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Alla ricerca dei cristiani d'Oriente
Un grande reportage di Paolo Rumiz
di Mauro Reali - foto di Monika Bulaj


chiesa ortodossa
 
È da poco uscito in libro che – all'atto della pubblicazione – molti avevano già letto. Come è possibile questo? È possibile perché larga parte di questo volume, intitolato La Gerusalemme perduta, scritto da Paolo Rumiz e con splendide foto di Monika Bulaj (Frassinelli editore, 2005) è già stata pubblicata a puntate sul quotidiano Repubblica durante la scorsa estate. Chi vi scrive era allora all'estero e – pertanto – ha perso qualcuna di quelle puntate, sperando così che Paolo Rumiz si decidesse a raccogliere il tutto in un'opera a stampa; ha addirittura pensato di scrivergli, di contattarlo se ciò (come già per altri reportage è avvenuto) non si fosse realizzato. Ma non c'è stato bisogno di alcuna sollecitazione ed eccoci qui a recensire questo incredibile resoconto di un viaggio – che principia tra le Alpi piemontesi, nel monastero di Bose – e termina nientemeno che a Gerusalemme.

Gerusalemme  Gerusalemme  Gerusalemme

Un viaggio verso Est alla ricerca del cristianesimo dell'Est, ma soprattutto dei cristiani orientali, da Venezia, a Bari, all'Albania, ai Balcani, alla Grecia, all'Anatolia fino alla Cappadocia e ai confini con l'Iraq, per piegare poi su Siria, Giordania, Israele… Un viaggio intrigante, che l'autore ha svolto con ogni mezzo di trasporto (anche il più fortunoso) in mezzo a gente d'ogni tipo, in luoghi che – pur non troppo distanti dal punto di vista geografico – sembrano in certi casi lontani secoli da noi. E non parlo del tenore di vita, della ricchezza o della povertà: queste sono “variabili” sociali che – anche (e soprattutto) nel mondo globalizzato – persistono a dividere popoli e persone. Parlo invece della mentalità, dei valori, della visione del mondo… : spesso si tratta di genti che vivono in luoghi dove dominano altre religioni (come l'Islam e l'Ebraismo…) e la loro stessa presenza (magari in centri minori o in luoghi impervi) è una sorta di “relitto” della storia.

   

Impossibile tener dietro al caleidoscopio di situazioni e personaggi menzionati. Perciò mi limito solo a ricordare qualche aneddoto che mi ha particolarmente impressionato, e primo tra questi metto senz'altro il sacrificio cruento di un toro fatto da una comunità ortodossa presso Salonicco, dalle chiare reminiscenze pagane (un vero e proprio taurobolium mitriaco, mi pare!), in un clima a metà tra il clamore della festa paesana e la clandestinità. Di grande interesse ho trovato poi la descrizione della vasta regione tra l'estremo oriente turco - zona assai arretrata, abitata per lo più da musulmani conservatori - e la Siria, dove invece Rumiz ha invece trovato donne cristiane (ad Aleppo, in particolare) vestite in abiti eleganti e – per così dire – sensuali. Ovunque, ad ogni modo, le persone da lui incontrate (donne, bambini, contadini, mercanti, frati, anacoreti d'altri tempi…) trasudano un'umanità straordinaria, sia che siano cristiane (suddivisi in un numero sterminato di micro-comunità, confessioni, sette… una diversa dall'altra) o meno. Così può capitare all'autore di “farsi una birra” insieme con un musulmano o di giocare a briscola coi frati di Gerusalemme, in una ricerca del sacro che – come egli stesso ci spiega, memore dell'insegnamento di un frate – “ti sorprende dove meno te l'aspetti. In una chiesa, in una sinagoga diroccata, in un mendicate che ti guarda…”: più che una ricerca “divina” (l'autore si dice alla caccia delle “briciole di Dio”) , insomma, il viaggio-racconto mi pare una ricerca molto “umana”… Ma siamo davvero sicuri che si tratti di due cose così diverse?
   

Leggendo il libro di Paolo Rumiz ho pensato più volte ai versi del grande Umberto Saba in Città vecchia: Qui prostituta e marinaio, il vecchio / che bestemmia, la femmina che bega, / il dragone che siede alla bottega / del friggitore, / la tumultuante giovane impazzita / d'amore, / son tutte creature della vita / e del dolore; / s'agita in esse, come in me, il Signore. Quello che “si agita” negli uomini che Rumiz ha incontrato è un “Signore” dai molti aspetti, e può essere uno dei tanti volti di Cristo venerato dallo sterminato numero di micro-comunità, confessioni, sette dell'Oriente cristiano, ma anche lo spirito del dio degli ebrei o dei musulmani. Ciò che li accomuna e li rende così “antichi” e diversi per mentalità – come già dicevo – da noi occidentali “moderni” è che per loro (o molti di loro) il “ritmo” vero della vita è quello suggerito da questa “agitazione” interna; un “ritmo” le cui pause di oscillazione vanno viste in un tempo che è quello della Storia (con la “s” maiuscola) dell'umanità e dei suoi dei, e non quello della fugace cronaca cui noi siamo abituati. Non so allora davvero se la “Gerusalemme perduta” è quella geografica – lacerata, contesa, “perduta” dalle guerre e dalle rivendicazioni politiche – oppure quella spirituale delle nostre coscienze occidentali: e chi lo scrive – si badi – non è un mistico, ma un laico cultore della tradizione illuminista.

Mauro Reali


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  12 febbraio 2006