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C'ERA UNA VOLTA
Sant'Ambrogio
Felice Camesasca


Sant'Ambrogio

Le prime leggende del medioevo si riferiscono a sant'Ambrogio, che, in un periodo turbolento, si appresta a disciplinare la Chiesa ed a coordinarne la struttura.
Crea quindi un rito specifico al territorio di sua competenza : il rito ambrosiano per la celebrazione dalla Messa, unitamente ad un periodo carnevalesco più lungo di tre giorni e lo impone a tutta la diocesi.
A proposito del carnevale più lungo pare, i soliti maligni lo dicono, che Sant'Ambrogio, convocato a Roma dal Papa per discutere il rito che voleva instaurare non potesse essere a Milano per l'inizio della Quaresima.
Chiese quindi al Santo Padre di prolungare, appunto per la sua diocesi, il periodo carnevalesco per essere lui a Milano ad aprire la quaresima e fu accontentato !
Ma non tutte le popolazioni o meglio le città comprese nella zona di sua giurisdizione, sono disposte ad accettare la variazione di rito, per altro minima, e la quaresima posticipata: persistono nel voler rimanere nel rito romano.
Una della città che oppone la massima resistenza, e la spunta, è Monza, mentre la zona della attuale provincia la accetta.
Sant'Ambrogio, dice la leggenda, si reca a Monza per persuadere la popolazione, ma senza alcun risultato. Il Santo lascia la città e sulla strada per Milano si ferma nella zona ora detta Molinetto, scende dalla mula e si toglie la polvere dai calzari pronunciando, dice sempre la leggenda, la famosa frase che i monzesi si portano tutt'ora appresso e che viene rispolverata quando si vuole polemizzare (raramente per fortuna ! ), ma di cui sono orgogliosi.
Pare dunque che sant'Ambrogio in quella occasione abbia detto :Müscia Münsceta, piscinina e maledetta. prestin sensa meta, ne tan dò ne tan tò, ta sarè sempre guernada da fiò.
La traduzione in lingua è la seguente: Monza, piccola Monza, piccolina e maledetta, sei una panetteria non in grado di produrre perché non hai la pala (meta) per infornare, non ti do ne ti tolgo nulla, sarai sempre governata da ragazzi, volendo paragonare, con questa finale, i monzesi ai ragazzi che se ottengono qualcosa di particolare e per loro prezioso difficilmente vi rinunciano.
Se è vera la frase (ricordiamoci che parliamo di leggende ) esprime un giudizio assai pesante, direi rancoroso: è infatti possibile interpretarla come una espressione di rancore verso chi non vuole accettare quella che si ritiene sia una generosa offerta, ma può anche non esserlo perchè la città ha un suo orgoglio.
Una espressione che ha scavato un solco tra le due comunità perché vuol negare una indipendenza: ma allora esistevano solo poteri assoluti.
Che la sentenza abbia sempre valore ?
Ma: abbiamo seri dubbi che si sia ritorta sul popolo di chi l'ha pronunciata (se è vero che così è stato ).

La seconda leggenda legata a questo Santo non è proprio strettamente attinente alla città ma alla campagna circostante.
Sant'Ambrogio aveva una sorella che si fece monaca e che fu parimenti santificata: Santa Marcellina, fondatrice dell'Ordine delle Marcelline (a Milano la scuola femminile per eccellenza è proprio l'Istituto delle Marcelline).
A lei, il fratello donò un dito dei tre Re Magi, le cui spoglie erano ancora conservate nella chiesa di Sant'Eustorgio a Milano: poi il Barbarossa se ne impossessò come bottino personale, prima di distruggere la città, e le pose nel duomo di Aquisgrana ove tutt'ora sono conservate.
Questa, tuttora nella chiesa di Brugherio, è l'unica reliquia dei Magi rimasta in Italia ed è tuttora venerata, anche se è poco nota la sua ubicazione.

la casupola delle tre orfanelle

Il convento in cui si ritirava il Santo si trovava dove attualmente è la città di Brugherio, confinante con Monza: ivi si recava il Santo per i suoi periodi di ritiro spirituale.
Durante questi periodi il santo passeggia da solo nelle campagne circostanti ed in una di queste passeggiate transita in prossimità di una casa in cui vivono tre ragazze orfane che versano in precarie condizioni: andavano a messa una per volta perché avevano un solo vestito.
Osserva la misera casetta e vede sul tetto tre angeli che ballano.
Incuriosito il santo si avvicina alla finestra.
Nella stanza, spoglia , vede le tre fanciulle appena decentemente coperte che siedono davanti al fuoco spento : impietosito entra e chiede alle fanciulle se abitano da sole .
Queste rispondono affermativamente precisando che sono orfane e nulla hanno per vivere.
Sant'Ambrogio impietosito e rassicurato dalla presenza degli angeli, dona loro una borsa di monete: una borsa miracolosa, come dice, perché le monete in essa contenute non si sarebbero mai esaurite.
Il santo in un soggiorno successivo ripassa davanti alla casetta delle tre ragazze per vedere come stanno, ma cosa vede questa volta sul tetto: tre diavoletti che danzano.
Si accosta alla finestra e vede le tre ragazze sfarzosamente abbigliate che si dilettano con dei giovani prelevando in continuità denari dalla borsa che il santo aveva donato loro.
Indignato entra nella casa e preleva la borsa: la ragazze tornano nelle condizioni iniziali.
La leggenda vuole che la casa si trovasse allo incrocio di diverse strade, località pare identificabile in un punto ora denominato Malcantone.

Altre leggende coinvolgono questo santo che non era benvisto dai Monzesi, ma spaziano nella Brianza e sono menzionate dettagliatamente nel libro di Magni da cui derivano altre pubblicazioni.
Non dobbiamo dimenticare che le leggende sono sempre collegate a riferimenti, seppur vaghi e nebulosi, storici, che danno loro appunto la classificazione di leggende e sono di fonte popolare, magari distorte nel tempo, ma che hanno un fondo di verità.

Felice Camesasca

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Leggende di Monza
Il popolo maligno


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  31 ottobre 2012