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Diario dei funerali di Andropov
L'ultimo viaggio di D'Alema insieme con Enrico Berlinguer
di Mauro Reali


A Mosca, l'ultima volta. Enrico Berlinguer e il 1984
Non a tutti è simpatico, Massimo D'Alema, né tutto il popolo della sinistra ne apprezza la linea politica. Certo è che la sua presidenza del Consiglio – allora criticata quasi più dall'interno dell'alleanza di governo che dall'opposizione – oggi deve sembrare a gran parte degli Italiani come un momento altissimo della storia della Repubblica, se paragonata alle presenti bassezze. Ma non è dell'azione politica di D'Alema che voglio parlare, bensì del suo recente libro: A Mosca, l'ultima volta. Enrico Berlinguer e il 1984, Donzelli Editore (prezzo 12,50 euro).
Tra una lunga premessa sullo scenario politico-economico-sociale del 1984 (Capitolo I), e il tragico epilogo, che parla della morte di Enrico Berlinguer, seguita a breve da un grave lutto privato dello stesso D'Alema (Capitolo III), c'è il “cuore” del libro, e cioè il Capitolo II, che narra del viaggio a Mosca del giovane D'Alema insieme con Berlinguer e Bufalini, a rappresentare il P.C.I ai funerali di Andropov (quello del “raffreddore”, ricordate?).
Il racconto è un vero e proprio spaccato di “grande politica” nazionale e internazionale, e contiene alcuni elementi che vanno al di là della mera dimensione cronachistica. A livello nazionale è notevole il fatto che a trasportare a Mosca la delegazione P.C.I sia stato nientemeno che l'aereo presidenziale, con Pertini, il ministro degli Esteri Andreotti, due cardinali e qualche diplomatico. E che il premier Craxi partorì il famoso decreto che tagliava la “scala mobile” proprio nell'assenza congiunta del capo dell'opposizione e – quel che più conta - del Capo dello Stato. D'altronde che i rapporti con Pertini fossero freddi lo dimostra il fatto che, di ritorno da Mosca e in transito a Vienna (dove Craxi era giunto in visita ufficiale), Pertini lo bollò pubblicamente come “cafone”: aveva – da presidente del Consiglio - lasciato l'aeroporto dieci minuti prima che arrivasse il presidente della “sua” Repubblica! Ma aldilà di questo gustoso aneddoto, tra quelli che il giovane D'Alema appuntava su un taccuino (ritrovato da poco, e divenuto base per questo libro) è l'atmosfera dei funerali a Mosca ad interessare di più il lettore. Incredibile il cerimoniale sovietico di accoglienza (diverso per capi di Stato, di partito, movimento…), incredibile la “gerarchia” con la quale si era ammessi ad omaggiare la salma del “dinosauro” defunto (prima i governanti dei paesi del socialismo reale, in ordine di “lealismo”; poi i capi dei partiti comunisti e dei movimenti – sempre nello stesso ordine – del Terzo Mondo; solo dopo i capi dei partiti comunisti “occidentali”, e – a seguire - gli altri capi di Stato), tant'è – come annota D'Alema –“il compagno Barrilli, che rappresenta i Partito Comunista di San Marino, precede di molte lunghezze il vice presidente americano George Bush”. Incredibile – con gli occhi di oggi – la scelta come successore di Andropov del vecchio e asmatico Cernienko, che bofonchiò un'improbabile orazione funebre in tandem con l'inossidabile Gromiko.
D'Alema, giovane in una sorta di viaggio di iniziazione alla politica internazionale, ha però la fortuna di potere fruire del “filtro” dell'intelligenza di Enrico Berlinguer, che davanti alla corona di fiori per Andropov, in attesa di incontrare il gotha sovietico, sorride e gli dice: “Vedi, questa è la prima legge generale del socialismo reale: i dirigenti mentono, sempre, anche quando non sarebbe necessario”. Il vecchio segretario sapeva di essere davanti a un mondo ammuffito, in disfacimento, ma – nel contempo – non vi erano ancora le condizioni per uno “strappo” definitivo del P.C.I. con la tradizione marxista-leninista, quello che faranno poi Occhetto e lo stesso D'Alema. La morte stroncò Berlinguer nel giugno di quello stesso anno, lasciando D'Alema e i suoi compagni soli, ma come egli stesso afferma, obbligandoli a diventare adulti. E non c'è dubbio che – se non rimpiango certo il verticismo politico del P.C.I di allora - un po' di rimpianto per la moralità e il rigore di Berlinguer ogni tanto mi prende. Tanto più se viene paragonato a molti politici nostrani, così lontani dal suo modo di essere; tant'è che – nonostante il terremoto di Tangentopoli – l'impressione è che sia stato il modello “craxiano” della politica, alla lunga, ad avere la meglio…

Mauro Reali


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  2 ottobre 2004