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La lingua geniale
9 ragioni per amare il greco
Tania Marinoni

Grecia antica

- Quante recensioni può avere un libro?
- Almeno quanti sono i suoi lettori. A tanti lettori corrisponderebbero, come minimo, altrettante recensioni: perché in fondo sono tanti libri diversi, anche se credi di averne letto uno solo.
- È vero, e persino il libro di Andrea Marcolongo obbedisce a questa norma, ma un limite invalicabile sembra dividere i lettori in due grosse categorie: la conoscenza del greco antico. Se non l'hai coltivata, queste pagine ti parleranno in un modo, se invece l'hai sviluppata, ti riveleranno altro.
- Hai ragione. Allora, hai deciso? Da quale parte puoi/vuoi stare?
- Non ho dubbi: da entrambe.

È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Anche se può sembrarvi sciocco o assurdo, ci dovete provare. Ecco, quando leggete, non considerate soltanto l'autore. Considerate quello che voi pensate.
(Dal film “L'attimo fuggente”)



Quello che può pensare chi NON “ha studiato” il greco

Nove ragioni per amare il greco: sembra una romantica dichiarazione il sottotitolo che Andrea Marcolongo ha scelto per la sua opera. E davvero lo è. Perché l'autrice lo afferma fin dalle prime pagine: scrive per amore di una lingua che, pur avendola studiata al liceo e all'università, solo nel tempo ha imparato ad amare. E in questa entusiasmante riscoperta vuole coinvolgere chiunque si accosti al suo libro avvincente, per condividere la sua gioia, sia con chi ha studiato questa lingua, sia con chi invece non ha avuto la fortuna di incontrarla. Il greco antico (ma per chi ha frequentato il liceo classico è Il greco) era parlato da un popolo che oggi non esiste più e poco ci resta delle sua versione originaria. La lingua si è evoluta nel tempo, esattamente come ogni forma comunicativa che si semplifica al complicarsi della società. Il greco è stato ed è tuttora vittima di fraintendimenti e appartiene per certi versi al mito. Eppure anche oggi continua a farsi sentire e a lasciarsi amare.

E' una lingua libera dai lacci del tempo verbale, è una dimensione in cui non ha senso domandarsi quando accade un evento, ma piuttosto come si svolge l'azione, la sua durata, e se questo processo sia effettivamente concluso, oppure se invece le sue conseguenze sopravvivano ancora in chi sta parlando. Perché è al parlante che appartengono i verbi, vissuti, così, in prima persona.
Il greco è anche una lingua estremamente discreta e delicata, rispettosa dei sentimenti e delle emozioni di chi si esprime.

Per manifestare desiderio, speranza o timore, possiede un modo verbale veramente singolare: l'ottativo.
E l'autrice non rinuncia a rilevare che la funzione dell'ottativo è anticipata già nel suo nome in italiano: deriva, infatti, dal latino “optare” (e prima ancora dal greco) che significa proprio “desiderare, augurarsi, sperare”. Meraviglioso!

In greco esiste, oltre al maschile e al femminile, anche un terzo genere: il neutro. Esso designa tutto ciò che non respira: in pratica, le “cose” senz'anima. Neutri sono gli oggetti, i frutti, ma non gli alberi, che per la loro funzione generatrice, meritano il femminile. Neutri sono anche i concetti e le altre entità astratte.
Davvero notevole!
E il genere non soggiace a nessuna regola, ma è connaturato nel sentire di una società. Per utilizzarlo correttamente in una qualunque lingua straniera, occorre tanta memoria ed altrettanta pratica. Ma perché sorga spontaneamente alla mente di chi parla, è indispensabile, appunto, “sentirlo”: e questa è un'esperienza che viviamo solo quando ci esprimiamo nella nostra lingua madre. Il mare in italiano è maschile, mentre in francese è femminile. Per quale motivo? Non esiste una ragione a cui appellarci e possiamo solo vibrare in maniera sincronica con la nostra cultura linguistica. Un curioso esempio di questo, sostiene l'autrice, è, udite udite, proprio il suo nome di battesimo. Andrea all'estero è femminile, mentre in Italia è maschile. Eppure, per la studiosa, il suo nome che in greco significa “uomo” (chi ha studiato il greco mi corregga se sbaglio), è indubbiamente femminile.
Difficile sostenerlo però, quando vedi recapitarti a casa la cartolina per il servizio militare!

In greco anche l'enumerare è qualcosa di soggettivo e di libero, se si è al cospetto di due entità. Oltre al singolare e al plurale, infatti, esiste anche il duale, ma non sempre però, e non per forza: solo se chi parla contempla una relazione tra due persone, o tra due cose. Due quindi possono “linguisticamente” essere le mani, i piedi, ma anche una coppia di navi che salpa verso una meta comune. Il duale canta la complicità tra due amanti: ancora una volta il greco è la lingua dei sentimenti e della delicatezza. E proprio nell'amore il duale esprime la sua vera essenza: non rappresenta infatti due elementi strettamente connessi, ma un'unica realtà composta da due entità. E per comunicare tutto il suo fascino, l'autrice ricorre al mito di Aristofane. Un tempo gli uomini erano dotati di due teste, quattro braccia, quattro mani e quattro piedi. La loro superbia era tale da insolentire gli dei, così Zeus decise di tagliare ciascuno di loro in due esatte metà. Ecco perché gli uomini si uniscono attraverso l'amore: per aspirare all'originaria e perduta unità.

L'amore nel greco quindi arriva fino a noi e, se lo sapessimo ancora ascoltare, canterebbe persino! Perché non possiamo più udirla, ma questa lingua gentile racchiudeva in sé, originariamente, la melodia. Le vocali, che per loro natura erano lunghe o brevi, scandivano, in un continuo alternarsi, il ritmo; l'accento invece elevava il tono della sillaba in una struggente e fonetica sinfonia.
Che dire? Geniale il greco! Come questo libro, che è stato scritto sia per chi ha studiato l'antica lingua di Atene, sia per chi non la conosce, ma ha imparato, adesso, ad amarla.
Il greco è una lingua morta? Non credo. Forse è solo addormenta e, come la principessa delle fiabe, attende l'amore per potersi finalmente risvegliare.


Quello che può pensare chi “ha studiato” il greco

Al greco non importa sapere quando è accaduto un evento, ma come si è svolta l'azione, e se adesso ancora ti parla, o peggio, ti grida. Il libro che stai leggendo ti ha appena distrutto, perché al liceo classico sacrificavi diottrie sull'altare dei paradigmi verbali per ricavarne il tempo: ma ciò che importava era invece l' “aspetto”. Frustrazione profonda, dolore per le occasioni mancate e un filo di rabbia per non aver colto la vera bellezza che forse ti è passata accanto: sei solo all'inizio, e ti attende una spietata realtà.

Il tempo verbale del presente recava in sé tutta la fugacità dell'azione che si stava svolgendo, ma tu lo traducevi con il tempo italiano dell'abitudine; l'aoristo indicava ciò che è, la dolce contemplazione dell'essere, ma tu lo soffocavi nel passato remoto. Il perfetto cantava le conseguenze dell'azione compiuta, ma tu lo tradivi con il passato prossimo. Ho visto e dunque so, dicevano i greci, e a te sembrava una simpatica stranezza. Alcuni verbi non si coniugavano al tempo perfetto perché l'azione descritta non aveva conseguenze sul parlante: rappresentavano dunque la più alta espressione della logica. Ma tu li guardavi come poveri mutilatini e li compativi con tenera riconoscenza, perché mendicavano poca memoria.

Sai bene che il greco, oltre al singolare e al plurale, aveva anche il duale. “Perché contavano fino a tre: uno, due, tanti. Che simpatica stravaganza!” osservavi al ginnasio. E del resto il tuo manuale descriveva il duale in una sola riga, nel caso fosse sopraggiunto nell'arena di combattimento della versione. Lo ripetevi declinandolo e coniugandolo, ma quando ti è apparso, quella maledetta volta, non lo hai riconosciuto. Temevi dunque il duale, che credevi imposto dalla linguistica numerica, invece esprimeva la libertà del parlante quando contemplava le relazioni tra le cose o tra le persone. Due erano le mani, due erano gli occhi, ma anche i fratelli, gli amanti, e persino, se necessario, le navi lanciate contro un nemico comune. Ma non per forza “due” erano i piedi: solo se il narratore lo “sentiva”.

Ricordi l'ottativo? Il parente un po' snob del congiuntivo: un vezzo, un capriccio. Invece l'ottativo era la scala cromatica delle possibilità, che si presentavano tra un fatto reale ed uno irreale. Tra il bianco e il nero c'erano, adesso lo sai, cinquanta sfumature di grigio: la possibilità e l'eventualità, cioè il desiderio, la preghiera, il timore. Dunque l'ottativo era potenziale e desiderativo, ma era anche obliquo, e proprio in quest'ultimo, incarnava la straordinaria delicatezza, la discrezione verso colui del quale si riportava il pensiero.

E il greco era musicale, ma non lo hai mai udito, non avresti potuto con i testi che ti sono arrivati, perché erano gli eredi muti di un melodioso passato. E assieme alla melodia abbiamo perduto i suoi silenzi, i suoi respiri, e i sospiri, quindi la lirica, la poesia, la tragedia: in pratica tutta la nobile bellezza del genere umano. A te sono giunti spiriti e accenti, quegli inutili orpelli, quando non simili ai doni irriverenti di mosconi: comunque sia, tratti di inchiostro impossibili da ricordare. E adesso sai anche che quei segni non sono esistiti da sempre, ma sono stati introdotti in un secondo momento, proprio come il corsivo e la punteggiatura. Gli Alessandrini hanno voluto con questi artifici tramandare il ritmo del greco e rendere leggibile ai posteri un'unica ed interminabile catena di lettere. Solo che loro li capivano, tu adesso non più. Dio benedica gli Alessandrini, che ci hanno permesso di leggere il greco! Maledetti siano gli Alessandrini, che ci hanno imposto segnacci ingannatori e forieri di insufficienze al liceo.

Una lingua geniale il greco, recita il titolo del libro. E lo era davvero, prima di inabissarsi nella koinè: la parlata comune che ha unito in un unico e tragico balbettio tutto l'Ellenismo. La lingua che ha zittito per sempre le ricche sfumature dei dialetti; la lingua morta perché uccisa lentamente nei secoli e ammazzata anche da te sui banchi di scuola. La lingua rinnegata in una grammatica sterile, declamata dalla tua voce che inconsapevolmente intonava per lei il De profundis.
Geniale il greco, come il libro che Andrea Marcolongo ha scritto per chi lo “ha studiato” e per chi invece non lo ha mai incontrato; un'opera autorevole, ma anche ricca di pietas per le schiere di discenti ingannati da chi a sua volta è stato beffato da un imbroglio del tempo. Un libro composto, si, anche per te, che adesso bevi all'amaro calice della disillusione; per te che non ti senti colpevole, ma certamente responsabile; per te che credevi di aver studiato il greco e adesso sai di averlo solo frainteso. Per te che quella meraviglia l'hai forse sfiorata, e hai incontrato il principe senza riconoscerlo sotto le viscide sembianze di un rospo. Per te che al liceo hai traghettato parole con la spietatezza di un Caronte e adesso riduci la tua lingua all'emoticon. Per te che adesso puoi finalmente seppellirlo, il Greco: questo nobile idioma, figlio dell'Indoeuropeo, da tempo entrato nel mito.

Tania Marinoni

copertina
La lingua geniale
9 ragioni per amare il greco
Andrea Marcolongo
Editori Laterza, 2016
Pagine 156, € 15,00
ISBN 8858125258



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  6 settembre 2017