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Il "driiin!!!" in tempo di carogna virus
Fabio Isman


Va bene: non sarà divertente. Va bene: sarà scomodo e monotono, può annoiare. Però, ci permette anche attività da sempre rimandate; e altre, che erano assai facoltative. C'è chi si ascolta l'opera integrale di JSB (per i meno appassionati, Johann Sebastian Bach): da 188 a 201 compact disc, dipende dalle collezioni (e chi aveva 200 ore di tempo libero?); c'è chi ha già fatto il cambio di stagione negli armadi e tirato fuori gli abiti estivi («tanto, quelli più pesanti non li uso: sto sempre in tuta»); va parecchio di moda Fëdor Michajloviè Dostoevskij, immagino per la lunghezza dei suoi romanzi: chissà, forse pure James Joyce; quanti hanno lasciato a metà non dico l'Ulisse, ma almeno Gente di Dublino? La virtù più praticata è certamente quella culinaria: ognuno si è scoperto un piccolo Artusi (ma quanto sono vecchio: diciamo Bocuse, o Cannavacciuolo) almeno per un giorno.

Pochi però pensano alla massima tra le invenzioni di cui questo lockdown (ma non è meglio, in modo meno esotico e più nostranamente, chiamarlo confinamento o clausura?) può oggi giovarsi: per qualcuno, passiamo in media un'ora al giorno impegnati in videochiamate. Siamo forzatamente separati dai nipotini? Sì: tuttavia possiamo vederli due volte al giorno, prima o dopo i pasti (come i farmaci). O impegnarci in interminabili sproloqui con le amiche del cuore: «Oggi hai una brutta cera, ti diverti meno di ieri?». Nessuno ci fa più caso: scuola e lavoro si praticano a distanza. E, già da tempo, le riunioni famigliari invece pure: «Chiamata di gruppo alle 15.30».

Una volta, però, non era così. E non era neppure troppo tempo fa. Lasciamo perdere i video, e pensiamo soltanto al telefono. Adesso, basta un numero, ed eccoci qua: pronto, come stai? Chi si ricorda che la teleselezione non ha compiuto mille, ma appena 50 anni? Prima, c'erano soltanto le «signorine»: «Mi passa il numero tal dei tali della città....?». E il collegamento, non era neppure immediato: si domandava anche: «Scusi, ci sarà molto da aspettare?». Perché, in caso di necessità, si potevano anche fare le «urgenti». Che, ovviamente, costavano più caro. Ai nonni, si telefonava la domenica: «Si paga la metà», spiegava mia madre. Tariffa ridotta anche la sera (forse dopo le 20); ma si chiamava soltanto in caso di vero bisogno: si rischiava di trovare i propri cari a tavola, o già avviati verso il letto, se non di farli sobbalzare. Direi anche, ma non vorrei sbagliarmi, che il suono del telefono, quando chiamava «il centralino», fosse diverso da quello solito; un «drìììn!!!» dalla frequenza maggiore.

Qualcuno lo rammenterà; c'erano le «unità» di tre minuti; una voce ti avvisava quanto stavano per scadere: s'intrometteva e chiedeva: «Signore, raddoppia?»; per non pagare doppio, negli ultimi secondi si parlava in modo telegrafico. Si chiedeva un'«interurbana» al numero 14 (o 15, se era per l'estero); e ai numeri anche urbani, abbiamo dovuto aggiungere il prefisso appena dal 1998: perfino per le telefonate cittadine. Quei numeri antichi li ricordo ancora a memoria, 60 anni dopo; a Monza, avevo il 4533; la mia amichetta del IV piano, il 3721; mio fratello si è sposato dopo un po', il numero era già di cinque cifre: 83808. Ora, tutti ne possiedono almeno nove, qualche volta dieci. E l'esercizio mnemonico è diventato più arduo. I "telefonini" poi, con la loro immensa memoria automatica, l'hanno annullato del tutto: rischio di non ricordami più nemmeno il numero di casa.

La teleselezione, in Italia, è diventata patrimonio comune appena nel 1970: dieci anni dopo le mitiche Olimpiadi di Roma. Pensate un po' alla Carognavirus senza videochiamate, che cosa mai sarebbe stata: ancora più un inferno anticipato; non oso nemmeno immaginarmelo. Mi raccomando: state in casa; abbiatevi delle buone giornate un po' vuote, però con il volto dei propri cari che sbuca da un telefonino, o da un computer; e da solo, basta ad imprimere una piccola svolta alla nostra quotidiana monotonia.

Fabio Isman


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  6 aprile 2020