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La globalizzazione che funziona 2
Un mondo diverso è possibile
di Giuseppe Poliani


Joseph Stiglitz

Bisogna credere alla possibilità concreta del cambiamento. Questo è essere no-global oggi.
Nel primo World Social Forum (WSF) tenutosi in Asia a Mumbai (2004) al quale l'autore, come a tutti gli altri, ha partecipato, c'era uno spirito molto diverso dai precedenti tenutisi in Brasile (Porto Alegre): caotico come tutti i WSF, ma straordinariamente vivace e propositivo.
Stiglitz, da spettatore privilegiato, aveva sempre partecipato anche ai World Economic Forum (WEF) tenuti tutti gli anni a Davos e dove, nel 2003, vi erano state fortissime tensioni fra USA e resto del mondo per la guerra in Iraq.
Nel 2004, benché tali tensioni sembrassero stemperate, iniziava a farsi strada un sentimento nuovo fra i vari rappresentanti degli stati: ci si chiedeva sempre più se la globalizzazione aveva realmente portato i benefici sperati e se i paesi in via di sviluppo avrebbero potuto far fronte alle sue conseguenze. Se nei WEF degli anni '90 si era posto più l'accento sull'apertura dei mercati ora si cominciava a parlare di riduzione della povertà, di diritti umani e di trattati commerciali più equi, di conseguenze della globalizzazione. A questo proposito Stiglitz riporta la conclusione (2004) alla quale era giunta la commissione sulle dimensioni sociali della globalizzazione, voluta dall'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro):

L'attuale processo di globalizzazione sta producendo situazioni di squilibrio, sia tra i diversi paesi sia all'interno di ciascuno di essi. E' vero che si crea ricchezza, ma troppi paesi e troppe persone non ne traggono alcun vantaggio, oltre a non avere voce in capitolo nelle decisioni che plasmano questo processo. Agli occhi della maggior parte delle donne e degli uomini, la globalizzazione non ha soddisfatto le loro semplici e legittime aspirazioni di poter contare su un lavoro decente e su un futuro migliore per i loro figli. Molti di essi vivono nel limbo dell'economia sommersa, senza diritti formali, in paesi poveri che sopravvivono precariamente ai margini dell'economia globale. Persino nei paesi ricchi esistono lavoratori e comunità che hanno subito gli svantaggi della globalizzazione. Nel frattempo, le rivoluzione delle comunicazioni globali accentua la consapevolezza di queste disparità…
…questi squilibri globali sono moralmente inaccettabili e politicamente insostenibili.
(Pag. 8)

Il dubbio era se la globalizzazione, fenomeno in se positivo, fosse stata usata per promuovere un modello di economia di mercato in stile anglosassone o forse ancora più estremo, liberista, a solo vantaggio delle grandi multinazionali e lobbies internazionali, senza curarsi molto di equità, problemi sociali e ambiente.
Poteva esserci cioè la reale possibilità che ci fosse un rapporto diretto fra globalizzazione e aumento della povertà (si definisce povero che vive con meno di 2 dollari al giorno ed estremamente povero che vive con meno di un dollaro al giorno; Banca Mondiale).
In effetti ad eccezione della Cina, che ha diminuito la povertà per centinaia di milioni di persone gestendo la globalizzazione in modo oculato (apertura graduale dei mercati, blocco dell'ingresso di capitali speculativi, aumento delle esportazioni e limitazione delle importazioni), la povertà in tutto il terzo mondo è aumentata negli ultimi due decenni.
L'area con la situazione più grave è l'Africa dove, considerando l'incremento totale della sua popolazione negli ultimi 20 anni, le persone in estrema povertà sono raddoppiate dal 1981 al 2001 (ndr.: eccole qua le radici profonde dell'immigrazione alla quale l'occidente risponde con il razzismo).
Stiglitz mette a fuoco alcune cause/effetti della crescente globalizzazione così come è stata avviata:

Gli aiuti finanziari dovrebbero avere più la caratteristica di una sovvenzione piuttosto che di un prestito, al quale spesso i paesi poveri non riescono a far fronte per gli ingenti interessi da pagare a causa di fattori come l'instabilità dei tassi di cambio e di interesse, o per le pesanti condizioni economiche alle quali la concessione del prestito il Fondo Monetario Internazionale (FMI) obbliga lo stesso paese debitore.

La liberalizzazione del commercio con i paesi poveri spesso è stata viziata da protezionismo da parte degli stati economicamente più forti a danno dei primi non permettendo il loro progresso.
Mentre da una parte i paesi in via di sviluppo venivano costretti a rinunciare ai sussidi finalizzati ad aiutare i settori nascenti, i paesi avanzati potevano mantenere le loro ingenti sovvenzioni all'agricoltura riducendo artificiosamente i prezzi agricoli e mettendo a repentaglio il tenore di vita dei paesi in via di sviluppo.(Pag. 16)
E' questa una delle principali ragioni della rivolta di Seattle nel 1999 che provocò l'inizio di una riflessione nei paesi avanzati proseguita a Doha nel 2001 con una serie di promesse verso il terzo mondo, peraltro poi disattese.

La liberalizzazione del mercato dei capitali rappresenta un punto di forza fra i tanti contenuti nel Washington Consensus, cioè di un insieme di indirizzi politico-economici condivisi da FMI, WB, WTO, Casa Bianca, ritenuti da essi indispensabili per promuovere lo sviluppo.
Soprattutto la circolazione di capitali anche a breve termine e speculativi crea instabilità come è successo ad esempio in l'Argentina che dopo la dollarizzazione della valuta nazionale e dopo aver seguito fedelmente le indicazioni del FMI, ad un breve periodo di crescita è seguito un crollo dovuto alla non sostenibilità economica di tale crescita.

Anche la sostenibilià ambientale e la tutela dell'ambiente (biodiversità) devono essere messe in conto. Non possiamo consumare senza limiti e riscaldare il pianeta infischiandocene delle emissioni di anidride carbonica e non facendo nulla per ridurle, soprattutto da parte di chi, come gli USA, hanno il tasso di produzione annuale di questo gas più elevato al mondo.

LA PROMESSA DELLO SVILUPPO

la fame nel mondo

Circa l'80% della popolazione mondiale vive nei paesi in via di sviluppo, aree ad alto tasso di povertà e disoccupazione, bassa scolarità e bassi redditi.
Se è vero che la globalizzazione farà arricchire tutto il mondo, dice Stiglitz, allora la globalizzazione perché funzioni deve avvantaggiare le persone di questi paesi.
Ma finora non è stato così; oggi fra le due teorie economiche superstiti ancora valide deve essere sostenuta quella che offre maggiori possibilità in questo senso: fra il capitalismo di libero mercato e l'economia di mercato gestita anche dallo stato deve prevalere la teoria più vantaggiosa per questi paesi altrimenti si fallirà di nuovo come è stato nei decenni precedenti, ricercando in modo donchisciottesco una risposta risolutiva per i paesi poveri.
Non può essere lasciato tutto al mercato, ma lo sviluppo implica una concertazione di stati, governi, organizzazioni internazionali, ONG, privati.

Diverse sono state le risposte alla globalizzazione nel mondo: l'Est asiatico, l'America Latina, i paesi in transizione dal comunismo, l'Africa, il Sud Est dell'Asia.
Nell'Est asiatico si sono mantenute crescita e stabilità per un quarto di secolo ed anche durante la flessione del 1997-1998 Cina e Vietnam hanno continuato a crescere.
I governi di questi paesi hanno fatto in modo che i vantaggi della globalizzazione andassero a molti e non solo ai pochi, mantenendo la stabilità dei prezzi, l'occupazione, le politiche sociali, la scolarizzazione, gli investimenti nelle infrastrutture, la partecipazione dello stato nell'economia con attenzione ai settori più critici ed al comportamento delle banche, limitando le importazioni ed il flusso di capitali speculativi e breve termine, incentivando il risparmio famigliare.
Hanno cioè creduto al mercato ma hanno posto regolamenti e vincoli al settore privato ed alle banche per evitare speculazioni pericolose ed improvvise.
Così l'Indonesia dal 1987 al 2002 ha ridotto il tasso di povertà estrema dal 28% all'8% e la Cina di tre quarti dal 1978 ad oggi.
Ma quando negli anni '80 questi paesi hanno aperto i mercati ai capitali internazionali è iniziata l'instabilità dovuta alla volatilità dei mercati stessi ed alla speculazione. Gli aiuti chiesti da questi paesi asiatici al FMI hanno poi pesato in modo negativo in quanto concessi solo sotto condizione di riduzione della spesa pubblica e forte liberalizzazione, che ha provocato vaste proteste popolari ed aumento della povertà.
In America Latina le cose sono andate diversamente.
Anche se inizialmente furono messe in atto politiche dirigiste un po' rozze si ebbe una crescita costante del reddito pro capite del 2,8% dal 1950 al 1980 (in Brasile del 5,7% per circa 50 anni).
Nel 1980 iniziò la crisi debitoria dell'America Latina a causa dell'aumento dei tassi di interesse che pesarono sui debiti contratti in dollari di questi paesi (l'Argentina aveva accettato la dollarizzazione della propria moneta nazionale) e fecero aumentare l'inflazione. Nell'intento di ridurla i governi accettarono le soluzioni proposte dal Washington Consensus ed inizialmente le situazione migliorò.
Ma successivamente mentre il PIL aumentava la ricchezza del paese diminuiva, a causa di privatizzazioni, aumento dei consumi e indebitamento abnorme con arricchimento di pochi.
Così negli anni '90 la crescita si è ridotta a metà di quella degli anni '80.
Ora Brasile, Venezuela, Bolivia hanno cambiato rotta cercando di distribuire le ricchezze del paese a tutti e portando l'assistenza sanitaria e le scuole ovunque, nell'intento di riversare i proventi delle grandi ricchezze petrolifere anche sulla popolazione locale.
Nell'ex URSS I danni della transizione dal comunismo al capitalismo sono stati ben più gravi di quanto dicano le statistiche.
Tra il 1990 ed il 2000 in Russia l'aspettativa di vita è scesa di 4 anni con un aumento drammatico delle povertà.
L'occidente spingeva per un'accelerazione della transizione e le rapide liberalizzazioni fatte portarono ad un'iperinflazione (anche del 3300 % annuo in Ucraina) fronteggiata con una restrizione del credito e austerità fiscale.
Così, mentre i pochi oligarchi impadronitisi per pochi soldi dei beni dello stato liberalizzati portavano i capitali al sicuro fuori dalla Russia, il FMI faceva confluire altri capitali per gli aiuti economici, pensando di provocare un effetto catalizzatore per altri capitali, che non avvenne.
Dal 1990 al 2000 in Russia i redditi sono diminuiti di 1/3 proprio mentre in Cina crescevano del 135% annuo ed in Vietnam del 75%, proprio perché questi due paesi come accennato avevano rifiutato la terapia d'urto applicata invece dall'occidente per l'ex URSS.
In Africa, benché il colonialismo aveva lasciato molti paesi impreparati allo sviluppo ed alla democrazia, negli anni '70 si respirava un aria di ottimismo ed euforia verso il futuro.
Ma dittatori corrotti, continue guerre, politiche socialiste africane oneste ma difettose (Uganda, Congo, Tanzania, Nigeria, Costa d'Avorio, Kenya), negli anni '80 costrinsero molti paesi a chiedere aiuti finanziari al FMI, che li concesse ma a condizione che i paesi debitori accettassero le politiche economiche dettate dal Washington Consensus.
Ma l'apertura dei mercati provocò un afflusso di merci dall'occidente senza che l'Africa potesse ricambiare con altrettante merci ed innescare lo scambio, considerato il suo basso livello tecnologico e la sua bassa produttività agricola .
L'afflusso di capitali previsto non ebbe luogo perchè l'occidente era solo interessato a depredare il continente delle sue ingenti ricchezze naturali. A ciò si era aggiunto l'incremento demografico al quale non aveva fatto fronte un corrispettivo aumento della produzione agricola e l'AIDS: in breve il numero dei poveri in Africa è raddoppiato rispetto a 20 anni fa.
L'India (1,1 miliardi di abitanti) ad eccezione della crisi degli anni '90 è cresciuta del 5% annuo o più ed il tasso di crescita previsto per il 2006 era dell'8%.
Negli anni delle politiche socialiste in India si è cercato di investire nella scuola, la ricerca, nelle coltivazioni, fino agli inizi degli anni '90 quando il governo ha aperto al settore privato ed alle liberalizzazioni, sempre limitando però l'afflusso di capitali a breve termine.
Con l'avvento di internet le inadeguatezze strutturali del paese hanno pesato di meno e si è favorito lo sviluppo delle telecomunicazioni.
Cina ed India hanno avuto un cammino molto simile anche se in India la povertà non è stata ridotta come in Cina. Entrambi i governi si erano impegnati a sostenere l'agricoltura, nuova occupazione per i giovani e l'istruzione. Oggi il numero di laureati in ingegneria e discipline scientifiche in Asia è il triplo rispetto agli USA.
In tutti questi casi descritti è evidente il fallimento delle politiche legate al Washington Consensus.

Nel 1944 fu istituita la Banca Mondiale per aiutare i paesi in via di sviluppo pensando che i capitali fossero il fattore primario dello sviluppo in un paese unitamente al regime di mercato libero, senza l'intervento dello stato (v. Thatcher; Reagan negli anni '80).
Ma nei casi visti non è stato affatto così ad eccezione dei casi asiatici dove i governi avevano avuto un ruolo forte nello sviluppo e nell'economia del paese rifiutando le condizioni poste dal FMI.
Occorre mettere le persone al centro dello sviluppo (Grameen Bank), evitare la corruzione che arriva nei paesi sottosviluppati con le imprese occidentali ed è spesso funzionale a queste e non indebolire le democrazie.

PER UN COMMERCIO EQUO

fame 1

Il North American Free Trade Agreement (NAFTA, 1994) è stato uno dei primi trattati commerciali che creò la più vasta area di libero commercio nel mondo fra USA e Messico ma fu un fallimento perché il trattato non era né equo né libero, ma asimmetrico e non portò tutti i vantaggi annunciati. La ragione principale della sua creazione era ridurre l'immigrazione clandestina negli USA ma nei primi 10 anni di applicazione del trattato la disparità di redditi nei due paesi è cresciuta oltre il 10% ed il NAFTA non affatto ha accelerato la crescita dell'economia messicana. Perché?
I poveri agricoltori messicani hanno dovuto competere con il mais sovvenzionato proveniente dagli USA (senza dazi che erano stati aboliti dall'accordo); per i pomodori il Messico era stato accusato di dumping (vendere sottocosto) dagli agricoltori della Florida e con appoggi del congresso avevano obbligato i coltivatori messicani ad alzare i prezzi.
L'unico vantaggio a favore del Messico è stata la creazione di industrie a ridosso del confine per la vendite di componenti a basso costo per l'industria USA; ma la cosa è stata effimera e dopo pochi anni a causa della competizione internazionale (Cina) queste fabbriche hanno rapidamente chiuso lasciando a casa circa 200000 lavoratori. Non esiste un legame diretto fra liberalizzazione e crescita soprattutto se il mercato non è affatto libero.

La grande maggioranza delle liberalizzazioni iniziò dopo la grande depressione degli anni '30, quando ci si accorse che le tariffe doganali erano state la causa principale dell'inasprimento della crisi del 1929.
Nel primo dopoguerra nacque il FMI e successivamente si raggiunsero accordi doganali (GATT: principio di non discriminazione fra i paesi soci); il 15 aprile 1994, dopo i negoziati dell'Uruguay round del 1986, il GATT di cui erano membri 128 paesi fu sostituito dal WTO, parallelamente alla creazione del NAFTA.
5 anni dopo, nel 1999, il WTO si è riunito a Seattle per un nuovo round di negoziati ma le cose non sono andate come previsto: Il 70% della popolazione nei paesi in via di sviluppo vive sull'agricoltura e su una promessa liberalizzazione del mercato tessile essi avevano risposto con l'abolizione dei dazi doganali. Ma i paesi occidentali avevano invece mantenuto per anni dopo l'istituzione del WTO le quote tessili (coltivazione del cotone con sovvenzioni) ingannando i paesi poveri, i quali per raggiungere quell'accordo avevano ceduto anche su altri fronti (proprietà intellettuale, gli investimenti ed i servizi).
Cosi ebbe inizio la protesta clamorosa che aprì la contestazione globale della globalizzazione economica.
Altri incontri del WTO a Doha nel 2001, Cancun 2003, Hong Kong 2005, hanno dato scarsi risultati anche se hanno aperto dei varchi.

L'UE ha capito questo meccanismo perverso ed ha aperto nel 2001 unilateralmente i mercati senza chiedere contropartite politiche o economiche in cambio.
Un equilibrio si potrà raggiungere solo se si stipuleranno accordi più equi in modo da ampliare il raggio d'azione multilaterale dei paesi poveri, diminuire quello degli accordi bilaterali, abbattere le politiche protezionistiche e le barriere tariffarie, regolamentare l'agricoltura e l'immigrazione, procedere a riforme istituzionali ed a collaborazioni internazionali per sconfiggere la corruzione, il traffico di armi (guerre), per abolire il segreto bancario, e fare in modo che i vantaggi delle liberalizzazioni e delle globalizzazione dei mercati vada a vantaggio di molti (welfare; ammortizzatori sociali).
La liberalizzazione del commercio non ha mantenuto le promesse. Ma la logica di base del commercio – ossia la sua potenzialità di migliorare le condizioni di vita della maggior parte delle persone, se non proprio tutte – rimane. (Stiglitz; pag. 106).

Alla prossima, dove cercherò di parlare di brevetti, risorse, ambiente, multinazionali.

Giuseppe Poliani

teoria

Joseph Stiglitz, vincitore nel 2001 del premio Nobel per l'Economia, è nato nel 1943 nell'Indiana.  Professore di Economia e Finanza presso la Columbia University, è stato consigliere di Bill Clinton durante il primo mandato e, dal 1997 al 2000, senior vice president e chief economist della Banca Mondiale. Tra le sue opere pubblicate in Italia: Economia del settore pubblico (Hoepli, 1989); Il ruolo economico dello stato (Il Mulino, 1992); Principi di microeconomia (Bollati Boringhieri, 1999); In un mondo imperfetto (Donzelli 2001).
Einaudi ha pubblicato, in contemporanea con le edizioni americane, i suoi libri più recenti: La globalizzazione ed i suoi oppositori (2002) e I ruggenti anni Novanta (2004).


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  14 ottobre 2007