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Da Caporetto a Baghdad
Anna Marini

Monza: ancora tanti saluti
La copertina (rivista e corretta)

A conclusione del terzo anno, la scuola di formazione politica Alisei ha organizzato, in collaborazione con Cgil, Flc e Anpi, l'incontro con un ospite d'eccezionale rilevanza, un testimone oculare del mondo contemporaneo: Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra del Corriere della Sera. Martedì 20 giugno il giornalista ha presentato alla Camera del Lavoro di Monza e della Brianza il suo ultimo libro, “Da Caporetto a Baghdad”: una raccolta di testimonianze e di riflessioni sviluppate nei maggiori teatri di guerra di ieri e di oggi. Un libro che Paolo Zanini, moderatore della serata, componente del Comitato scientifico della scuola ed esperto di questioni mediorientali definisce “insolito” per tre ragioni fondamentali. Innanzi tutto è di piacevole lettura, tratto piuttosto inusuale – asserisce il ricercatore - per un libro di storia; è inoltre ricco di dettagli, ed infine è scritto con il piglio da giornalista e con la profondità dello studioso.

La tesi centrale, avvincente, mostra un dato noto a tutti per averlo studiato sui banchi di scuola, ma di cui nessuno sembra essere consapevole: la stretta relazione tra l'assetto politico del Medio Oriente e le decisioni intraprese alla fine della Prima guerra mondiale. I conflitti, le tensioni che agiscono oggi in quelle terre, dice Cremonesi, affondano le loro radici nel crollo dei tre imperi: asburgico, russo e ottomano. È la tesi sostenuta nell'opera, ispirata anche da un evento vissuto in prima persona dall'autore durante l'assedio di Kobane. Dalle colline circostanti l'abitato si vede la città siriana priva di risorse, i Curdi sono accerchiati e senza munizioni: l'ultima enclave curda sta crollando sotto i colpi di Isis. “Se non fosse stato per Sykes-Picot, queste terre oggi farebbero parte di una stessa provincia indipendente curda…Se voi europei aveste mantenuto le promesse, adesso Isis non starebbe provando a rubarci Kobane”. Queste sono le disarmanti parole che un giovane curdo rivolge al giornalista occidentale del nuovo millennio, nel luogo in cui il tempo sembra essersi fermato cent'anni fa. Un'affermazione a prima vista paradossale e un salto temporale di un secolo che sembra essere alla base di questa amarissima constatazione. Ma così non è, perché in realtà, se l'attuale Europa è figlia della Seconda guerra mondiale, il Medio Oriente deve il suo assetto contemporaneo alla Prima guerra mondiale.

E il leitmotiv ritorna ancora, nell'esperienza di Cremonesi, questa volta nei territori dell'ex impero russo, quando Andrei Purgin, uno dei fondatori della Repubblica di Donetsk, ne rimpiange i confini. Uno stretto legame, dunque, intercorre tra la Grande Guerra e le vicende attuali che scuotono il Medio Oriente. Anche le primavere arabe, aggiunge il giornalista, nascono dagli equilibri imposti cent'anni fa da Francia e Inghilterra, al termine del primo conflitto mondiale.

Ma la profonda conoscenza della guerra induce l'autore ad un'altra importante riflessione, che suona come un monito a riflettere sulla caducità della pace. Da una situazione di “normalità” allo sfascio si transita repentinamente, soprattutto nell'inconsapevolezza della fragilità della pace, nei momenti che precedono la catastrofe. “Ciò che prima era scontato, garantito, diventa un privilegio raro, frutto di una difficile lotta per l'esistenza”. Una costante, questa, che non risparmia nemmeno le potenze più solide, neppure le età più floride. Anche l'impero austro-ungarico, estremamente moderno nelle sue dinamiche e così distinto nella sua ricca cultura, sembrava eterno. La felice incarnazione della Mitteleuropa veniva creduta immortale, specialmente dall'uomo comune, convinto che il quotidiano sarebbe rimasto immutato. Eppure, in poco tempo, un ordine apparentemente granitico può dissolversi. “Nell'arco di pochi giorni, talvolta solo poche ore o anche meno, una strada, che sino a poco prima si percorreva tranquillamente, diventa un labirinto di morte, con i tiri dei cecchini, le cannonate, le macerie sul selciato e l'immondizia che imputridisce dovunque”.

Un'altra costante rintracciabile in ogni guerra è il nuovo codice comportamentale che si istituisce, in chi ha combattuto, al termine del conflitto. Un esempio tragico, disperato, ci arriva dai terribili momenti della ritirata degli austriaci dal Piave. L'esercito asburgico è ormai disgregato, le minoranze rifiutano di parlare tedesco e obbediscono solo a quei superiori che si esprimono nella loro stessa lingua madre. Il comandante Friedrich Weber si ritira con il suo contingente di artiglieria che ha mantenuto le armi, si ritira con i suoi soldati, i difensori dell'Imperatore. Ha assistito con loro alla tragedia della guerra, ha vissuto la crudeltà e le assurdità della trincea. Adesso, dopo ore di cammino e sotto una fitta pioggia, condivide con i suoi uomini il freddo, la fame e la stanchezza. I valorosi combattenti del grande Impero chiedono del pane ad un fornaio e quando questi rifiuta di concederlo senza essere pagato, risentiti, lo colpiscono mortalmente. Nel loro codice, stravolto dalle atrocità vissute, il fornaio è un traditore che non ha riconosciuto in loro i difensori dell'Impero; è un uomo che i soldati vogliono dimenticare, abbandonando a terra il suo cadavere, dopo aver preso ciò che basta loro per cibarsi. Nella più imperturbabile normalità riprendono il cammino verso Vienna. Questo è il codice di comportamento nelle aree interessate dalle guerre, incomprensibile per chi è nato e vissuto in tempi di pace, per chi ritiene la pace una condizione assodata. Una conseguenza gravissima, oggi come allora, di un conflitto, sono le milizie, formazioni che ragionano e agiscono in maniera paramilitare allo sfascio di un ordine. E' la “brutalizzazione della guerra”.

Me se degli attuali disordini in Medio Oriente è facile riscontrare grosse responsabilità in capo all'Occidente, Cremonesi ricorda che sono anche trascorsi molti anni dalla fine della guerra e i governi locali avrebbero potuto rivedere quei confini tracciati a tavolino. In questo momento stanno venendo meno i modelli laico nazionalisti, gli “stati statuali” nati in Europa intorno al '400 e poi imposti in quelle terre dal colonialismo. A questi modelli, per il momento, Cremonesi non vede alternative, ma indica saggiamente in quale direzione sarebbe opportuno muovere i primi passi, per nuovi ordinamenti di pace. Ai partiti islamici si dovrebbe dare ascolto, se si intende interrompere la brutalità delle azioni terroristiche. Anche se “comprendere non significa giustificare”, tuttavia è un atto doveroso, oltre che necessario, se si vuole sperare in una prospettiva completamente differente da quella attuale e che tuttora sembra ancora lontana da venire.

Anna Marini

copertina

Da Caporetto a Baghdad
Mondadori Electa, 2017

Pagine 320, € 19,90
ISBN 9788817089128



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  22 giugno 2017