Hotel Angleterre
Tra San Pietroburgo e Sanremo: l'ultimo libro di Orengo
di Mauro Reali
Forse non è un libro per tutti l'ultimo lavoro di Nico Orengo, Hotel Angleterre, Einaudi (pp. 144 , euro: 16). Di certo per apprezzarlo pienamente bisogna avere quel pizzico di curiosità morbosa, un po' maniacale, che affligge tutti gli appassionati di letteratura (ma anche di altre arti
); quella curiosità che ha colto Orengo durante un viaggio a San Pietroburgo e lo ha spinto con un'operazione a metà tra il vero tarlo interiore e il divertissement erudito ad andare sulle orme di una penna (sì, ho detto una penna
!) donata forse (dico forse
) dal grande Goethe al non meno grande Pukin
Ed in effetti il libro è in parte una vera e propria autodenuncia di questo bizzarro inseguimento, fatto di volumi più o meno rari, mail spedite ad esperti di letteratura russa, telefonate a direttori di musei, alla ricerca del come e del perché di tale dono e se possibile nell'ansiosa attesa del rinvenimento della reliquia. Il lettore, però, scopre man mano che tale indagine è forse poco più (o poco meno?) di un pretesto per altre due ben più complesse, e profonde, operazioni di ricerca.
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Goethe e Pukin
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Una storico-letteraria, direi, legata al tentativo di evocare l'universo culturale e personale del noto poeta russo Pukin, e soprattutto ricostruire le ultime ore della sua vita, stroncata nel 1837 da un duello combattuto per difendere l'onore di marito tradito. L'altra operazione è invece assai più privata, e con essa Orengo ricuce il legame con il proprio passato familiare, poiché per parte paterna egli discende da una famiglia russa. Sua nonna Valentina Tallevic, infatti, era figlia di un ufficiale russo che nella seconda metà dell'Ottocento si era trasferito a Sanremo per sfuggire al freddo della sua terra e guarire dalla tisi. Si chiamava Iosif Tallevic, e fu uno dei pionieri di quella folta e nobile comunità russa che tra Ottocento e Novecento, anche sull'onda della Rivoluzione andò a movimentare l'estremo Ponente Ligure e la Costa Azzurra: molti si stanziarono in forma definitiva, altri soggiornavano per lungo tempo nei migliori alberghi dell'epoca, come i sanremesi Nice, Royal, Victoria, Londres e, ovviamente, Angleterre
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la chiesa russa di Sanremo |
Non dirò ai lettori se Orengo troverà la penna di Goethe, perché non voglio togliere quel lieve filo giallo che pervade il romanzo (lo chiamo romanzo, ma impropriamente: è difficile dare una precisa definizione di genere
). Posso però dire che le altre due ricerche cui ho accennato riescono con successo e nella stesura dell'opera si mescolano e sovrappongono, tanto che il lettore tende quasi a confondere la ricostruzione storica di Orengo letterato con i racconti di sua nonna Valentina. Così come, pure nella loro radicale diversità, si sovrappongono la bianca neve di San Pietroburgo e il caldo sole di Sanremo; quella Sanremo dove Tzajkovskij nel 1877 faticò a terminare la musica del puskiniano Onegin, poiché come ci racconta Orengo C'era troppo sole a Sanremo, anche d'inverno, la vista era abbagliata dal giallo dei limoni, dal verde degli ulivi, dal rosso pompeiano delle rose, dal ghiaccio bianco delle calle, per scrivere di morte. Tutto intorno parlava di vita: il mare aveva onde di cobalto e le rocce erano ricoperte di muschio rosa. Non era quello il luogo per mettere in musica la morte di un poeta innamorato.
Insomma, il rischio di naufragio, da parte del lettore esiste, in costante bilico tra la penna d'oca, il duello di Pukin, le vicende di nonna Valentina e il jet set della Sanremo delle Belle Epoque. Ma, ve lo garantisce il vostro recensore, è un naufragio dolce, nella lettura di un libro bellissimo. Non per tutti, forse già lo accennavo ma sicuramente per molti
Mauro Reali
15 novembre 2007
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