il suo splendido parco diviene anche una risorsa di legname che i fascisti saccheggiano per scopi bellici. Crolli strutturali interessano porzioni dello stabile a seguito della rimozione di travature e l'assito del pavimento viene schiodato in numerose sue parti. Ingenti danni sono riportati anche dall'alberatura del parco nell'asportazione di essenze rare. I tedeschi, che nell'edificio hanno insediato il loro comando della difesa aerea, adibiscono alcuni vani al piano terreno a polveriera.

Si insediano così i nazifascisti negli stabili monzesi, ne prendono possesso, appropriandosi degli immobili e dell'arredamento: è questo il destino che un episodio dai toni drammatici e grotteschi riserva a Villa Belvedere. Il fabbricato è di proprietà della marchesa Giuseppina Rossi, coniuge del generale di cavalleria Paolo Taccoli, vicino a Vittorio Emanuele III. Grazie allo zelo del commissario prefettizio Bianchi, nell'edificio si insedia la banda Pennacchio, nata dallo scioglimento di uno degli uffici di polizia anti partigiana di Brescia. Dopo aver subito il sequestro persino delle stoviglie e della biancheria, la villa ospita la formazione che, come molte altre, è fuori controllo e non è annoverabile tra le organizzazioni riconosciute. Accanto alle strutture operative tradizionali nascono infatti spontaneamente alcuni gruppi, che si distinguono per un accanimento nei confronti degli oppositori addirittura maggiore di quello nazista.

Tra queste formazioni, Arienti annovera le organizzazioni di rapina delle risorse materiali, come il “comando per il recupero del ferro del nord Italia”. Ma la loro azione è volta anche all'approvvigionamento di risorse umane: è questo il triste fenomeno dei lavoratori coatti, che prevede il reclutamento di manodopera da inviare a lavorare in Germania, quando gli uomini sono tutti impegnati al fronte. L'immagine del monolite fascista, compatto, che la propaganda affida alla communis opinio, è in realtà diviso al suo interno da aspri contrasti. Lotte intestine impegnano le diverse organizzazioni nella ricerca del potere e di vantaggi economici. In un duro scontro di tutti contro tutti, le realtà operative mostrano forse i chiari segnali dell'imminente collasso del regime. Ma, anche se dilaniate al loro interno, le strutture fasciste dimostrano assoluta dedizione all'occupante, in particolare verso.

Di grande rilevanza la figura di Sigfried Werning: di grado paragonabile a quello di sergente maggiore, il nazista è il vero despota della città ed estende il suo controllo ben oltre Monza e la Brianza. E' il torturatore, sebbene non materiale, di numerosi oppositori al regime, è colui che, assieme con i fascisti Gino Gatti, capo della polizia investigativa e Giuseppe Maragni, compie nefandezze di una gravità assoluta. Lo stile preciso dell'autore ce lo descrive come uomo di indiscussa autorità, che non ha difficoltà nemmeno ad esercitare violenza sulle donne.

I volenterosi podestà brianzoli dimostrano zelo e solerzia anche nell'applicazione delle vergognose leggi razziali, a danno di quei pochi cittadini di origine ebraica, perfettamente integrati nel territorio. Le famiglie Colombo e Levi conoscono la crudeltà del progetto antisemita e i fratelli Nüremberg vengono pedinati dai vigili urbani, per ordine di Ulisse Cattaneo. Pesanti restrizioni nell'esercizio delle professioni e la deportazione nei lager portano anche a Monza il terribile fenomeno della shoah. Davanti a tutto ciò l'atteggiamento della chiesa cattolica è totalmente neutrale e il clero monzese resta a guardare.

A capo del “Comando delle SS e di Polizia dell'Italia settentrionale ovest” viene nominato il generale Willy Tensfeld, che pone la sede del reparto in via Verdi e fa della città un centro nevralgico nella lotta agli oppositori. A Monza sono presenti tutte le componenti militari, amministrative, economiche e politiche naziste, gerarchicamente articolate ed impegnate in un presidio capillare del territorio che da qui si estende fino al Piemonte. La capitale brianzola diviene anche crocevia della storia nazionale quando riceve la visita lampo di Mussolini, recatosi a portare conforto ai militi dell'aeronautica in partenza per la Germania: tra questi è presente anche un giovanissimo Dario Fo.

Ma all'azione nazifascista, estesa oltre i confini brianzoli, risponde la Resistenza monzese, anch'essa presente nelle valli piemontesi. Giovanni Battista Stucchi, avvocato civilista monzese, partecipa ad entrambe le guerre mondiali e di ritorno dal fronte russo, viene in contatto con i principali esponenti dell'antifascismo locale e con le figure che diverranno emblema della Resistenza. Con il nome di battaglia “Federici” comanda le formazioni partigiane dell'Ossola che si era liberata dai nazifascisti e costituita in libera repubblica. Gianni Citterio, caduto a Megolo, è stato insignito della medaglia d'oro al valor militare alla memoria e la popolazione monzese gli ha dedicato una piazza.

Accanto ai grandi nomi della Resistenza, Arienti ricorda personaggi minori, cittadini comuni che hanno dato il loro valido apporto in città come in montagna. Desiderio di libertà, adesione ai gruppi di opposizione e spirito di sacrificio hanno indotto molti giovani ad imbracciare le armi e a partecipare attivamente alla lotta di Liberazione: tutti costoro vengono ricordati e portati agli onori della cronaca dallo splendido lavoro di Pietro Arienti .

Nella Seconda Guerra mondiale Monza non è teatro di combattimenti, ma bersaglio dal cielo. Per tutti i cinque anni si ripetono bombardamenti a tappeto sulla città, inghiottita dal buio e paralizzata dal rigore degli inverni. Una luce verde azzurra illumina la notte del 17 giugno 1940: è un velivolo che sferra il primo attacco aereo al centro brianzolo. Entra così la guerra, dichiarata da solo sette giorni, nelle case di una popolazione che soffrirà la fame, il freddo e la paura. La disperata ricerca del cibo viene mitigata parzialmente con il ricorso alla borsa nera, che nemmeno le autorità fasciste riescono a combattere. Si lacera la quotidianità nella dolente attesa delle notizie dei parenti al fronte: in ogni famiglia si consuma, giorno dopo giorno, l'ansia insostenibile al suono delle sirene, che annunciano un imminente incursione aerea.

Pagine di una bellezza straordinaria sono dedicate alle donne monzesi che nella lotta partigiana si sono opposte sia all'oppressione nazifascista, sia alla condizione a loro imposta dalla cultura dell'epoca. Da mogli e madri dovevano occuparsi solamente delle faccende domestiche e rifuggire la passione politica, ma la Resistenza ha rappresentato per l'universo femminile anche un pilastro su cui fondare la futura emancipazione.
L'Autore ricorda i nomi delle donne che con coraggio hanno sostenuto i loro cari nella lotta contro l'oppressore. Nella famiglia Bracesco le mogli dei partigiani condividono i rischi dei mariti, svolgendo un compito determinante. Eugenia Farè si impegna attivamente nei Gruppi di difesa delle donne: è nipote di Enrico, che, ultimo sindaco prima dell'avvento del fascismo e primo dopo la Liberazione, diviene simbolo di una democrazia rinnovata. La memoria corre anche a due giovani, che, con il loro sacrificio estremo, divengono martiri della guerra partigiana: Elisa Sala e Salvatrice Benincasa, entrambe barbaramente uccise. E di nuovo le donne, nelle parole di Vittorio D'Amico, hanno ricoperto un ruolo determinante anche nei decenni successivi agli avvenimenti narrati e tutt'oggi sono “custodi della memoria” nel ricordare i loro padri. Rosella Stucchi, figlia di Giovanni Battista e presidente dell'ANPI di Monza; Milena Bracesco, figlia di Enrico e vice presidente ANED di Sesto San Giovanni e Monza; Gianna Parri presidente dell'Associazione Mazziniana Italiana, sezione di Monza. A loro e a Pietro Arienti, autore del prezioso documento presentato, gratitudine e riconoscenza.

Tania Marinoni

copertina


Monza: dall'armistizio alla Liberazione (1943-1945) - Pietro Arienti
Pietro Arienti
pagine 244, € 14,00
ISBN 13 9788875112561



in su pagina precedente

  30 giugno 2015