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L'intagliatore di noccioli di pesca
Parla (anche) di letteratura l'ultimo libro di Nico Orengo
di Mauro Reali


L'intagliatore di noccioli di pesca
Simpatico è simpatico Pietro Scullino, il protagonista dell'ultimo libro di Nico Orengo, L'intagliatore di noccioli di pesca, Einaudi, 2004 (pp. 372, euro 18.50). Ligure – come tutti o quasi i personaggi dei libri di Orengo – è un attivo professore di lettere in pensione, diviso tra la passione per la letteratura (collabora infatti come recensore di libri alla rivista locale “La Riviera”), le chiacchiere con gli amici al Café de Paris, le grane familiari – in primis quelle causategli dalla separazione della figlia Lucrezia dal marito Silvio, un inconcludente artista bohemien e pacifista – e le “scappatelle” con l'esuberante Marisa, l'amante di sempre… Simpatico, dicevo, umanissimo, Scullino interpreta bene il ruolo dell'uomo di cultura che si sforza di capire, senza riuscirci del tutto, gli eventi di un mondo cha sta cambiando troppo in fretta senza una logica apparente: dalla guerra in Iraq alla speculazione edilizia sulle coste di quel Ponete Ligure tanto caro all'autore, e del quale già abbiamo scritto recensendone sull'Arengario i romanzi Gli spiccioli di Montale e La curva del Latte.
Ma in questo libro c'è qualcosa di più rispetto ad altri di Orengo, con i quali condivide comunque la brillante scorrevolezza e l'ottima leggibilità. Le recensioni di Scullino – quelle che scrive e quelle che legge (sulla “Domenica” del Sole 24 ore, sulla Stampa, sul Corriere, su Repubblica…) - ma anche il tentativo, da parte del professore e di altri colleghi, di ripristinare il premio letterario “Cinque Bettole” sono infatti un modo per aprire gli occhi del lettore sul panorama della letteratura italiana contemporanea, ed esprimere giudizi (tra il serio e il faceto…) su alcuni suoi “fenomeni” recenti: dal thriller all'americana Io uccido di Giorgio Faletti, al premiatissimo Non ti muovere della Mazzantini, ai gialli “montalbaniani” di Camilleri, per giungere ad alcune un po' gigionesche riflessioni perfino sull'opera letteraria di Orengo! Insomma l'Orengo-narratore “usa” il suo personaggio per giocare (almeno un po') a fare anche lui il critico letterario, non risparmiando in questo gioco neppure se stesso. Solo in un momento ho però avuto la sicurezza assoluta dell'identità di sentire tra Orengo e Scullino: e ciò avviene con le commosse parole con le quali si ricorda il postumo ed incompleto racconto Il silenzio dello scrittore ligure Francesco Biamonti, della cui toccante bellezza già ho scritto lo scorso anno su queste colonne.
Non si deve comunque pensare che il libro sia un noioso romanzo meta-letterario, perché – come ho già detto – la narrazione scorre briosa. Il romanzo è infatti - a mio avviso - davvero bellissimo, anche se forse non dovrei scriverlo perché lo Scullino che ne è protagonista odia i recensori troppo accomodanti; e allora, “scullinianamente”, aggiungo che le ultime tre pagine (pp. 370-372) mi sarebbero piaciute diverse: ma si sa – come hanno scritto i grandi Fruttero e Lucentini – ogni recensore mostra nelle sue parole “un'aura pateticamente fanatica e vana d'intagliatori di noccioli di pesca”. E anch'io, dunque, non voglio sottrarmi a questo forse inutile ma divertente ufficio.

Mauro Reali


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  10 luglio 2004