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Addio a Dario Fo, l' “eterno Giullare”
Xenia e Tania Marinoni

Dario Fo davanti alla Palazzina Liberty negli anni Settanta

“Una meravigliosa occasione fugace da acciuffare al volo tuffandosi dentro in allegra libertà”.
Così viene dipinta la vita nelle splendide parole di Dario Fo, l' “eterno Giullare” amato da chi vuol fermarsi a pensare per capire che la realtà è spesso lontana e differente dalle apparenze.
Il grande artista è stato drammaturgo, attore, regista, scrittore, autore, pittore, scenografo, in una parola, è stato uomo di cultura e sarebbe impossibile, forse ingiusto e persino irrispettoso “imbrigliare” una personalità così geniale e ricca in aride definizioni.

Dario Fo aveva la straordinaria capacità di indurre a riflettere e di risultare anche maledettamente scomodo, per prese di posizione che lo allontanavano dal “perbenismo” ossequioso ed idealizzato. Con elegante ironia e raffinata satira colpiva il potere in ogni sua manifestazione; grazie al gesto raffigurava scene divenute epiche, declamate nel suo splendido grammelot, da lui stesso definito “una vera scienza”, una disciplina rigorosa, che rivoluzionava i codici della rappresentazione. Una lingua di pura invenzione, questa, ma strutturata su regole ben precise, una poesia dalla grande valenza sonora, ma anche una perfetta tecnica onomatopeica. L'efficace strumento comunicativo diventava linguaggio scenico che omaggiava i dialetti lombardo veneti, le reminiscenze latine e i festosi giullari medievali, che dopo la controriforma furono costretti ad emigrare in paesi lontani dove, per evitare i lacci della censura, si esibivano sul palco con l' “antico” grammelot. Il maestro trasferiva questa meraviglia fonetica, densa di grande valenza semiotica, nelle attuali lingue straniere, e creava così un linguaggio assieme al suo pubblico. Dario Fo, moderno giullare, parlava l'antica lingua degli artisti dissidenti e persino in una Milano che da sempre gli negava uno spazio per le sue performance, Il suo grammelot diventava la dimensione in cui trascinare lo spettatore. La sua dotta irriverenza, dalla prorompente carica espressiva, era creatrice perché aveva rotto i canoni del teatro tradizionale borghese, contro il quale Dario Fo aveva lanciato la sua eterna polemica; il riso acquistava, grazie a questo grandissimo artista, una dimensione sacrale. “Il riso è sacro. Quando un bambino fa la prima risata è una festa. Mio padre, prima dell'arrivo del nazismo, aveva capito che buttava male; perché, spiegava, quando un popolo non sa più ridere diventa pericoloso.” 

Monumento a Bava Beccaris di Ugo Guarino davanti alla Palazzina Liberty
«Il popolo milanese al grande fondatore della democrazia giustamente premiato dal re buono per aver eliminato i facinorosi, i cittadini benemeriti posero»


Ma non è possibile parlare di Dario Fo, senza citare Franca Rame, moglie e compagna di una vita, colei che ha saputo accompagnarlo nel lungo percorso tra il teatro e la politica, costituendo assieme al maestro un duo inossidabile, umanamente ed artisticamente eccezionale ed irripetibile. Nel 1974 Dario Fo e Franca Rame fondarono il Collettivo Teatrale La Comune alla Palazzina Liberty di Milano, uno stabile dismesso da anni, che divenne la sede per le loro performance.
Gli spettatori, in gran parte giovani, venivano invitati ad occupare anche il palco, pazienza se in questo modo qualcuno si “beccava” qualche scheggia. Talvolta, come nella foto, il pubblico occupava anche lo spazio erboso antistante e così numerosi giovani entravano nella sua fiaba rivoluzionaria, in un'irresistibile e travolgente magia. Su quel palco, nella primavera del 1974, Dario Fo attendeva prima, e annunciava poi, a migliaia di presenti, il risultato del referendum sul divorzio.

Un'antica passione legava da sempre la sua produzione scenica all'arte figurativa. “I miei lavori teatrali spesso nascono come immagini. Disegno prima di scrivere. Mi sono abituato piano piano ad immaginare le commedie, i monologhi in un contesto visivo, e solo in seguito in quello del recitato. Inoltre, disegnare ha per me una preziosa, decisiva funzione di stimolo creativo. Se mi capita di essere “smontato”, è proprio disegnando che mi vengono le idee”. Artista a tutto tondo, geniale ed eclettico, conosceva bene i linguaggi del teatro, della satira e dell'illustrazione e li sapeva fondere in un unico codice espressivo.
Apprezzato molto più all'estero che in Italia, Dario Fo ha saputo vivere 90 anni da protagonista e la sua voce autorevole e saggia non suonava mai altezzosa. Nel 1997 è stato insignito, a Stoccolma, del Premio Nobel alla Letteratura, il massimo riconoscimento alla cultura assegnato dall'Accademia di Svezia, che in quell'occasione accostava il suo nome a quello dei grandi letterati italiani del passato: Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Luigi Pirandello, Grazia Deledda e Giosuè Carducci.

In una rigida mattina autunnale l' “eterno Giullare" esce di scena solo come i grandi sanno fare. Dario Fo varca la soglia del mito nel giorno in cui viene assegnato il Nobel per la Letteratura al "Menestrello" Bob Dylan, cantore anch'egli degli ultimi, dei poveri, nemico dei potenti, altra voce libera e scomoda.

Xenia e Tania Marinoni

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  14 ottobre 2016