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Alla scoperta dei luoghi del sapere:
un messaggio per il dopo Moratti
di Giuseppe Civati



alla scoperta dei luoghi del sapere
 
Perché sia a tutti chiara la sostanziale differenza tra la politica dell'Unione e quella della destra, e siano più comprensibili i tanti progetti che si possono mettere in campo nel mondo della scuola e dell'università, la lettura del libro di Andrea Ranieri, I luoghi del sapere, (Donzelli, pagg.128, €11,50) è molto indicata.

Ranieri muove dalla sua esperienza, prima nella Cgil, poi nei DS, per raccontarci quel che si può fare, partendo dalle qualità del nostro sistema (poche, ma buone) e dal confronto con altri Paesi, che meglio hanno interpretato le trasformazioni dell'economia e la sfida della competitività (o dell'attrattività, come forse è meglio chiamarla). Come già D'Alema nel suo intervento di Firenze, in occasione della conferenza programmatica dei DS, anche Ranieri sostiene la centralità della cultura e del sapere per il nostro sistema, sempre più fragile e penalizzato da politiche di governo sbagliate o poco convinte (in particolare, per quanto riguarda le risorse e le strategie).

Alle tre 't' (talenti, tecnologia, tolleranza) di Richard Florida (L'ascesa della classe creativa, Mondadori) Ranieri propone - come già Cianciullo e Realacci in Soft economy (Bur) - di aggiungere la quarta 't' di territorio, prendendo lo spunto dal titolo di un convegno di viticoltori di Zola Pedrosa (Bologna) e dalla necessità di coniugare internet e cabernet.

Formazione permanente (da accompagnare alla riforma degli ammortizzatori sociali), e poi integrazione tra istruzione e formazione, rilancio dell'istruzione tecnica, spazio a politiche per l'infanzia più avanzate. All'insegna della crescita complessiva, e di una forte attenzione al tema della mobilità sociale, in un'Italia dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre di più, perché si perpetuano le differenze, grazie anche alla collaborazione di ministri che avevano proprio quel mandato quando Berlusconi li scelse, ormai cinque, lunghi, lunghissimi, anni fa. «Un mio amico - scrive Ranieri nelle ultime righe del suo bel saggio, a proposito del tempo perduto e pensando alla sua giovinezza militante - quando qualcuno diceva che la rivoluzione ha tempi lunghi, si consolava "perché così si poteva andare al cinema senza sentirsi più di tanto in colpa". Sarà bene stavolta pensare che più i tempi sono lunghi, più occorre darsi da fare alla svelta».

Giuseppe Civati


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  18 marzo 2006