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Quando gli ebrei divennero untori
Tania Marinoni

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Ogni epidemia genera panico tra la popolazione e, se non gestita anche a livello emotivo, determina presto la necessità di individuare un capro espiatorio, il bersaglio consenziente che accetti il martirio. È un bisogno primordiale, in tempi di crisi, individuare un colpevole, non importa se vero o presunto, per liberare la comunità dalla minaccia incombente. Il nome capro espiatorio deriva dal rituale ebraico: in occasione dello Yom Kippur al Sommo Sacerdote era riservato il compito di riversare simbolicamente su un capro tutti i peccati del popolo, prima di allontanarlo nel deserto e purificare così la comunità. La figura del capro espiatorio è presente nella Bibbia, come vittima da immolare per placare l'ira di Dio, e nella mitologia greca: nella tragedia di Sofocle, L'Edipo re è il sovrano parricida, il responsabile della peste a Tebe.

Non solo nel mito, ma anche nella Storia la teoria del capro espiatorio ha mietuto numerose vittime. Nella terribile epidemia di peste che colpì il cuore dell'Europa nel secolo XIV le comunità ebraiche furono additate dapprima dal popolo e poi dalle autorità come responsabili della Morte Nera. Gli episodi di violenza esercitati dai cittadini e i provvedimenti assunti dai sovrani in questo momento storico nei confronti degli ebrei testimoniano anche un evento fondamentale: l'inizio del passaggio dall'antigiudaismo all'antisemitismo.
L'avversione antiebraica fino ad allora aveva avuto natura religiosa, i Padri della Chiesa avevano accusato gli ebrei di deicidio e di professare una religione “carnale”, in contrapposizione alla spiritualità della fede cristiana. Celebri sono le otto omelie Contra joudaeos nelle quali San Giovanni Crisostomo accusò gli ebrei, in quanto preda del Demonio, di aver ucciso Dio. Tristemente noto è l'episodio del rogo della sinagoga a Callinicum, avvenuta nel 388 per mano di una folla di cristiani incitati dal vescovo Ambrogio, che davanti al governatore romano e all'Imperatore Teodosio I si assunse la paternità dell'atto, come si evince dalle Epistulae variae 40.

Quando nel '300 il morbo proveniente dall'Oriente imperversò in tutta Europa, la cultura antigiudaica diffusa dai Padri della Chiesa era quindi ben consolidata. I Massacri della Renania, che al tempo della prima crociata portarono alla distruzione delle comunità ebraiche di Spira, Worms e Metz, avevano contribuito ad alimentare l'astio antiebraico nel cuore dell'Europa. A livello sociale gli ebrei vivevano disgiunti dai concittadini cristiani, benché non fossero stati ancora istituiti i ghetti. Nel 1215 il Concilio Lateranense IV impose agli ebrei di distinguersi, per aspetto, dai cristiani, perché si evitassero matrimoni misti, e ribadì la disposizione, già presente nel codice teodosiano (Carlo Santi, La Testimonianza di Dio, CIESSE Edizioni), che impediva agli ebrei di rivestire uffici pubblici. Era proibito l'uso comune di bagni pubblici e di acque termali; agli ebrei era vietato uscire dalle proprie abitazioni durante la Settimana Santa. Dall'Inghilterra, da alcune città della Francia e dai territori sulle rive del Reno e del Danubio gli ebrei erano stati espulsi, mentre in Spagna avevano subito violente conversioni al cristianesimo.

Durante la peste trecentesca, nell'aprile del 1348, il quartiere ebraico di Tolone venne devastato e quaranta ebrei furono uccisi all'interno delle mura domestiche. Simili episodi si ripeterono a Barcellona e in altri centri della Catalogna colpiti dall'epidemia. Nonostante in Provenza e in Catalogna le autorità condannassero questi episodi di violenza popolare incontrollata, e il papa Clemente VI si fosse schierato in difesa degli ebrei, nel luglio del 1348 dal Delfinato partirono le prime accuse di aver avvelenato pozzi e fontane, causando così il dilagare della peste tra i cristiani. Le confessioni estorte con la tortura dal conte d'Aosta Amedeo VI non fecero che avvalorare le tesi antiebraiche e alimentarne l'ostilità (A. FOA, Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all'emancipazione XIV-XIX secolo, Editori Laterza).

Il panico si diffuse presto in Svizzera e nelle vicine città tedesche, dove si verificarono episodi di brutale violenza esercitata dalla popolazione ai danni di ebrei. A Strasburgo, nel febbraio del 1349, quando ancora la peste non minacciava la città, duemila ebrei vennero bruciati sul rogo. Il mese successivo a Worms 400 ebrei preferirono la morte nelle proprie abitazioni, dopo averle incendiate, piuttosto che essere vittime della ferocia della folla. Lo stesso episodio si verificò nel mese di luglio a Francoforte e in seguito anche a Magonza, dove risiedeva la più grande comunità ebraica d'Europa.

Benché le comunità ashkenazite dei territori tedeschi non fossero risparmiate da simili violenze, i pogrom del '300 rappresentarono un evento cruciale per la vivace cultura rabbinica consolidata in questi territori. Il bilancio fu pesantissimo, poiché si stima che in Francia e Germania, tra il 1348 e il 1351, andarono distrutte 50 comunità grandi e 150 piccole.
I pogrom della Morte Nera costituiscono uno spartiacque funesto nella storia della persecuzione ebraica, poiché instillarono nella mentalità popolare il germe dell'antisemitismo. Le accuse di profanazione scagliate per secoli dal mondo cristiano contro il giudeo vennero interpretate non più solo in chiave esegetica, ma anche antropologica. I massacri perpetrati contro gli ebrei avvenivano non più per il rifiuto della conversione al cristianesimo, ma perché l'ebreo incarnava il male e il turbamento di un equilibrio che aveva scatenato la peste. La trasformazione dello stereotipo da infedele e deicida a portatore di malattie, trasportò in chiave antisemita il concetto di contaminazione della cristianità, presente fino ad allora, solo in chiave teologica.

Tania Marinoni


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  28 marzo 2020