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Un giallo raffinato d'ambientazione calabrese
Piacevole sorpresa il Ragù di capra, di Gianfrancesco Turano
di Mauro Reali


Ragł di capra
Ragù di capra è un libro che ha più di un “padre”. E ciò non vuole essere minimamente riduttivo dell'estro creativo del suo autore Gianfrancesco Turano, giornalista, drammaturgo e ora anche romanziere. Il fatto è che non solo noi “siamo quel che mangiamo” (e Turano, calabrese di nascita e milanese d'adozione conosce il ragù di capra tanto quanto gli ossibuchi col risotto), ma “siamo pure quel che leggiamo”: e ciò vale per chi scrive un libro, ma anche per chi se lo assapora spaparanzato in poltrona. Mi spiego meglio. L'ottimo giallo - Ragù di capra, appunto – pubblicato nel 2005 dall'editore palermitano Dario Flaccovio (13 euro), non solo avvince per la sua storia, semplice e intricata al contempo, ma interessa anche per alcuni aspetti più propriamente letterari sui quali vedrò di soffermarmi. Ripeto, la storia è in apparenza semplice: un “bauscia” milanese – Stefano Airaghi – epigono della “Milano da bere” (è però solo un commerciante di hi-fi!), pensa di sottrarsi al fallimento simulando un naufragio col proprio yacht e pensando di riscuotere poi – con l'aiuto dell'amico Sammy Morabito – il premio assicurativo. Sammy – che a Milano è un “pescecane” della finanza – è di origini calabresi e nasconde l'amico in uno sperduto paesino della Locride. Airaghi dovrebbe solo aspettare, ma sarà perché ama il rischio, sarà perché le circostanze ce lo trascinano, inizia a frequentare un gruppo di sbandati locali e qui – dove mi fermo – la storia semplice si complica e assume contorni davvero da “giallo”. Giallo raffinato, però, connotato – come anticipavo – da più di una “strizzata d'occhio” alla migliore tradizione letteraria. Iniziamo dal naufragio e dal cambio di identità (Stefano Airaghi diventa infatti l'imprenditore Dottor Damiani), che ci ricordano la “morte presunta” del pirandelliano Mattia Pascal. Proseguiamo con la serie di straordinari personaggi che popolano il paese dove Airaghi si nasconde, i cui nomi sono tutto un programma: Ciccio Naso Forato, Mariano il Pazzo, Rocco Polo Nord ecc… Non sono pochi i momenti nei quali ci sembra di immergerci nella Aci Trezza dei Malavoglia, accanto a Piedipapera, Zio Crocifisso, Maruzza la Longa, e tanti altri. In effetti – non meno che nel capolavoro verghiano – la forza espressiva di quelle figure non è tanto nella loro singolarità quanto nella loro “coralità”: le loro azioni interagiscono a vicenda, e a loro volta interagiscono con quelle degli altri paesani più o meno illustri (dalle bariste sorelle Polimeni, al comandante dei vigili Loiero) fino a costituire una complessa trama i cui fili sono annodati (o snodati) dai “capibastone” locali. Al Verga Turano sembra alludere anche nel generoso uso di espressioni proverbiali (formidabile, tra gli altri, il “chi si corica coi bambini si sveglia pisciato”, citato ben due volte), e in alcuni costrutti sintattici o espressioni lessicali di sapore dialettale; non mancano anche intrusioni più “pesanti” del dialetto calabrese (alla Camilleri, per intenderci… che pure è siciliano) che però non hanno impedito l'intellezione pressoché completa del libro anche ad un lombardo purosangue come chi scrive.
Vogliamo dunque trovare qualche difetto al romanzo, dopo tante lodi? Forse c'è in qualche “passaggio” un po' di macchinosità, forse qualche flash-back (come quelli legati alla misteriosa figura di una donna di nome Raissa) resta un po' oscuro… Ma in compenso l'autore, quasi a “tradimento”, ci regala qualche cammeo di un lirismo paesaggistico che non ti aspetti in un giallo, come quello del passo che qui cito (p. 39):
Giugno era il verde. Eruttato dall'Aspromonte fino alla riva del mare, occupava tutto con tante sfumature quanti sono gli altri colori insieme. Dopo quei primi giorni del mese avrebbe sceso la scala opposta, propagandosi nel giallo della sua morte man mano che la montagna inaridiva e il residuo delle fiumare si salmistrava sparendo in poche ore sotto il sole maturo.
E così chiudo “in bellezza” questa recensione, il cui “sugo” (scusate il gioco di parole!) non può essere che l'invito a leggere Ragù di capra: ah, dimenticavo, i maccheroni col ragù di capra sono una delle molte “scoperte” (non certo la più pericolosa) dell'Airaghi nella Locride.

Mauro Reali


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  17 aprile 2005