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RIFLESSIONI
L'ipocrita polemica italiana sulle "fake news"
Umberto Puccio


Tecnica antica, ma oggi diventata "virale" (per usare un bruttissimo termine attualmente di moda!), è quella di accusare l'avversario di quello che si sta facendo noi stessi.
Era così quando si tuonava contro la corruzione e si faceva della lotta alla corruzione il tema "diversificante" della propria propaganda politica; ma si continuava a vivere e prosperare della corruzione stessa. Forma perfetta di sciacallaggio politico.

Oggi però, visto il flop della stagione di Mani pulite e sgamati i professionisti dell'anticorruzione, l'oggetto dello sciacallaggio non è più l' ONESTA', bensì la VERITA'. Oggetto ancor più indefinibile e sfuggente: soprattutto quando si riferisce alle NOTIZIE, scontrandosi col grosso problema della verità della e delle singole INFORMAZIONI, della loro origine ("verità" delle fonti), della loro trasmissione (i MEDIA), della loro ELABORAZIONE-INTERPRETAZIONE e della loro spesso non individuabile MANIPOLAZIONE.

In un' intervista su "Il Foglio" del 27 novembre scorso Sabino Cassese notava giustamente come la "falsità" fosse una caratteristica genetica della lotta e della propaganda politica sin dal tempo dei tempi; ma che essa sia diventata centrale e pervasiva con l'affermarsi nel Novecento dei mezzi di comunicazione di massa (radio, poi televisione e, oggi, Internet), della società di massa e dei regimi totalitari (e non solo!).

La "propaganda di guerra" è diventata determinante nel Secondo conflitto mondiale e usata, insieme alle "fake news" militari, in maniera sempre più raffinata da entrambe le coalizioni belligeranti. In quella che è stata una vera e propria "guerra di propaganda" gli Alleati ne sono usciti nettamente vincitori: e questo è stato elemento non indifferente della vittoria finale.
Tale "guerra di propaganda" è continuata poi, durante il periodo della Guerra fredda, sul piano diplomatico e dei segreti militar-industriali; ma anche nella lotta politica interna ai vari Stati. Un esempio: la campagna elettorale del 1948 in Italia.

Un'ulteriore radicalizzazione si è però verificata negli ultimi conflitti "regionali", a partire da quelli dell' Iraq e della ex-Yugoslavia: le false notizie sono state "causa" e giustificazione dei conflitti stessi (la "capacità nucleare" di Saddam Hussein; il massacro di un villaggio kosovaro, attribuito all'esercito serbo e operato invece dall' UCK). Non solo: l'esito dei conflitti è stato giocato e determinato dalle "notizie" fatte trapelare e diffuse nel circuito dei mass-media mondiali. Complice l'istantaneità e "mondialità" delle immagini trasmesse. Al problema della "veridicità" delle notizie si è aggiunto un problema ancor più grave: quello della "veridicità" delle IMMAGINI, dei FILMATI e delle RIPRESE TELEVISIVE. O meglio, della loro sempre più raffinata e meno svelabile manipolazione.

Ulteriore elemento di complicazione: la RETE! La Rete ha da una parte "liberalizzato" e "atomizzato" la FONTE delle informazioni (nel senso che TUTTI, individualmente o come gruppo, possono diventare FONTE), rompendo così il monopolio delle agenzie; dall'altra ha trasformato il tutto in una giungla in cui svanisce quasi del tutto qualsiasi criterio e mezzo di discernimento della VERITA' della "new". 
Cassese si appella, come ultima spiaggia, ai dati STATISTICI (cioè, alle "verità scientifiche" - o presunte tali!): in altri termini non ci resta che rivolgersi all' "autorità" della scienza e "credere" in essa.

Apro una parentesi: qui tocchiamo il problema dei problemi della società attuale: quello della crisi della autorevolezza (e della credibilità) delle istituzioni, cui si sostituisce (attraverso la individualizzazione e personalizzazione della politica, e non solo) l'affidarsi, più o meno ciecamente, più o meno disinteressatamente, ad UNA persona, ad UN CAPO.
La produzione e trasmissione delle informazioni non passa più dalle agenzie di stampa, dai giornali e dalla stessa televisione (che sono ridotte ad una funzione di elaborazione secondaria, di "commento" e di "interpretazione"). Il sistema "tradizionale" dava da una parte "garanzia", ma dall'altra era "controllato" e diretto dai poteri "ufficiali". Nella Rete, il controllo da parte dei poteri "ufficiali" è estremamente difficile, se non impossibile al livello degli Stati nazionali. Diventa invece enorme quello dei grossi  "social" mondiali che posseggono enormi, incontrollabili e incontrollate "banche dati".
Risulta quindi piuttosto velleitario dire che sono i giornalisti, la loro "professionalità" e deontologia a costituire un piccolo "argine" al dilagare delle fake news. Primo: perché anch'essi sono, più o meno consapevolmente, più o meno volontariamente, coinvolti in questa giostra di fake news. Secondo: perché il giornalista oggi è sempre più e solo "opinionista" (più o meno "indipendente"). I giornalisti "d'inchiesta" (al pari degli inviati "di guerra" freelance - non "ingaggiati") sono rari: e quelli che cercano di fare il loro mestiere sono emarginati e fanno molto spesso una brutta fine, in quanto "scomodi". Il giornalista come scienziato e tecnico dell' informazione, che va di persona a procurarsi e a controllare le informazioni ed è "garante" della loro veridicità è nel mondo di oggi una specie in via di estinzione, se non già estinta. Del resto anche prima le fonti della maggior parte dei giornalisti "di cronaca" erano le agenzie di stampa nazionali o internazionali o le "veline" e "soffiate" di preture e questure.

In conclusione: se da una parte è aumentata a dismisura sino a diventare capillare la possibilità di produrre "news", è dall'altra diventato altrettanto capillare e pervasivo il potere di controllo (intercettazioni ambientali; registrazioni di fotocamere, installate ovunque; immagini satellitari): controllo che è nelle mani e nella disponibilità di un oligopolio politico-economico-finanziario, i cui membri lo usano per farsi la guerra gli uni contro gli altri nello scacchiere geopolitico ed economico "globale".

Appare allora piuttosto ridicolo e patetico che la polemica sulle "fake news" diventi centrale nella campagna elettorale italiana; e che addirittura si ipotizzi un "controllo" (?) per legge delle "news" che circolano nella Rete.
Sembra una guerra di pigmei che, per esistere ed essere notati, fingono di brandire armi più grosse di loro.

Umberto Puccio


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  2 dicembre 2017