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Ossa umiliate
da “Necropoli” di Boris Pahor
a cura di Umberto De Pace


Necropoli









Campo di concentramento di Natzweiler-Struthof sui Vosgi in Francia. L'uomo che vi arriva, un pomeriggio di estate insieme a un gruppo di turisti, non è un visitatore qualsiasi: è un ex deportato che a distanza di anni torna nei luoghi dove era stato internato. Quello che segue è un breve brano tratto dal libro in cui racconta la sua esperienza del mondo crematorio perché la memoria non si perda e la storia non sia passata invano .

Sono sceso giù per la fascia erbosa che cade ripida dal ripiano fino alla siepe di filo spinato. Qui sul pezzetto di terreno stretto tra il filo e il pendio, accanto al pozzo nero, una volta c'era la buca per la cenere. Ora vi hanno sistemato un cimitero in miniatura, grande come due lenzuoli, cinto di pietre grezze e con due scritte al centro: “Honneur et patrie – Ossa humiliata”. Due espressioni, quasi due aforismi nei quali, come al solito, gli uomini condensano la rivelazione di una verità indicibile. Ma ciò che ora mi avvilisce non è l'isolamento cui sono condannati questi ripiani, bensì il silenzio in cui un'èlite previdente e tenace avvolge queste ossa humiliata. Chi nel momento dell'estremo pericolo per l'Europa aveva giurato di disinfestarla a fondo si è poi asservito ad altri interessi meno nobili, per raggiungere i quali l'esigenza di una vera denazificazione diventava un ostacolo. Così l'Europa è uscita dal dopoguerra, che avrebbe potuto essere il periodo in cui compiere la propria purificazione, come un'invalida a cui qualcuno abbia applicato occhi di vetro perché non spaventi i bravi cittadini con le sue occhiaie vuote, e tuttavia burlandosi di lei e offendendola con impudenza. E l'uomo europeo ha accettato questo perché, nonostante le sue esclamazioni altisonanti, in verità è indolente e pauroso, talmente abituato a tirare avanti con comodo e a ridurre tutto quanto a sistema da non trovare lo spazio per inserire, nel proprio ordine di preoccupazioni misurato col bilancino, il bisogno di un atto di fierezza. E se ogni tanto, nell'inconscio, prova vergogna per questa situazione da eunuco, si sfoga in grande stile nelle prediche moralizzatrici e nello stigmatizzare le gesta avventate della gioventù; ma ha già scialacquato in anticipo il patrimonio di onestà e di giustizia che avrebbe dovuto trasmettere alle nuove generazioni. Anche queste mie constatazioni però sono consunte al punto che nell'apatia generale risuonano come noiosi sermoni. Chissà, forse solo un nuovo ordine monastico laico potrebbe risvegliare l'uomo standardizzato, un ordine che vestisse il saio striato degli internati e inondasse le capitali dei nostri Stati, disturbasse con il rumore dei suoi zoccoli il raccoglimento dei negozi lussuosi e dei passeggi. Ciò che qui è rimasto dei vasi con la cenere dovrebbe essere portato in processione nelle città; notte e giorno, un mese dopo l'altro, gli uomini in divisa a strisce con gli zoccoli ai piedi dovrebbero montare la guardia d'onore ai vasi rossastri su tutte le piazze principali delle metropoli tedesche e non tedesche.
Ossa umiliate. Sebbene sul costone che sovrasta il campo si erga un monumento alto alcune decine di metri e ci sia lassù anche una spianata sulla quale ogni francese caduto durante la deportazione ha il proprio posto, mi sta più a cuore questa recondita manciata di terra. Così remota e così nascosta, è più nostra; e poi i morti sono riuniti tutti insieme, come di volta in volta si è accumulata e depositata la loro cenere. Lassù la Francia ha innalzato a ciascuno dei suoi figli una lapide e una croce, ma sotto le grandiose file di croci bianche non c'è niente; nemmeno un pugno di polvere grigia si è mescolata con la terra del monte. Lassù c'è sì un monumento, un monumento nazionale francese, ma qui c'è un santuario umano internazionale.
In questo momento vorrei dire qualcosa ai miei ex compagni, ma ho la sensazione che tutto ciò che riuscirei a dire sarebbe insincero. Io sono vivo, perciò anche i miei sentimenti più schietti sono in una certa misura impuri.
Così, assorto, risalgo sul ripiano e mi ritrovo nella folla che ascolta in silenzio la guida. Le teste sono leggermente chine verso la ripida fascia erbosa, mentre la guida dice che lì c'era il pozzo nero in cui convergeva la fognatura di tutti i ripiani; quando il pozzo nero era colmo, il suo contenuto traboccava mescolandosi alle ceneri e alle ossa. Perciò, dice, quando c'era da concimare l'orto del comandante si mandavano degli uomini con dei secchi.


Nota: l'autore è nato nel 1913 a Trieste dove vive tuttora. Dopo la laurea a Padova ha insegnato Lettere italiane e slovene nella città giuliana. Durante la seconda guerra mondiale ha collaborato con la resistenza antifascista slovena ed è stato deportato nei campi di concentramento nazisti, esperienza che lo ha segnato fortemente e di cui si trova traccia in gran parte della sua ricchissima produzione letteraria. In italiano, oltre a Necropoli, sono stati pubblicati Il rogo nel porto (Nicolodi, 2002) e Il petalo giallo (Nicolodi, 2003). Segnalato più volte all'Accademia di Svezia che assegna il Nobel per la letteratura, insignito nel 1992 del Premio Preseren, il massimo riconoscimento sloveno, per la sua attività letteraria, già nominato in Francia Officier de l'Oredre des Arts e des Lettres dal ministero della Cultura, nel 2007 Boris Pahor ha ricevuto la Legion d'Onore da parte del presidente della Repubblica francese.

copertina
Necropoli
Pahor, Boris
Fazi editore, 2008, 280 pagine, € 16,00

A Monza al LIBRACCIO
on line  www.libraccio.it


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  27 gennaio 2009 - Giorno della Memoria