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Montalbano al giro di boa
Ricco di allusioni alla realtà italiana il nuovo giallo di Camilleri
di Mauro Reali


Il giro di boa
 
Il commissario Montalbano, stavolta, pensa davvero alle dimissioni. Il comportamento della Polizia durante il G8 di Genova, che ha prodotto la morte di un giovane e gli orrori della “Diaz”, lo disgusta troppo. Così come lo disgusta la nuova legge «Cozzi-Pini» (notare l'omofonia!), causa di innumerevoli naufragi di poveri extracomunitari annegati da scafisti senza scrupoli, che si sommano ad altri fatti di cronaca del momento. Insomma, ha l'impressione di vivere in un mondo malato, un paese «di matri che ammazzavano i figli in culla senza un pirchì, di figli che scannavano matri, patri, fratelli, sorelle per soldi, di bilanci falsi cha a norma di nuove regole non erano da considerarsi falsi», e dove anche – per non dire soprattutto – le istituzioni, non fanno il loro dovere. Ma il nuovo romanzo di Andrea Camilleri, Il giro di boa, Sellerio, 2003, (pp. 269, prezzo: 10 euro), non porta veramente all'abbandono della Polizia da parte del protagonista, trattenuto in servizio da due nuovi, efferati, delitti che lo obbligano “moralmente” a restare. Un cadavere anonimo che galleggia in mare e un piccolo extracomunitario ucciso da un'auto pirata possono forse avere un “filo” conduttore che li lega? La risposta è nel libro, del quale non anticipo altro: se no, che giallo sarebbe? Dico solo che il romanzo è ottimamente impostato; che il ritmo narrativo è sempre alto; che il romanziere non cade (come altrove gli capita) in troppi cerebralismi per risolvere i delitti dei quali Moltalbano si occupa. Davvero un bel poliziesco, quindi, che consiglio a tutti. E chi non ha mai letto Camilleri, non si spaventi alle prime pagine del suo pastiche linguistico sicilianeggiante, perché i termini più oscuri sono spesso ripetuti in contesti tali da potere – dopo un po' – essere facilmente intesi. A questo proposito, una riflessione. So (ho sentito un'intervista alla radio ad alcuni docenti) che qualche scuola siciliana vorrebbe sostituire il “padano” Manzoni proprio con Camilleri, e dunque Renzo Tramaglino con Montalbano… La cosa non mi scandalizza, ma un poco mi preoccupa, poiché l'atteggiamento linguistico del Don Lisander è stato proprio l'opposto di quello del nostro giallista: Manzoni “sciacquava i panni in Arno” per depurarsi dai dialettismi e creare una lingua il più possibile comprensibile a tutti, mentre Camilleri gioca con l'italiano, che è orami di tutti, per sicilianizzarlo più o meno a seconda di personaggi e contesti. Facciano leggere pure Camilleri, i professori siciliani; ma lo leggano – a bella posta – accanto al Manzoni, magari trovando il modo di confrontare i diversi modi di “lavorare” con le parole dei due. E, perché no, facciano vedere come anche un altro siciliano, Giovanni Verga, che il dialetto non usa, ne conservi però una vasta eco nel suo straordinario italiano “vissuto” e corale. Insomma, Camilleri è bravo, molto bravo, come giallista; ma non vorrei che l'ansia (che già fu degli Scapigliati di fine Ottocento) di liberarsi del Manzoni, parifichi i suoi gialli “di consumo” (è una constatazione, non un'offesa) ai miti fondanti della nostra civiltà letteraria.

Mauro Reali



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  28 aprile 2003