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I primi 40 anni del romanzo “Il Cavallo Rosso”
Umberto De Pace


Quest'anno, a quarant'anni dalla prima edizione del romanzo Il Cavallo Rosso a cura della casa editrice Ares, diverse iniziative hanno celebrato quello che indubbiamente è il libro più famoso dello scrittore e saggista besanese Eugenio Corti (1921-2014). Nel leggere gli articoli che celebrano l'evento ritrovo oggi la stessa enfasi e trasporto che ebbi modo di riscontrare più di dieci anni fa quando, incuriosito dalla campagna in corso per il sostegno alla candidatura al premio Nobel dello scrittore, ebbi modo di conoscerlo leggendo con interesse e attenzione il suo voluminoso romanzo.

Mano a mano che procedevo nella lettura cresceva sempre più il mio stupore di fronte ai commenti e alle affermazioni dei supporter dello scrittore i quali traevano dal suo romanzo “una lucida analisi sugli avvenimenti del XX secolo”, piuttosto che “una grande capacità di analisi storica”, o sostenevano l'“universalità” del suo messaggio. Pur trovando l'opera molto interessante, come scrissi, di stampo ottocentesco – anche se copre un periodo storico che va dal 1940 al 1974 – nella quale l'autore dispiega una grande capacità descrittiva, intrecciata da minuziosi particolari, con punte epiche – penso alla ritirata di Russia – e squarci poetici – penso alla descrizione di alcuni scorci della Brianza, non si può non sottolineare come la stessa sia costellata, direi appesantita, da continui rimandi filosofici, morali, etici e storici, attraverso non solo il pensiero della gran parte dei protagonisti del romanzo ma, spesso, attraverso il pensiero diretto dell'autore, la cui voce fuori campo, a mio giudizio, annichilisce la prosa e la genuinità del racconto. La disinvoltura con cui l'autore traccia il confine tra il bene e il male in una visione manichea degli avvenimenti, porta inevitabilmente a uno schierarsi delle coscienze e delle conoscenze, che si addice più a un saggio che a un romanzo, pur storico che esso sia. Corti – a differenza dei suoi estimatori – ha il pregio della schiettezza.

Non dissimula il suo pensiero, la sua è una crociata contro l'Anticristo, individuato per lo più nel comunismo e in seconda battuta nella modernità. Dalla summa del pensiero cortiano mi pare non manchi nessuno dei capisaldi dell'integralismo cattolico e della destra reazionaria dell'ultimo secolo. Ovviamente questo, visto da altri punti di vista, è il suo punto di forza.
Eugenio Corti è un cattolico scrittore, che non ha paura di giudicare la storia, che non scende a compromessi, che denuncia il male, eppure non c'è in lui nessun fine di convincere qualcuno al suo credo , alla sua visione”, giustamente evidenzia Elena Rondena curatrice della mostra “Il Cavallo rosso di Eugenio Corti: le prove della storia, il lievito della vita”.

Ignorare ciò significherebbe privare l'opera della sua anima, averlo presente permette di comprendere come a fronte di una indubbia capacità descrittiva di un mondo e di avvenimenti conosciuti, prevalga nell'autore l'affermazione di una verità superiore, trascendente le vicissitudini terrene, quell'unica “Verità” riconosciuta e determinata dalla propria fede. Una “Verità” superiore che porta a semplificare e uniformare un mondo di per sé complesso e multiforme.
Per questo non ritengo l'opera portatrice di quello spirito universale che traspare dalle grandi opere nelle quali si può riflettere l'umanità intera, privilegio di quei pochi scrittori che hanno saputo accomunare gli esseri umani al di là delle loro distinzioni; che hanno saputo descrivere la Storia, attraverso le storie dei singoli protagonisti, raccontate senza deformarle sulla base delle proprie convinzioni; che hanno saputo guardare all'altro con lo stesso sguardo con cui hanno saputo guardare a sé stessi; che hanno saputo scavare a fondo nell'animo umano con le proprie mani nude, senza volerlo modellare a proprio piacimento. Compito difficile per uno scrittore “militante” come è stato Eugenio Corti, paragonato dai suoi sostenitori ai grandi scrittori classici russi, dei quali ritrovo in Lev Tolstoj e il suo “Guerra e Pace”, la similitudine formale, di struttura e impostazione, mentre il paragone con lo straordinario romanzo di Vasilij Grossman “Vita e destino” mi permetto di dire è alquanto improbabile. L'opera di Grossman certamente a carattere “universale”, a fronte di un'opera, quella di Corti, più propriamente, questo il mio punto di vista, a carattere “confessionale”.

Partecipo comunque volentieri alla celebrazione dei primi quarant'anni di vita de “Il Cavallo Rosso”, riproponendo qui di seguito quanto scrissi allora, quantomeno per dare il modo, a chi lo volesse, di confrontarsi con un parere diverso da quelli che solitamente accompagnano il romanzo e il suo autore. Un parere da parte di un lettore che pur di fronte a mille e passa pagine del romanzo, accompagnate dallo stupore di cui sopra, non ha rinunciato ad arrivare fino alla fine del libro. Non sarebbe nemmeno da dire, dopo aver espresso ampiamente il mio giudizio sull'opera, non fosse che viviamo in un paese che ha un ministro della cultura che partecipa alle votazioni, per le premiazioni delle opere presso uno dei più prestigiosi premi letterari nazionali, il premio Strega, senza nemmeno aver letto i testi … beh … a questo punto direi che commentare un libro dopo averlo letto non è impresa da poco!

Umberto De Pace

P.S.: gli articoli che seguono sono del 2010 e prendono spunto da una piccola polemica avuta all'epoca con il giornale locale “Il Cittadino”, tramutatasi poco dopo in una interessante opportunità di confronto e scambio di idee, come potrete vedere nell'ultima puntata.

Il Cavallo Rosso - Il romanzo di Eugenio Corti
Il militante manicheo - Sul romanzo di Eugenio Corti
Il fascismo “sostenibile” - Sul romanzo di Eugenio Corti
L'orrore nei lager sovietici - Sul romanzo di Eugenio Corti
Opera universale? - Sul romanzo di Eugenio Corti


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  19 novembre 2023