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Addio ad Elie Wiesel
testimone della Shoah
Tania Marinoni



Il 2 luglio, all'età di 87 anni, si spegne Elie Wiesel, per il mondo intero la voce che narrò all'umanità la tragedia dell'Olocausto. Rumeno di nascita, di origine ebraica, conosce presto l'odio suscitato in lui dai soldati ungheresi quando, nel 1944, conducono gli appartenenti alla comunità di Sighet prima dentro le mura del ghetto e poi in quelle dei campi di sterminio. Ragazzino desideroso di studiare la Cabala e di addentrarsi nei misteri del misticismo, vede ben presto svanire la sua fede nella dolorosa e tragica esperienza dei lager nazisti. Egli assiste alla “morte di Dio” inscenata in tre località, per molti inizialmente sconosciute, ma che saranno ricordate dalla Storia come il teatro della più terribile e sconvolgente tragedia umana: Auschwitz, Monowitz e Buchenwald. Là, nel fumo che si innalza dai camini, la sua fede assume la consistenza della carne cremata e divenuta cenere: “Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede” scrive nel suo capolavoro, il libro “La notte”.

Le domande che nella comunità di Sighet gli suggerisce di porsi Moshé lo Shammàsh, suo maestro e guida nella lettura dei testi sacri, si presentano nei luoghi dell'orrore con il sapore della disperazione e divengono un solo inquietante interrogativo: “Dov'è la misericordia divina?“. Ma le risposte di Dio svaniscono all'improvviso, nel silenzio. Un silenzio incomprensibile ed inaccettabile, contro un Popolo impreparato all'evento più terribile della storia, benché avvezzo a secoli di ingiustizie e persecuzioni.
Nel campo di Monowitz, alla vigilia di Rosh Hashanà, si loda ancora la grandezza dell'Eterno nonostante permetta lo sterminio del Suo popolo e nelle privazioni dei lager ci si interroga sul significato e sull'opportunità di praticare il digiuno nel giorno dello Yom Kippur.
Ma nel fumo dei forni crematori si volatilizzano le certezze millenarie del Popolo di Dio, nella desolazione la fede dei rabbini inizia a vacillare e nelle fiamme si consuma lo spirito dello studente del Talmùd.

Dopo Auscwitz la fede in Adonai del Popolo eletto non sarà più quella che ha animato i saggi per secoli; dopo la Shoah l'Ebraismo, sconvolto, si interrogherà a lungo sulla natura di Dio.
Wiesel interroga Dio tutta la vita, arrivando ad immaginare, nel suo capolavoro letterario “Il processo di Shamgorod”, di inscenare, nel giorno di Purim, un processo all'Eterno per interrogarlo sulla sua onniscienza ed onnipotenza, divenute mute di fronte alle ingiustizie e alle violenze che sconvolgono il mondo. Wiesel è sopravvissuto all'Olocausto e il suo Berish, protagonista dell'opera, al terribile pogrom che ha appena annientato gli Ebrei a Shamgorod nel febbraio del 1649.

La natura di Dio tramandata dalla tradizione ebraica viene messa in discussione e gli interrogativi di Wiesel sono quelli di un intero popolo, che non può ignorare l'indifferenza di fronte alla tragedia. Il Silenzio di Dio diviene, dopo Auschwitz, silenzio di Wiesel, che per dieci anni non raccontò l'orrore vissuto in prima persona. La notte buia, avvolta nelle tenebre della rimozione, gli impedisce di parlare, di narrare l'assurdo, l'incredibile, e quindi di testimoniare. Eppure con le parole lavora, da giornalista, scrive in diverse lingue e si appassiona ai temi di attualità, ma nel campo degli orrori la sua memoria non è disposta a ritornare e la sua penna a scrivere per un'umanità forse non ancora pronta ad affrontare il tema della Shoah.

Ma l'intervista allo scrittore cattolico e premio Nobel per la letteratura nel 1952, Francois Muriac, pone fine per sempre al suo silenzio e Wiesel diventa testimone: le riflessioni iniziano a fluire con la potenza e l'intensità di un fiume in piena nei 57 libri che lo scrittore dedica alla tematica. Migliaia sono le pagine incentrate sulla tragedia che ha segnato indelebilmente la sua vita e nel 1986 Wiesel riceve il Nobel per la Pace, per il suo schierarsi sempre al fianco degli oppressi in ogni battaglia. La sua voce si leva contro i genocidi in Cambogia, contro l'apartheid in Sudafrica, a favore dei desaparecidos e del popolo Curdo.

Elie Wiesel si è spento, ma la sua voce continuerà a narrare affinché le generazioni future conoscano che cosa è stato l'orrore dello sterminio e a loro volta possano testimoniare. Perché, come affermò lo scrittore stesso durante un'intervista: “Chi ascolta un superstite dell'Olocausto diventa a sua volta un testimone” .

Tania Marinoni

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  04.07.2016