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MONZA la sua storia
Un libro importante, tra rigore scientifico e divulgazione
di Mauro Reali


MONZA  la sua storia

Angelo Inganni - veduta della contrada Nuova
Il recentissimo volume Monza. La sua storia, Associazione Pro Monza, Silvana Editoriale 2002, 87,80 euro, è stato presentato pochi giorni fa all'Arengario durante una cerimonia – con numerosi ospiti - che ha visto intervenire la città ai suoi massimi livelli istituzionali; l'evento – udite, udite…- è stato di tale rilievo da meritare una menzione anche sul Corriere della Sera, ove più spesso si parla di Monza per motivi di traffico, provincia promessa o fallita e risse in consiglio comunale. In effetti si tratta di una pubblicazione di gran pregio, seria, moderna nell'impianto ma anche – lo si può affermare tranquillamente – “leggibile” da parte di chi, privo di competenze specifiche di carattere storico e dunque in difficoltà davanti a opere troppo complesse (come la monumentale Storia di Monza e della Brianza in più volumi degli anni Settanta), sia comunque interessato al passato della propria città. Passato – aggiungo subito – in ogni sua accezione, giacché i venticinque autori delle 496 pagine del libro hanno voluto attraversare la storia di Monza dalle sue origini ai nostri giorni mettendo a fuoco alcuni “snodi” (cronologici, logistici, concettuali…) nei i loro interventi, raccolti in quattro sezioni: I, Modicia romana e altomedievale; II, Dal Medioevo all'età sforzesca; III, L'età moderna: Monza da Carlo V a Napoleone; IV, Ottocento e Novecento: dalla città regia alla città del lavoro. Va da sé, però, che questo non è il luogo per una vera e propria recensione di un volume così, che richiederebbe parecchie pagine e sarebbe possibile solo tra molto tempo; dopo, cioè, avere letto, riletto il libro, averne apprezzato i meriti e magari averne scoperto qualche “magagna”! Ma il “bello” di Internet è la tempestività, è la rottura di quegli indugi che lo scrivere su carta tradizionalmente impone; segnalo dunque rapidamente il volume, con qualche brevissima nota solo in merito a quegli argomenti dei quali – bene o male – ho qualche competenza, e cioè archeologia e arte come strumenti di indagine storica. Le pagine dalla 12 alla 47, a cura di Massimiliano David, Stefania Iorio, Antonio Sartori, sono senz'altro quelle sulle quali mi sento più “autorizzato” a dire qualcosa; e – soprattutto – mi sento autorizzato a segnalare ai lettori le Storie di pietra fatte emergere dalle epigrafi latine di Monza da Antonio Sartori, studioso che il “pubblico” dell'Arengario forse ricorda per la mia recensione del suo libro Gente di sasso. Tra queste campeggia – per rinomanza e valore documentario – un'altare votivo dedicato ad Ercole da alcuni Modiciates Ioveni, e cioè “giovani monzesi” (cfr. p.43), in quello che è l'unico resto epigrafico dell'antico nome romano di Modicia-Monza, centro – è bene dirlo, perché la storia è storia, al di là di qualunque tendenza più o meno autonomistica o campanilistica – politicamente e amministrativamente dipendente dalla vicina Mediolanum-Milano (e della metropolitana, neanche allora, nessun resto archeologico…). È invece con l'era tardo-antica e medievale che Monza assume quel rilievo cittadino orgogliosamente indipendente, ma non ottusamente chiuso al rapporto con l'ingombrante vicinanza di Milano, che si evince anche da numerosi dei saggi contenuti nel volume. Ma io non sono un medioevista, e neppure sull'era moderna mi sento di “dire la mia”: certo, tra l'altro si parla anche – è ovvio - della Corona Ferrea (Roberto Cassanelli), del Duomo (Roberto Conti), della Villa Reale (Franceso de Giacomi)…, ma è su due altri saggi che vorrei invece fermarmi un momento: quelli di Roberto Profumo rispettivamente alle pagine 402 e 430 su arte e architettura a Monza nell'Ottocento e nel Novecento. A questo riguardo, mi permetto solo qualche considerazione sulla pittura, che – per entusiastica passione – sento a me vicina. Non si può negare – infatti – che la Monza dell'Ottocento, patria di Mosè Bianchi, Pompeo Mariani (è di questi giorni una sua grande mostra al Serrone), Emilio Borsa, Eugenio Spreafico, ma anche sede di lavoro del grandissimo Andrea Appiani e più tardi di Giovanni Segantini sia stata un significativo crocevia artistico; ma anche il Novecento, di certo un po' più avaro, ha visto operare in loco pittori del calibro di Anselmo Bucci, Umberto Lilloni o Ennio Morlotti: chi si contenta, gode!
Non me ne vogliano gli autori (cioè la maggior parte) che non ho menzionato; sappiano però che i loro saggi – proprio perché trattano argomenti che conosco meno bene - sono quelli che sto leggendo e leggerò con maggiore interesse e apertura mentale. D'altra parte, per chiunque scriva un libro, è questa la massima aspirazione: che i suoi lettori lo chiudano avendo appreso qualcosa in più di quel che sapevano; e i lettori credo che saranno davvero molti, giacché mi si dice che il volume “va a ruba”…

Mauro Reali

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  23 marzo 2002