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Il leone di Lissa
Viaggio in Dalmazia
a cura di Tullio Canevari


Il leone di Lissa   Osservazioni sopra l'isola di Cherso ed Osero

Quanti italiani sanno cos'è il “leone di Lissa”? Probabilmente, tranne quelli che hanno già letto il libro di Alessandro Marzo Magno, quasi nessuno. Ma quello che è più triste, e non ho timore a dire anche tragico, è che pochissimi italiani sanno cos'è, dov'è, cosa significa Lissa. Si è persa, in questi anni, non solo tanta parte della nostra cultura storica, ma anche purtroppo, a mio parere, la consapevolezza della nostra identità nazionale, che è cosa diversa e infinitamente più nobile del nazionalismo.
Il libro del giornalista veneziano ricalca le orme (ma, più spesso, solca le stesse onde) del viaggio che l'abate padovano Alberto Fortis descrisse, nel 1774, nel suo “Viaggio in Dalmazia” (di cui io possiedo, fortunosamente e fortunatamente, una copia) ed ha il merito di ricordare agli ignari turisti, che ritornano dalle loro vacanze in Dalmazia, che a Lissa, e non a Vis, nel 1866 “veneti e dalmati sotto la bandiera d'Austria batterono genovesi e napoletani col vessillo d'Italia (come ricorda Paolo Rumiz nella sua bella prefazione) e l'ammiraglio Tegetthoff, comandante della flotta imperiale, ordiṇ al timoniere chioggiotto Tomaso Penzo detto "ociai" di speronare l'ammiraglia italiana dicendo "Daghe 'dosso che la ciapemo"; che Marco Polo nacque a Curzola, non a Korcula; che ci sarà qualche buona ragione se la via principale di Ragusa si chiama “Stradun”.
Ma non c'è solo questo nel libro di Magno, ci sono anche tante gustose notizie: l'uso, fino a pochi decenni fa, delle fibre della ginestra per fare le “papuze” (le babbucce) delle donne; la coltivazione della lavanda per ricavarne olio essenziale da esportare non solo a Trieste e a Vienna ma in tutto il mondo; la vitalità culturale, che va dal vescovo Marc'Antonio de Dominis di Arbe, scopritore dell'arcobaleno, a Giorgio Orsini (Juri Dalmatinac per i croati), scultore, a Ruggero Boscovic, astronomo, fondatore dell'Osservatorio di Brera, a Nicolò Tommaseo di Sebenico, fino a Enzo Bettiza e a Ottavio Missoni, i dalmati attuali più conosciuti.
Nessun nazionalismo, né quello italiano né quello croato, può pretendere di cancellare la verità e far credere ciò che gli fa comodo. Ma penso che sia giusto che gli italiani dicano “sono stato in vacanza a Veglia”, senza fare ingiustificati sforzi di pronuncia dicendo “Krk”, consapevoli che con ciò non fanno alcun torto alla bella isola adriatica.
Bene, forse a questo punto si sarà capito che “la lingua batte dove il dente duole”: io sono istriano, di Brioni; c'è qualcuno che dice (e i giornali e le guide turistiche scrivono) Brijuni; gli rispondo, con il cuore pieno di tristezza che anche Tito, il che è tutto dire, diceva Brioni.
Rumiz dice: “Tenetevi forte alle sartie e via: buona lettura. Anzi, buon viaggio. Che in fondo è la stessa cosa”.
Mi associo e vi dico: “buon vento e alla via così”.

Tullio Canevari

Alessandro Marzo Magno
Il leone di Lissa – Viaggio in Dalmazia
Il Saggiatore Milano 15 €


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  3 settembre 2005